9 Settembre 2016 -

QUESTI GIORNI (2016)
di Giuseppe Piccioni

“In Questi giorni non è successo niente, ma è cambiato tutto”. E Questi giorni, nella pretenziosità di un Giuseppe Piccioni che plana neanche tanto dolcemente sulla Mostra di Venezia come terzo, ultimo e nettamente peggiore – dopo Spira Mirabilis di D’Anolfi-Parenti e Piuma di Roan Johnson –, film italiano in Concorso, vorrebbero essere i giorni in cui sbocciare, riscoprirsi, trovare il proprio “Paradiso Perduto”, come nei versi di John Milton declamati in apertura da un mai così fuori parte Filippo Timi. Il film di Piccioni è un road movie che vorrebbe diventare un romanzo di formazione multiplo, un canto corale di quella generazione ancora in bilico fra l’adolescenza e l’età adulta, una lettura paradigmatica del rapporto fra generazioni e di quello fra l’Italia e i Balcani, ma che risulta invece una ridicola accozzaglia di cliché che si trascinano stancamente e senza il minimo sobbalzo emotivo né contenutistico per tutto il corso di una sceneggiatura piatta e sciapa, fredda e sovrastrutturata, gracile e spocchiosa, nella quale i personaggi vanno e vengono, i buchi narrativi si sprecano, gli aforismi non vanno a segno, i drammi vengono imboccati ai personaggi e allo spettatore in modo talmente goffo da rasentare la macchietta e le approssimazioni piombano come grandine sullo schermo.

Quattro amiche, dopo una serie di immotivate pose con lo sguardo in macchina già arroganti ai limiti dell’insostenibilità, una visita oncologica, qualche patetico pranzo fra di loro o in famiglia e qualche (in)sana scopata, si mettono in auto per accompagnare una di loro, la lesbica Caterina che mai parla apertamente delle sue pulsioni ma ci gira sempre pateticamente intorno come se fosse un tabù, a Belgrado per un’occasione lavorativa “irrinunciabile” – fare la cameriera in un ristorante di lusso, manco fosse la NASA. Delle altre, nel perfetto rispetto del senso di accumulo di retorica che pervade il film, Liliana ha un tumore che tiene nascosto a tutti – compresa la madre, una Margherita Buy che parte soft per poi esplodere nei soliti incontrollati piagnistei che puntualmente si ripresentano ogni volta che non la dirige Nanni Moretti –, Angela è invischiata in un tira e molla con un ragazzo che la tratta più o meno come una bambola gonfiabile e Anna è l’immancabile ventenne incinta del cinema italiano che decide di tenere il bambino nonostante il suo fidanzato sia mascolino, attivo, propositivo e collaborativo più o meno quanto un eunuco, o il putto di una fontana.

Ma non basta certo limitarsi alle protagoniste, perché nella spirale delle cadute di tono vorticano incessantemente anche i personaggi di contorno: da una parte il fratello di Caterina, prete che vive solo in un cascinale sperduto senza colletto ma con la foto di Bergoglio sulla parete, la cui Fede non vacilla ma il voto di castità vacillerebbe volentieri; dall’altra il già citato Filippo Timi, che dopo aver passato anni a credere di essere la reincarnazione artistica di Carmelo Bene e di Gian Maria Volontè torna a balbettare anche sullo schermo nel poco credibile ruolo di insicuro professore universitario con il quale Liliana vorrebbe discutere la tesi e anche qualcosa di più intimo, ma che finisce per cadere ai piedi della Buy nel dolore telefonato del ricovero della figlia e allieva; dall’altro ancora l’imbarazzante cameo di Sergio Rubini, padre nevrotico di Angela ridicolmente fissato con le polpette nel peggior ruolo di carriera; senza dimenticare Milos, il ragazzo serbo abbordato da Liliana in campeggio sulla strada per Belgrado e squallidamente abbandonato come un cane dalla gelosa Caterina in autogrill, che quantomeno si riprenderà però la meritata rivincita allontanandole al casuale incontro successivo.

Questi giorni è una rovinosa caduta sotto quasi ogni punto di vista da cui si salverebbero, seppur a fatica a causa della sceneggiatura mediocrissima in cui rimangono giocoforza invischiate, solo le quattro giovani attrici protagoniste. I dialoghi sembrano mutuati dalla fiction più dozzinale, il tema musicale è uno solo e pure brutto, la narrazione è sfilacciata in scenette autoconcluse e mai efficaci, la regia rimane statica in un profluvio di primi piani e di campi-controcampi provenienti dalla più “vecchia” accademia, incapace di concedersi il minimo respiro. E soprattutto la lucidità sulla generazione Ottanta-Novanta è pressoché nulla – a partire da Sergio Endrigo (che allo scrivente, classe ’87, piace pure, ma so perfettamente di essere un caso più unico che raro) abitualmente ascoltato nei viaggi in macchina, per passare alle cartine geografiche al posto del navigatore, che tutte e quattro avrebbero ovviamente integrato nello smartphone, il cui numero non viene salvato con un messaggio o uno squillo ma scritto su un foglietto. Quello di Piccioni è un tonfo sordo, rovinoso, imbarazzante, che è semplicemente vergognoso vedere parzialmente finanziato – come ricorda la classica schermata ministeriale di “interesse culturale” – con denaro pubblico, e che è forse ancor peggio vedere inserito a rappresentare l’Italia nella massima competizione cinematografica su suolo nazionale. Abbozzato, prevedibile e squallido, Questi giorni è una figura barbina, l’ennesimo crollo di una credibilità cinematografica internazionale riconquistata così a fatica dalle scorse edizioni veneziane, una casella da terzo italiano del concorso che, in mancanza di film presentabili, avrebbe fatto decisamente meglio a rimanere vuota.

Marco Romagna

“Questi giorni” (2016)
Drama | Italy
Regista Giuseppe Piccioni
Sceneggiatori Giuseppe Piccioni, Pierpaolo Pirone, Chiara Ridolfi
Attori principali Laura Adriani, Margherita Buy, Giulio Corso, Marta Gastini
IMDb Rating N/A

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