18 Maggio 2025 -

SIRÂT (2025)
di Oliver Laxe

Non ci aspettavamo da Oliver Laxe, cineasta franco/spagnolo “cocco” del Festival di Cannes fin dai tempi della sua partecipazione alla Semaine de la Critique coronata dal Gran Premio per Mimosas nel 2016 e ancor prima con il suo esordio del 2010 Todos vosotros sois capitanes, un film così incisivo e immediatamente iconico come Sirât, in Concorso all’edizione 2025 della kermesse sulla Croisette. Un’opera densa di significati quanto lacunosa e per nulla didascalica, che suggerisce in luogo di affermare, che punta tutto su immagini e sonoro, con il nuovo Dolby Atmos del Gran Teatro cannense a rappresentare l’esperienza di visione migliore possibile. La musica come massima espressione di libertà, il mondo esterno incombente e non disposto a lasciare ai giovani una possibilità di evasione dalla realtà: sono queste le due coordinate principali su cui si muove un film errabondo e insieme prigioniero, gestito da Laxe con perizia e cognizione di causa. La cultura dei rave, così importante tra anni Novanta e Zero, riafferma tutta la sua centralità e la sua insopprimibile resistenza anche quando subisce attacchi da ogni parte, dal macro del 7 ottobre 2024 da parte dei guerriglieri di Hamas al micro del governo Meloni pronto a demonizzarla e a farne oggetto del primissimo provvedimento dell’allora nuovo esecutivo. Il rave nel deserto del Marocco che si vede nelle prime immagini dell’opera è abitato da gente di tutto il mondo, camperisti e globetrotter, ragazzi alla ricerca di una fuga provvisoria e cultori di vita “alternativa”, sudati e scatenati mentre i bassi fanno tremare la terra e le avanguardie sotto cassa prendono di e in petto il sound selezionato dal dj. In questo bailamme si aggira Luis (Sergi Lopez) con figlio al seguito, alla ricerca della figlia dispersa, probabilmente in quella baraonda ma con nessuna certezza che lo sia davvero. La scenografia scelta dagli organizzatori fa sì che potenti luci laser “taglino” la roccia millenaria, con un’immagine che unisce passato e presente senza bisogno di parole, sottolineature, inutili sproloqui. È solo la prima delle sintesi visive proposte da Laxe a getto continuo, segno di una febbrile creatività impossibile da ingabbiare in un discorso unitario, fluido, persino coerente. Perfetta commistione tra forma e contenuto, Sirât diventa con il passare dei minuti un inseguimento senza meta e scopo, una fuga impossibile, in diretto dialogo con lo Zabriskie Point e con le deflagrazioni sessantottine di un Antonioni in stato di grazia e in perfetta sintonia con QUEL mondo e quella controcultura.

In  questo mondo e in questa controcultura, invece, il nichilismo è l’unica ideologia rimasta in piedi, unita al mero soddisfacimento del piacere personale. Luis, che cerca invece di recuperare un affetto caro, è un alieno tra gli alieni, con il suo piccolo van contrapposto ai furgoni più grandi della comunità nomade in viaggio perenne. Dalle autoradio arrivano echi di una guerra planetaria in corso, la distopia bussa violentemente alla porta, e risulterà impossibile ignorarla. Quando il rave è sgomberato dalle autorità locali una porzione di umanità resistente evade e cerca l’aperto deserto, presto seguita dall’uomo medio Luis, disposto a tutto pur di recuperare l’erede dispersa. Riecheggiando il dittico Vite vendute di Henri-Georges Clouzot e The Sorcerer di William Friedkin, il piccolo convoglio affronta sentieri accidentati e scoscesi, con la camera di Laxe a posizionarsi negli interstizi tra le pietre e i dirupi scoscesi oppure a sorvolare dall’alto, con i fari a (cercare di) squassare e fendere l’opprimente buio della notte. L’illusione di libertà riconquistata si rivelerà presto come tale, perché non si può scappare da un pianeta in fiamme, non c’è più spazio, non c’è più tempo. Gli attori co-protagonisti e non professionisti, usati magnificamente, sono veri e propri raver, e qualche nome è giusto farlo: Richard Bellamy, Stefania Gadda, Joshua Liam Henderson, Tonin Janvier, Jade Oukid. Piccola comunità solidale e resistente, e via via decimata con modalità che non sarebbe corretto anticipare; possiamo dire, però, che gran parte del pubblico di Cannes è uscito dalla proiezione scosso, in lacrime, evidentemente non pronto per una mattanza improvvisa e senza morale, che non risparmia in primis i personaggi che di solito vengono considerati intoccabili dal cinema mainstream. In questo Festival di Cannes stracolmo di esplosioni, omicidi improvvisi e brutali, dove nessuno è più al sicuro, Sirât è il perfetto manifesto di un nuovo/vecchio cinema che non fa prigionieri, che rifugge la retorica classica, che si fa portatore di un caos spaventoso per la sua acefala equità. I brutali massacri del mondo, a Gaza, in Ucraina, in Siria, nello Yemen, al confine tra India e Pakistan, nelle profondità del Mediterraneo che inghiottono senza sosta corpi e speranze e in ogni altro scenario di guerra lontano dai nostri occhi anestetizzati di occidentali decadenti, trovano una rappresentazione cinematografica brutale e terribilmente in linea con l’inaccettabile reale. Quando ogni speranza è irrimediabilmente evaporata, ecco che il film ci riporta al cinema di pura avventura, al Sentiero di Dio di Indiana Jones e l’ultima crociata, a Luis che attraversa indenne l’inferno per sbucare dall’altra parte. Ma si può davvero sopravvivere? C’è ancora un posto dove essere e sentirsi al sicuro? Un cinema che restituisce l’impressione della pura sensorialità, dell’istinto, dell’urgenza espressiva: ecco quello che ci lascia in dote l’ultima fatica di Oliver Laxe. Forse, nel 2025, è difficile chiedere di meglio.

Donato D’Elia

“Untitled Oliver Laxe Project” (2025)
N/A | N/A
Regista Óliver Laxe
Sceneggiatori Santiago Fillol, Óliver Laxe
Attori principali Sergi López, Bruno Núñez
IMDb Rating N/A

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