23 Maggio 2025 -

EXIT 8 (2025)
di Genki Kawamura

Produttore, sceneggiatore, romanziere, ora anche regista: Genki Kawamura è una figura poliedrica all’interno dell’industria culturale giapponese, anche per l’estrema diversità dei prodotti in cui si trova ad essere coinvolto. Tra i produttori de L’innocenza di Hirokazu Kore-eda e di anime usciti in sala anche nel nostro Paese come Your Name. e Weathering with You – La ragazza del tempo di Makoto Shinkai, decide di passare dietro la macchina da presa con un progetto crossmediale, l’adattamento di un celebre videogioco edito da Kotake Create uscito anche in versione VR per il Quest di Meta, Exit 8. Il gioco era una semplicissima avventura grafica, di sviluppo indipendente, un Walking Simulator che immergeva il giocatore in prima persona in uno spazio angusto all’interno della metropolitana di Tokyo, alla ricerca di alcune “anomalie” la cui risoluzione rappresentava un piccolo passo in avanti verso l’uscita  dal loop spazio-temporale in cui ci si trovava improvvisamente intrappolati. Kawamura replica fedelmente la “grafica” di quei corridoi, appoggiandosi in partenza all’immaginario videoludico per poi innestare narrativamente la metafora che gl’interessa dispiegare. Il mondo da cui fuoriesce il gioco, già anticipato da altri esempi simili come l’ormai celebre Slender: The Eight Pages di Windows, pesca a piene mani dall’immaginario “creepypasta” proliferato sulla rete fin dai suoi primi vagiti. Cosa s’intende? Derivato dal copypasta (copy and paste, una serie di eventi assurdi e leggende metropolitane copiancollati sulla rete attraverso forum e blog in primis, e poi grazie alla baraonda dei social network), la variante creepy non è null’altro che una nuova versione delle classiche storie di mostri e fantasmi narrate in pigiama-party o intorno al falò che tanto hanno contribuito alla diffusione della festa di Halloween al di fuori della cultura anglosassone. Fu nel 2014 che tutto questo fenomeno arrivò tristemente agli occhi dei media mainstream, con l’accoltellamento da parte di due ragazzine di una loro coetanea in Wisconsin, accusata di essere reincarnazione dello Slender Man, sorta di neo babau al centro di finti avvistamenti con tanto di taroccamenti fotografici tramite il diffusissimo (ai tempi) sito d’imageboard 4chan. È in questo magma, dunque, che pesca il film di cui parliamo in questo pezzo, con felice idea dei selezionatori incluso nelle adattissime Séances de Minuit (proiezioni di mezzanotte) del Festival di Cannes 2025. C’era una volta un uomo che rimase bloccato nella metropolitana di Tokyo senza più riuscire ad uscire, con la sola compagnia di un uomo con una ventiquattr’ore e un ragazzino…

L’occhio “da produttore” di Kawamura è palese nel mirabile uso di mezzi e scenografie: due corridoi, quattro attori principali, e un meccanismo di suspense e tensione dispiegato con mezzi semplici, quasi primordiali, a sottolineare il continuo andirivieni e commistione tra vecch(issim)o e nuov(issim)o della cultura pop e mediatica. Una prima parte in soggettiva, e un piano sequenza che la oltrepassa e la doppia, attaccando la camera prima agli occhi del personaggio principale e poi rimanendovi nei pressi, incombente, soffocante. Un treno della metro di Tokyo è stracolmo di uomini, tutti vestiti in giacca e pantaloni neri e camicia bianca da travet in direzione ufficio, mentre un unico elemento dissonante, bianco candido, una madre con figlio in braccio, che piange a pieni polmoni. Uno dei travet comincia a inveire pesantemente contro il bambino perché smetta di piangere, e il nostro protagonista, unico altro elemento dissonante perché vestito in maniera “sportiva”, si limita a guardare la scena senza intervenire in difesa della traumatizzata e imbarazzata donna. Appena sceso dal treno riceve una telefonata, e la sua ex gli comunica una gravidanza; il percorso per uscire dalla metro e raggiungerla in ospedale sarà inaspettatamente lungo e periglioso. Come si può intuire da questi pochi cenni, il film metaforizza la paura della paternità in arrivo e dell’obbligo di maturazione che essa comporta (vestirsi in felpa e jeans in luogo della divisa da ufficio) attraverso un lungo incubo, e ogni incontro lungo la via rappresenta un trauma da rimuovere sulla via per l’accettazione di responsabilità. Un assunto apparentemente tradizionalista ma in realtà molto connaturato alla cultura nipponica, che a noi occidentali può ricordare il Locke di Steven Knight con Tom Hardy, recentemente remakizzato in Francia con Vincent Lindon nel ruolo del protagonista assoluto, impegnato in un viaggio in macchina (quasi) in tempo reale intervallato da una serie di telefonate, sempre al centro della scena. In Exit 8, invece, la prima mezz’ora ripetitiva serve a immergere nel contesto lo spettatore, che inizialmente assiste in pratica a un gioco non interattivo, senza possibilità di scelta e manovra, intrappolato in una sorta di anello di Moebius (ricordate quanto si diceva della struttura narrativa del lynchiano Strade perdute?) dove ogni passaggio nello stesso spazio è sia una ripetizione che un cambiamento. I meccanismi orrorifici sono tutti usati al meglio, ed ecco quindi i jump scare, il rimpicciolimento estremo e claustrofobico dello spazio, i ratti mutanti, tutta una serie di elementi che il regista deus ex machina inserisce nel suo labirinto di criceti per studiarne attentamente le reazioni. E il meccanismo, seppure a tratti abusato, risulta funzionale, coerente, teso alla prosecuzione della storia anche quando, ed è un qualcosa che non vogliamo anticipare, si assisterà ai più inaspettati cambi di punto di vista. L’odissea servirà al Protagonista per uscire da se stesso, sperimentare l’empatia attraverso la protezione di un misterioso ragazzino apparso apparentemente dal nulla e, forse, riassistere alla scena iniziale senza fare solo da spettatore indifferente. Un piccolo film, quindi, da sostenere e consigliare senza timore di delusione, abilissimo a dispiegare, incrinare e poi infrangere il piccolo mondo che crea e architetta. La versione in celluloide (ci si perdoni il termine vetusto) di un gioco a risoluzione d’enigmi, erede di quelle avventure grafiche alla Monkey Island che contribuirono a spalancare verso mondi potenzialmente infiniti immaginari e game-play. Che si riesca a farlo in uno spazio angusto e con gli armamentari della Settima Arte è davvero un piccolo miracolo, e riconosciamo ancora una volta la bravura dei selezionatori del Festival di Cannes nell’andare a scovare questo piccolissimo gioiello. Non sempre, a dir la verità, le scelte per la mezzanotte sono state così oculate, anche in questa stessa edizione.

Donato D’Elia

“The Exit 8” (2025)
Horror, Mystery, Thriller | Japan
Regista Genki Kawamura
Sceneggiatori Kotake Create, Genki Kawamura, Hirase Kentaro
Attori principali Kazunari Ninomiya, Yamato Kôchi, Nana Komatsu
IMDb Rating N/A

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