9 Settembre 2015 -

A BIGGER SPLASH (2015)
di Luca Guadagnino

Luca Guadagnino, con le sue ossessioni viscontiane, la sua ricerca stilistica a vuoto e la sua discutibile classe, ha raggiunto una celebrità internazionale con Io sono l’amore (2010), melodramma di eccessi stilistici frustranti che ha lanciato l’autore italiano verso cast di fama mondiale. Ed è riprendendo l’attrice britannica da Oscar che aveva fatto da protagonista nel film precedente, Tilda Swinton, e altri attori di fama paragonabile, che Guadagnino entra senza vergogna nel concorso di Venezia 72: e quello che porta con sé è un film alieno che ha deluso quasi tutti portando a insulti e fischi al regista, ma che è in realtà strano e discutibile in maniera molto più complicata e meno diretta di quanto non lo potessero essere i film precedenti dell’autore nostro connazionale. Viene in mente in questo senso, prima ancora di Io sono l’amore, l’imbarazzante adattamento cinematografico curato da Guadagnino del bestseller Melissa P. nel 2005, attaccato per uno stile spocchioso e ai limiti del dilettantismo, una sceneggiatura graziata oltre i limiti del ridicolo involontario, e non in ultima istanza il tonfo etico di un regista nel prestarsi, sotto le mentite spoglie di autore, ad un’operazione così smaccatamente squallida.

Ma torniamo al nuovo lavoro. Il film è innanzitutto un remake di La piscine (1969) di Jacques Deray, con Alain Delon e Romy Schneider, ma il cambio di titolo è essenziale in quanto fa riferimento al quadro omonimo di David Hockney, opera mastodontica di pop art in cui si vede l’effetto dell’azione umana ma non l’azione umana stessa, con lo schizzo in piscina di un uomo appena tuffato, ma senza l’uomo – e in sottofondo una sedia da regista vuota, presumibilmente occupata da Guadagnino stesso. Allo stesso modo, A bigger splash sembra dare l’impressione di essere un commento “col senno di poi” alla psicologia e alle interazioni tra personaggi molto dopo che tali personaggi hanno compiuto qualcosa di davvero interessante con le proprie vite – un qualcosa che non si vede ma che è raccontato o suggerito con brevi (e inutili) analessi, ma che soprattutto ha causato le tensioni che sono al centro del film. Tilda Swinton è una rock star che ha perso la voce e sta prendendo medicine per riacquistarla. Si ritira nell’isola di Pantelleria con il suo ragazzo, interpretato da Matthias Schoenaerts, regista di documentari che sta tornando in sé dopo un drastico alcolismo che l’ha portato ad un tentativo di suicidio. A sconvolgere la loro quotidianità vacanziera arriva a casa loro Harry, produttore discografico interpretato da un Ralph Fiennes in stato di grazia, con una giovane figlia (Dakota Johnson) di cui ha appena scoperto l’esistenza lui stesso. L’esuberante Harry è però l’ex di lei, e senza di lui i due protagonisti non si sarebbero mai conosciuti. Perché, dunque, Harry è giunto a Pantelleria?

Il film inizia con Tilda Swinton sul palco. Poi lei e Schoenaerts nudi. Fanno l’amore. Ritirano Harry all’aeroporto ed è una persona viscida ed esuberante. Le immagini sono tutte brevi e istantanee, non devono entrare nella pelle ma devono colpire – e perciò lo stile di regia spesso pulito ed elegante è a volte interrotto in maniera brusca e approssimativa da improvvisi scatti di zoom e cambi di focalizzazione che hanno del grottesco. Vedere poi Harry che fa il fiero comunista sfottendo i limiti di ogni personaggio con sfacciata onestà lo rende da subito il personaggio più interessante dell’opera, quasi una maschera sia comica sia tragica del tipo di cinema in cui Guadagnino ha provato ad immergersi con questo film: un cinema sospeso, vicino ad Antonioni ma anche volgare e pop come una sagra di paese rinnovata per gli anni ’10. Il rock è un fantasma e i suoi rappresentanti sono diventati snobisti, e non c’è più il senso rivoluzionario fresco che si poteva sentire nel ’69 in Francia, pensando al film originale.

Il film ne esce fuori con una fragilità strana, e con un’incomunicabilità che non è solo tra i personaggi ma anche tra Guadagnino e l’immagine della cultura in cui si immerge, ovvero la propria, quella italiana, proprio come Deray con la Francia. Non essendoci una vera introspezione dei personaggi quanto più una visione distante e spaesata dei loro caratteri, non si può parlare di un film che prende tutto dal punto di vista di qualcuno, quindi è imperdonabile l’approccio palesemente turistico con cui l’autore osserva la natura e lo Stato in cui è nato, compresa la fauna umana italiana, gli immigrati, e i pochi italiani trattati come individui (su tutti il carabiniere ridicolo interpretato da Corrado Guzzanti). Con una morale messa a caso sull’immigrazione e inquadrature che potrebbero tentare di essere cine-pugni come ai tempi del vecchio cinema russo (compreso un inaspettato e goffo primo piano di una foto di Giorgio Napolitano), il film apparentemente sguazza nella propria alta considerazione di sé stesso. A bigger splash sembra esistenzialista, sociologico, un ritratto del tempo, della morte, del decadere sensoriale e del mostrificarsi degli affetti, ma finisce quasi più per essere un gioco di stile fine a sé stesso in cui lo stile non è neanche ben identificabile – e, in aggiunta, non si crea quasi mai empatia, considerando che la sezione più drammatica (l’ultima mezz’ora) è anche quella più esplicitamente farlocca e gratuita. Però bisogna dar credito ad un miglioramento di stile e di organizzazione dei contenuti rispetto al film precedente: qui la follia è esplicita e la struttura collassa su sé stessa in maniera catastrofica, ma che a volte sembra volontaria. Inoltre non si può tralasciare un’inquadratura miracolosa nella scena più drammatica dell’intera opera, che comincia da sotto l’acqua di una piscina e finisce per diventare una ripresa aerea con una fluidità impossibile. Dunque, rimanendo uno dei film più dimenticabili del discutibile concorso di Venezia 72, l’opera di Guadagnino finisce comunque per essere qualcosa di diverso, che riesce nel tentativo di rimanere nella mente dello spettatore nonostante i suoi difetti superino i suoi pregi e le sue scene inutili superino le sue sequenze interessanti. Un film sbagliato ma molto libero, per il quale la pioggia di fischi al termine delle proiezioni veneziane è stata tutto sommato ingenerosa.

Nicola Settis

“A Bigger Splash” (2015)
124 min | Crime, Drama, Mystery | Italy / France
Regista Luca Guadagnino
Sceneggiatori David Kajganich (screenplay), Alain Page (story)
Attori principali Dakota Johnson, Ralph Fiennes, Matthias Schoenaerts, Tilda Swinton
IMDb Rating 6.1

Articoli correlati

SANGUE DEL MIO SANGUE (2015), di Marco Bellocchio di Nicola Settis
NON ESSERE CATTIVO (2015), di Claudio Caligari di Erik Negro
TI GUARDO - DESDE ALLÀ (2015), di Lorenzo Vigas di Nicola Settis
TANNA (2015), di Bentley Dean e Martin Butler di Marco Romagna
SOBYTIE - THE EVENT (2015), di Sergej Loznitsa di Erik Negro
L'ESERCITO PIU' PICCOLO DEL MONDO (2015), di Gianfranco Pannone di Marco Romagna