16 Agosto 2024 -

REAL (2024)
di Adele Tulli

Aggiorna alle ultime trovate tecnologiche ogni possibile sfaccettatura del tema del doppio, l’interessante REAL con cui Adele Tulli, con un occhio affascinato dalle infinite potenzialità del multiverso virtuale e l’altro invece preoccupato per le derive incontro alle quali stanno andando la società e la socialità, torna dietro alla macchina da presa fra intelligenze artificiali, webcam, robotica, infrarossi, rendering 3D, fisheye a 360°, videoludica che diventa patologia e (post?) umano dei visori VR. Un film-saggio ben più che un “semplice” documentario, forse a tratti un filo troppo estetico e non proprio del tutto centrato in ogni sua parte ma con il grande pregio di provare a fare realmente un qualcosa di nuovo, coraggioso e pensato nel cinema italiano, che spalanca le porte di una vera e propria babele virtuale con cui mappare e tentare di capire la contemporaneità. Dai filtri delle immagini social agli avatar VR con cui incarnare un altro corpo e vivere una vita alternativa, dalle lezioni di yoga su Zoom alle consegne dei rider trasmesse e commentate in diretta dal web, dalle webcam erotiche in cui ancor più recitare una parte al villaggio sperimentale futuristico e totalmente robotizzato Busan Eco Delta Smart City nel quale, in cambio della più assoluta comodità, sottoporsi volontariamente a un perenne Grande Fratello fra le telecamere installate in ogni elettrodomestico e il centro di controllo che li coordina da remoto. Passando per il costante show, spesso grottesco come quella promessa sposa che nel giro di Venezia in gondola non alza mai la testa dal cellulare su cui mandare in diretta iperconnessa su qualche social l’intero suo addio al nubilato, in cui ognuno mette in scena se stesso sulle differenti piattaforme web, per i morphing fra il cielo e gli sfondi di Windows, o ancora per una clinica psicosomatica in cui disintossicarsi dal virtuale e ritornare al mondo di interazioni umane e vita privata, fino a un vero e proprio muro di immagini che, come una riedizione della celeberrima copertina di Sgt Pepper’s lonely hearts club band dei Beatles, o se si preferisce della ben più inquietante We’re only here for the Money con cui Frank Zappa e i suoi Mother of Invention pochi anni dopo già ne facevano icona e parodia, continuamente saltella sul confine fra vero e falso nei suoi volti (ir)reali e(ppure) personalissimi, fra l’identità e la propria replica migliorativa virtuale, fra lo straniamento e l’isolamento, fra la consapevolezza e la fuga da se stessi. Eppure, per trovare il cortocircuito, basterebbe forse il momento in cui l’ennesimo avatar con cui affacciarsi alla realtà virtuale, correggendo quel compagno di visore che ragionando sull’evasione dal mondo materiale ha appena posto un confine fra la «vita vera» e quella sintetizzata da un computer, interverrà per sostenere come anche il mondo alternativo di pixel sia perfettamente reale, solo semplicemente «non fisico». Come a delineare un progressivo, e preoccupante, slittamento dei confini (o quantomeno della percezione dei confini) fra ciò che è vero e la sua – intrinsecamente mendace, o per lo meno parziale e giocoforza illusoria – rappresentazione digitale. Verso una progressiva alienazione che, come ogni dipendenza, si fa largo senza fare rumore, in punta di piedi, senza nemmeno lasciare la possibilità di rendersene conto. Dall’illusione di un mondo alternativo e libero, nel quale (dopo le dinamiche di genere che la regista aveva affrontato nel precedente Normal) si può serenamente incarnare ciò che si vuole per sesso, età e aspetto fisico senza giudizi né possibili contraddizioni, fino all’altra faccia della medaglia in cui rischiare di perdere progressivamente il contatto con la realtà che rimane al di fuori da questo multi-mondo digitale, ma con la quale non si potrà mai smettere davvero di fare i conti.

È in questo senso che REAL, presentato fra gli applausi del 77mo Locarno Film Festival nella sezione Cineasti del Presente, è prima di tutto un film sulla fuga. Una fuga, al contempo rivoluzionaria e spaventosa, dalla realtà e dalle difficoltà della vita, che nella creazione di una nuova e alternativa esistenza virtuale – sia questa un vero e proprio alter ego in VR, un’immagine trasmessa in diretta o registrata sui social, un dialogo con un assistente in silicio, un viaggio immaginario su Google Earth, una passeggiata mascherati nella circolarità perfetta e artificiale dei trecentosessanta gradi o ancora le ore passate a sparare a nemici immaginari con un joystick in mano – cerca rifugio nell’utopia di un mondo più comodo e gentile, che sembra lasciare al di fuori il capitalismo pur costituendone una parte sempre più centrale, finendo così per dimostrarsi una delle armi (di distrazione di massa, ma anche economiche) più potenti nelle sue mani ipocrite. Per quanto, se usata con consapevolezza e moderazione, senza finire per diventare schiavi della propria immagine virtuale e del personaggio che ci si costruisce sull’individualità della persona, quella tecnologica sia probabilmente un’evoluzione inevitabile, come una sorta di «speciazione» in cui superare i limiti dell’homo sapiens, come un reale miglioramento di se stessi e della propria quotidianità. Con gli aspirapolveri automatizzati che puliscono casa vedendo con le loro telecamere dove andare a prendersi lo sporco ed evitare gli ostacoli, per esempio, o con i camerieri automatici che non sbaglieranno mai un’ordinazione, con i comandi vocali che controllano l’intera casa in domotica senza bisogno di alzarsi dal divano, o ancora con la babysitter virtuale che non smetterà mai di rassicurare «il bambino più bello del mondo», perfetto paradigma di come la virtualità, da piccoli come da grandi, sia un luogo dove lasciare fuori dalla porta le insicurezze e le frustrazioni, verso uno schermo sul quale non esistono più possibili imperfezioni della propria immagine. È per questo che Adele Tulli, pur se evidentemente turbata e critica nei confronti del multiverso contemporaneo, non limita il suo lavoro a una mera denuncia e soprattutto non si lancia in alcun attacco frontale di un qualcosa che profondamente la attrae e la interessa, ma ne studia e ne sfrutta apertamente i codici visivi e linguistici, evidenziandone tanto il fascino e le infinite potenzialità quanto le contraddizioni, i possibili travisamenti e le più mostruose derive umane. Fino a ritrovarsi, fra l’osservazione, l’immaginazione e la distopia, a ragionare sul senso stesso del mondo digitale, sulla sua libertà ma anche sulla sua superficialità, da qualche parte fra le discrepanze fra persona e percezione (che si danno) di sé su cui già Pirandello aveva pensato il suo Uno nessuno e centomila e il dispositivo tecnologico come prosecuzione (in)naturale del corpo già teorizzata nei body horror (in particolare eXistenZ e Tetsuo, ma non solo) da David Cronenberg e Shinya Tsukamoto. Un po’ come se il cellulare delle dirette Instagram anche mentre si consegna in giro per la città, o la webcam con cui diventare una star web esibendosi nei gesti più assurdi, o il visore della realtà virtuale con cui lasciare da parte le ansie sociali per rinchiudersi in una realtà-altra, ma volendo pure la piena fisicità dei cavi di fibra ottica attraverso cui (iper)connettersi al resto del mondo fra gaming e doppie identità, nient’altro fossero che differenti livelli di percezione, (s)materializzazioni del possibile e dell’impossibile, creazioni di bei sogni con cui estraniarsi almeno per un momento dagli incubi dell’esistenza, (non sempre) consci del rischio di rimanerci invischiati. Da una stanza solitaria a un luogo ideale che non esiste, da una diretta OnlyFans a un video TikTok. Dal cinema (doppio) di Eduardo Williams alla pura videoludica. Dall’Italia (a sua volta vera o digitale) al più Estremo Oriente. Fra debolezze e solitudini, fra evasioni e utopie, fra il sogno e l’abisso, fra essere, apparire, percepire e percepirsi. Con i brani di Andrea Laszlo De Simone contrapposti all’elaborazione digitale in diretta, e con gli algoritmi di una perfezione impossibile da re-imparare a lasciare da parte per tornare alla fisicità affettuosa del cagnolino con cui finalmente riscoprirsi caldi, vivi, (ancora/di nuovo) reali. Sempre ammesso che non sia troppo tardi, ovviamente.

Marco Romagna

“In-Visibili” (2024)
Documentary | Italy / France
Regista Adele Tulli
Sceneggiatori Adele Tulli
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

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