A sua memoria, Marco Romagna si è sempre nutrito di Genoa e audiovisivi. Classe '87, buona forchetta, ritiene che la musica sia più o meno morta nel 1973, e nel cinema non si è ancora del tutto abituato al colore. Fra discutibilissimi risultati in un Liceo Classico genovese e la deprimente inutilità mista vergogna di una laurea in DAMS, la sua voracità gli ha fatto fagocitare interi bancali di VHS, poi DVD, infine BluRay. Al termine della cura, si ritrova ovviamente ciccione e disoccupato.
A 18 anni, la folgorante scoperta dei Festival. Prima Venezia, poi Torino, Locarno, Roma, Bergamo, Lucca, Bologna, Berlino, Udine. Il mondo. Alla ricerca di luci, schermi, viaggi, sogni.
Ora ha più anni, ancora più pancia, molti meno capelli, la stessa folle passione. Alcuni maligni vociferano che abbia una relazione amorosa con la sua Clio bianca, ma lui sogna segretamente di vivere in un camper. Piange quotidianamente l'avvento del digitale e continua a soffrire per il Genoa.
Collezionista instancabile di limiti e fallimenti, porta una barba che lo invecchia terribilmente, non riesce a parlare al telefono con uno sconosciuto senza provare un inspiegabile imbarazzo e dice tante parolacce.