22 Maggio 2025 -

AMÉLIE ET LA MÉTAPHYSIQUE DES TUBES (2025)
di Maïlys Vallade e Liane-Cho Han

Secondo la cultura nipponica è solo nel giorno del loro terzo compleanno che gli okosama, ovvero tutti i bambini senza distinzione di sesso provenienza e cultura, perdono quell’innata natura celestiale con la quale erano venuti al mondo come veri e propri dei, e costretti per la prima volta al trauma della decadenza e dell’ingresso nelle fragilità della vita si uniscono alla “normale” razza umana con cui inevitabilmente scoprire i piaceri, i dolori, le emozioni, il ciclo della vita e l’esistenza della morte, e su di loro forgiare il proprio percorso di crescita. Uno spunto su cui già nel 2000 la scrittrice belga Amélie Nothomb, nata con ogni probabilità in Europa ma effettivamente vissuta proprio dai due ai sei anni in Giappone, al seguito delle assegnazioni di quella famiglia di diplomatici che negli anni l’avrebbe cresciuta fra la Cina e New York, il Bangladesh, la Birmania, il Regno Unito e il Laos, aveva basato il proprio romanzo semi-autobiografico e sognante La Métaphysique des tubes, e che ora inevitabilmente sta alla base del magnifico, sorprendente, assolutamente ghibliano Amélie et la métaphysique des tubes con cui Maïlys Vallade et Liane-Cho Han, adattandone le pagine in un’animazione per tutte le età, fanno il loro strabiliante esordio al lungometraggio rivelandosi, per la testa ma soprattutto per il cuore, la migliore sorpresa e la principale folgorazione della 78esima edizione del Festival di Cannes dove il film trova la sua prima mondiale fra le Séances Spéciales. Un lavoro dolcissimo, poetico e straziante, che senza nemmeno una stilla di ricatto guarda da altezza bambino al senso più profondo dell’esistenza, ai sentimenti di una famiglia, alla nascita della consapevolezza, alla formazione del linguaggio, alla psicologia dello sviluppo, alla magia della scoperta, ma anche al bilinguismo, alle sovrapposizioni e alle inevitabili contraddizioni di una doppia cultura, e da lì racconta l’infanzia nel fondamentale momento di passaggio dallo stato quasi vegetativo dei neonati alla peculiare e personalissima presa di coscienza della propria identità e del mondo intorno a sé. Passando per i primi passi e per la frustrazione isterica quando le prime parole di senso compiuto non riescono ancora a sostituire i puri suoni dei vagiti, passando per la rivelazione del piacere e per la scoperta del dolore, passando per i pianti più disperati e per i sorrisi quando ritorna la quiete. Passando per il puro senso di meraviglia quando in un’esplosione di fiori e colori la nebbia diventa improvvisamente primavera, per la paura di quando ci si rende conto che le acque non si sono davvero divise al proprio comando e che il fondale del mare è troppo profondo per toccare, per le lacrime inesorabili di un padre quando scopre che sua madre, quella nonna così fondamentale nel percorso di autocoscienza della piccola Amélie con l’appagamento gustativo della sua cioccolata bianca e con il piccolo trauma del suo abbandono per rientrare in Belgio, non potrà mai più tornare a trovarli. Ma soprattutto passando per il senso di reciproca appartenenza e il sincero affetto “impossibile” che lega la piccola protagonista a quella governante giapponese che le ha fatto scoprire le carpe del tempio in cui giocare a identificarsi e il locale culto dei morti con il quale consegnare al fiume e poi al mare una lanterna con cui illuminare loro la strada verso la vita eterna, dando in qualche modo un senso alla loro dipartita e alla loro assenza, e tenendoli vicini a sé nella memoria e nel cuore proprio come basta alitare sulla finestra perché quell’ideogramma identitario della pioggia, traslitterazione giapponese del nome di Amélie disegnato con un dito direttamente sul vetro e così meravigliosamente simbolico nel testimoniare la natura in qualche modo anfibia della doppia cultura in cui sta formando il proprio sguardo sul mondo, torni a riemergere dalla sua invisibilità.

È la voce narrante della stessa piccola Amélie a tenere le fila del suo percorso di scoperta di se stessa e della realtà. Dall’apparente nulla dal quale ognuno di noi improvvisamente si forma in un grembo materno fino ai retropensieri con cui, un po’ come in Senti chi parla, dare soddisfazione ai genitori chiamandoli mamma e papà anche se non si capisce come mai per loro sia così importante sentirselo dire; dalla convinzione di essere un dio onnipotente amato, onorato e umilmente servito da quelle figure genitoriali che si occupano di ogni aspetto e necessità dei primi mesi di vita, fino al crollo di ogni certezza quando si scopre di essere normalissimi esseri umani fragili e mortali che dovranno necessariamente arrangiarsi e fare i conti con le gioie e le difficoltà dell’esistenza. Dalla quotidiana sorpresa in cui anche un aspirapolvere sembra essere un miracolo di Dio fino alla delusione di scoprirsi normali e potenzialmente abbandonati nel dolore di un distacco, della crisi di chi non sa più a quale cultura appartenere, di uno scoramento nel quale magari arrivare perfino a tentare il suicidio, e nell’essere salvata dall’annegamento proprio da quella figura che più di tutte pensava razzista e cattiva, e che invece era solo troppo straziata per riuscire a superare la propria sofferenza, capire finalmente il senso della vita, dell’identità, dell’appartenenza, dell’abbandono. Dell’umanità, destinata a deflagrare anche in quella donna apparente incarnazione dell’ultimo giapponese ancora rimasto a combattere la guerra contro l’invasore occidentale di trent’anni prima, proprio nel momento del bisogno di accudimento di una bambina verso la quale in qualche modo sentirsi almeno per un attimo di nuovo madre, e forse riuscire così a superare finalmente il proprio lutto, la propria durezza e il proprio razzismo. Una piccola parabola esistenziale e, appunto, metafisica, in cui nello sguardo strabiliato e tenerissimo di una bambina la realtà sembra magia e il dissiparsi della magia non potrà che svelare la realtà, le prime corse verso la libertà, le coccinelle fra le dita, il sentirsi pioggia, il ricordo di una nonna come un angelo custode, e l’ingiustizia della perdita quando la vita fagocita tutto quello che rimane. Come accennato in apertura, Maïlys Vallade et Liane-Cho Han nel trasporla dal romanzo di Amèlie Nothomb su tavole e grande schermo guardano apertamente a uno Studio Ghibli, rievocato sia nella dolcezza fanciullesca delle fiabe per immagini di Hayao Miyazaki sia nelle esplicite citazioni della lirica più commovente e adulta di Isao Takahata (la corsa/volo nel deflagrare della primavera che diventa quasi un controcampo entusiasta della fuga disperata di Kaguya, ma soprattutto quel barattolo di lucciole portato in regalo dalla bambina alla governante giapponese…), seguendo teneramente la loro piccola protagonista nella sua repentina crescita e nel suo primo momento di passaggio un po’ come già faceva il bellissimo Mirai di Mamoru Hosoda, ma con un’impostazione grafica e un character design che, cercando i propri riferimenti estetici e produttivi all’interno della vitale e sempre più preziosa industria animata francese che Amélie et la métaphysique des tubes ulteriormente rinverdisce con una coppia di nuovi autori, ricordano semmai il Rémy Chayé di Sasha e il Polo Nord. Uno stile di disegno semplice, privo di contorni e coloratissimo, che affida la propria forza espressiva alla luminosità profondissima degli occhi dei protagonisti mentre sfuma i non moltissimi dettagli dei fondali in leggere sfocature impressioniste, necessariamente soffuse come quei ricordi che, sempre ammesso che sia possibile trascinarseli da un’età così tenera, non possono che stare al confine fra la memoria e la fantasia, inevitabile campo e controcampo di quello che siamo. Il resto è semplicemente da intravvedere fra le lacrime, che iniziano a scorrere lungo le guance sin dai primi minuti e che non smetteranno nemmeno per un istante di inumidire gli occhi, fra la vita, la morte, la gioia, il dolore, la meraviglia, l’abbandono, lo smarrimento e il distacco, concentrati in un’ora e un quarto di sublime.

Marco Romagna

“Little Amélie or the Character of Rain” (2025)
75 min | Animation | France
Regista Liane-Cho Han Jin Kuang, Mailys Vallade
Sceneggiatori Amélie Nothomb
Attori principali Emmylou Homs, Loïse Charpentier, Laetitia Coryn
IMDb Rating N/A

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