1 Maggio 2025 -

1485 KHz (SE OTTO ORE) (2024)
di Michele Pastrello

Corrispondono esattamente a quella che le pseudoscienze chiamano “frequenza Jürgenson”, quei 1485 KHz con cui Michele Pastrello, dopo più di un decennio di variazioni e di esplorazioni linguistiche intorno alla materia del suo immaginario, torna a immergere il suo cinema visionario e autarchico nelle atmosfere orrorifiche che già avevano dato (Ultra)corpo ai suoi esordi. Quella frequenza radio, individuata appunto nel 1960 dal pittore, cantante lirico e documentarista svedese Friedrich Jürgenson come punto ideale nello spettro della modulazione AM-FM per permettere alle voci dei morti di essere registrate su supporto magnetico, su cui basa buona parte dei suoi (ipotetici, mai dimostrati, ma non per questo meno affascinanti) postulati la metafonia (o psicofonia, o transcomunicazione strumentale, o ancora fenomeno delle voci elettroniche), presunta manifestazione paranormale che diventa un perfetto volano, nell’immaginazione come sempre metaforica e fortemente politica del regista veneto oramai di stanza in Friuli, per utilizzare le sue apparecchiature ormai obsolete e i suoi nastri con cui tentare di superare il confine fra il corpo e l’immateriale per smascherare l’orrore dello sfruttamento e della schiavitù di ieri e di oggi, che dalle mondariso di un secolo fa in qualche modo cancellate dalla memoria collettiva si rispecchia identico e deformato nel sostanziale neoschiavismo del Capitalismo contemporaneo. È per questo che non è in alcun modo casuale, quel sottotitolo Se otto ore (a sua volta sormontato nella locandina da ancor più inequivocabili Falce e Martello) con cui 1485 Khz riprende il più noto fra i canti delle Mondine, e ancor meno lo è la scelta fortemente simbolica, a meno di un anno dalla sua realizzazione, di rendere il film disponibile gratuitamente per tutti (con account free sulla piattaforma Reveel, qui il link per la visione) proprio dal Primo Maggio Festa dei Lavoratori. Quegli stessi Lavoratori sfruttati a cottimo (e magari pure “a ricatto”) per pochi spiccioli e nelle condizioni più inaccettabili e pericolose, che riecheggiano uno per uno sin dal viaggio iniziale della protagonista verso il τόπος della casa infestata che sarà costretta a pulire, con l’ascolto di un messaggio (non a caso vocale, ad anticipare le metafonie, mentre per lo stesso motivo la sua autoradio inizia a gracchiare captando interferenze improvvise) con cui il capo le svela come la precedente collega extracomunitaria mandata in quella casa fosse sparita nel nulla, per poi passare alla nemmeno troppo velata minaccia di licenziarla (o meglio, di farla «fuori dalla policy aziendale», perché come insegnava Nanni Moretti le parole sono importanti) che di fatto le toglie ogni tipo di libero arbitrio, costretta ad andare avanti per finire il lavoro nei tempi previsti qualsiasi cosa le possa accadere. Una prevaricazione di classe in cui, dentro quel «non mi deludere» che diventerà disperato e martellante loop d’ossessione oggi come nel ripetersi sempre diverso ma sempre uguale della Storia, è in qualche modo connaturata anche una questione di genere, a sua volta dissimulata e poi svanita dalla memoria proprio come i volti graffiati delle donne chine sullo sfondo delle vecchie fotografie in cui è rimasto visibile solo “il signore”, il latifondista, il Potere, Sciur padrun da li beli braghi bianchi che non ha mai smesso di perseguitare e di schiacciare i lavoratori e le lavoratrici o meglio che ha potuto ogni volta ricominciare a farlo, negli anni Venti del Novecento dopo avere represso il Biennio Rosso come in questi anni Venti del Duemila in cui il boom economico è ormai un ricordo e, nel pieno dell’inflazione, si torna a parlare di guerre e totalitarismi mentre la povertà esplode. Tanto che se realmente esistesse un apparecchio in grado di captare le anime rimaste intrappolate nel rumore bianco del Triveneto per registrarne su nastro un grido di lotta, dignità e dolore, questo urlo probabilmente non potrebbe essere proprio che il loro, quello delle Mondine, di nuovo chine per dodici ore al giorno nei campi e con l’acqua alle ginocchia nelle risaie dopo avere perso la loro lotta di classe.

Michele Pastrello torna così, un anno dopo la neve e le bussole impossibili (di memorie, di identità, di lingue e di tradizioni che stanno sparendo) di Inmusclâ, ad appoggiarsi al puro genere e all’occulto. Partendo questa volta da una disciplina che, in assenza di reali evidenze, la comunità scientifica relega a una branca del tutto priva di credito della parapsicologia, come una sorta di autosuggestione figlia della speranza ben più che della logica che spinge a interpretare suoni casuali, decadimenti fisici del nastro o echi sovrapposti di differenti trasmissioni su frequenze radiofoniche vicine come parole di senso compiuto con cui dialogare, per ri-declinarla in breve quanto potente allegoria di un discorso politico e sociale ben chiaro e ben più profondo, impossibile da fraintendere nel suo procedere sul filo (o forse in questo caso sarebbe meglio dire sul nastro magnetico) teso fra la vita e la morte. Un discorso tanto esplicito nei temi e nei messaggi (come già in modi differenti erano prettamente politiche le precedenti incursioni di Pastrello nell’horror, con la Natura devastata di 32, con le lotte fra poveri di InHumane Resources e con la denuncia delle derive dell’omofobia del già citato Ultracorpo), quanto intrinseco nella natura produttiva indipendentissima a basso costo e ad alto talento artigianale di un cinema che, sin dagli esordi, non ha mai accettato di piegarsi alle imposizioni e alle dinamiche del Sistema, e che proprio per questo è così pulsante, vitale e acuto, ma allo stesso tempo tendenzialmente rigettato da un (im)motivato ostracismo festivaliero che, per lo meno per quanto riguarda le kermesse maggiori (1485 KHz ha trovato le sue anteprime alla rassegna romana Extramondi e al Monsters Horror di Taranto, Inmusclâ andò all’Edera Film Festival, altri lavori furono retrospettivamente recuperati dal Future di Bologna, ma nessun Festival internazionale di primo piano ha mai avuto la lungimiranza di accorgersi di un talento evidente ormai da più di tre lustri), tende da sempre a ignorare i cortometraggi di Pastrello, quasi come a volerne silenziare lo sguardo e la voce mai accomodanti e mai “in vendita”, e anzi sempre tenaci, resistenti, rivoluzionari, ostinatamente liberi. Capaci di riprendere quasi come un testo di grammatica sul quale costruire il proprio personale linguaggio gli elementi più peculiari dell’horror d’atmosfera classico (le ombre, il vento, le lente carrellate, le sfocature, gli specchi, le persiane serrate, le luci che non si accendono, la plastica, i segni di presenze passate, le apparizioni o forse no, ma anche il sound design noise, la telecinesi degli oggetti, i piani olandesi, le gelatine rosse, le accelerazioni del montaggio, le oggettive che sembrano soggettiva del pericolo) e riscriverli nella ricerca di una voce (estirpata, obliata, e pure da fantasma ancora una volta da sradicare) che per una volta non sia quella del Padrone, ma quella opposta di chi non può fare altro che piegare la schiena e servirlo. Una voce a cui 1485 KHz (Se otto ore) vuole restituire la parola e con lei la dignità, passando attraverso una simile parabola di paura e di dolore profondamente inquietante ben al di là del brivido gelido del suo unico e agghiacciante jump-scare. Per farlo a Pastrello sono più che sufficienti una casa di campagna, una macchina, un carrello, uno smartphone (che ovviamente non prende), un paio di inquadrature sul bosco, la puntina di un giradischi e qualche decina di metri di nastro magnetico. Sono più che sufficienti un’attrice – ancora una volta la splendida Lorena Trevisan, non più una sorpresa –, un’unica atterrente comparsa, qualche luce per la fotografia e una manciata di oggetti di scena. Il resto lo fa un’idea, una visione d’insieme, la scelta certosina di ogni dettaglio visivo e linguistico, la capacità radicale di scarnificare τόποι cinematografici e situazioni fino ad arrivare al nitore della radice semantica dello sfruttamento, della dialettica negata fra servo e padrone, della continua e sadica rivincita di Golia contro Davide. Dell’ingiustizia, che non ha bisogno di indossare un paio di cuffie per essere vissuta.

Marco Romagna

“1485Khz” (2024)
Short, Horror, Mystery | Italy
Regista Michele Pastrello
Sceneggiatori Michele Pastrello, Lorena Trevisan
Attori principali Lorena Trevisan, Emiliano Grisostolo, Marco Marchese
IMDb Rating N/A

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