4 Maggio 2017 -

WHEN BLACK BIRDS FLY (2015)
di James “Jimmy ScreamerClauz” Creamer

Docce umide, cruente, cadaveriche, infiammate ovunque, passando in sanguinolente orge, non immedesimandocisi. Il lento fermentare (delle immagini) in luminose mistificazioni è una notevole, atroce morbosità, e reattivamente dobbiamo arretrare. È un istinto, quello di distogliere lo sguardo dall’orrendo. È un istinto irrefrenabile che rende a volte il cinema paradossale, ipercinetico, e ci sono autori come Philippe Grandrieux e altri della New French Extremity che hanno sotto certi punti di vista basato la teoria del loro cinema su questo paradosso, su quest’invisibilità epilettica, sul fuggire della macchina da presa dalla violenza, dalla luce, dalla fissità, per distrarre, per confondere, per alienare lo sguardo puro o corrotto di chi guarda. E l’estremismo di sesso e violenza nel cinema è una cosa difficile da maneggiare e da mettere in scena per svariate ragioni: tendenzialmente, perché bisogna dare un senso all’eccesso. Un senso che si può trovare in un conflitto etico (v. Salò o le 120 giornate di Sodoma), sociale (v. Cold Fish), spirituale (v. Martyrs), artistico-morale (v. la quasi intera produzione di Lars Von Trier, a partire da Antichrist) o semplicemente, per quanto riguarda l’intrattenimento più becero, in un utilizzare l’estrema violenza del prodotto per parlare della violenza, del suo effetto sullo spettatore, dell’inevitabile divertimento che spesso è conseguenza ultima della violenza (v. molti dei film di Tarantino e di Takashi Miike). La difficoltà spesso sta nel trovare davvero una giustificazione completa della violenza e dell’effetto disturbante del cinema, e una certa fetta di horror e derivati scaturiti negli ultimi anni parte da questa stupida necessità di provocazione infantile che porta i registi indipendenti a cercare sempre di superarsi l’un l’altro in litri di sangue finto sprecati e in infarti in sala ai festival. Qual è lo spazio che si merita James Creamer, detto “Jimmy ScreamerClauz”, tra questi estremismi cinematografici?

ScreamerClauz comincia la propria carriera come musicista di elettronica, per la precisione dedicando i suoi terrificanti e cacofonici progetti ai sottogeneri Speedcore, Horrorcore e EDM Hardcore. Mostra raramente la sua faccia, preferendo manifestarsi in un costume che lo vede a petto nudo, ricoperto di sangue finto, con un sacchetto di carta marrone in testa come Shia LaBeouf a Cannes dopo la conferenza stampa di Nymphomaniac. Comincia una passione per la costruzione di corpi e immagini in una grafica 3D rifatta a videogiochi visivamente sullo stile di Postal 2 e attorno a questa grafica costruisce prima le copertine dei propri dischi, poi i propri videoclip e in seguito una serie di lungometraggi, mediometraggi e cortometraggi in stile psichedelico. Dal mix minimalista di animazione e live action presente in Reality Bleed-Through (2008), Creamer è passato neanche troppo gradualmente ad un’estremizzazione barocca, surreale e lisergica delle sue ossessioni estetiche e malate, giungendo alla fama principalmente con il film a episodi Where the dead go to die (2012), orrenda operazione veramente infernale che mischia suddetta tecnica d’animazione datata e di difficile gestazione in un lungometraggio con una serie di nefandezze messe in scena in sequenza, senza pudore. Un amplesso tra un bambino, il cadavere della propria madre che ha appena abortito e un cane indemoniato ad esempio, o una scena di sesso tra una bambina e un bambino deforme, con lei che bacia appassionatamente il tumore/gemello siamese di lui mentre il di lei padre filma tutto e si masturba. Ma tutta questa crudezza, estetizzata fino all’epilessia e presa troppo sul serio, poi, non si sa come, riesce addirittura ad annoiare. La crudeltà gratuita, non supportata da qualcosa di vero, finisce davvero per essere solo una sfilza di immagini sconnesse, che tendenzialmente disturbano lo spettatore più per un fattore esterno all’immagine che per ciò che è nell’inquadratura: è più frequente lo strisciante timore della probabile malattia  mentale di ScreamerClauz che l’immediato distogliere lo sguardo dalle peggiori violenze. E davvero, non c’è un qualcosa di vero oltre questa estetica della violenza massimalista e pacchiana, i simbolismi (lo dice il regista stesso) non hanno una valenza allegorica, e le sottotrame demoniache e il segmento centrale che riprende un discorso fantascientifico che può casualmente riecheggiare Strange Days (1995) di Kathryn Bigelow alla fine non aggiungono nulla all’unica definizione onorevole possibile per Where the dead go to die: un crudo viaggio in un inferno perverso. Il grande pregio di ScreamerClauz alla fine è la sua indipendenza, la sua capacità di animare, dirigere, scrivere e montare i suoi film tutto da solo con pochi soldi, ma tutta l’indipendenza del mondo non può funzionare in alcun modo senza la grinta di un autore, la capacità di far fluire le immagini verso una direzione, o, se la direzione non esiste, verso una libertà. Le immagini di ScreamerClauz non sono libere, sono anzi chiusissime in un’anti-concezione dell’immagine: sanguinolenta, violata, impoverita, orgiastica, satanica, come la sua musica.

When Black Birds Fly, nella competizione ufficiale del Future Film Festival 2017, è stato in realtà presentato per la prima volta nel 2015 al festival del cinema horror di San Antonio (Texas), organizzato da Phil Anselmo, ex-membro dello storico gruppo thrash metal Pantera, attualmente frontman di Arson Anthem e Down. When Black Birds Fly ha due sostanziali passi avanti rispetto al suo predecessore, uno nel significato e uno nel significante: un inserimento innanzitutto di un’allegoria di base, con dei suoi momenti più o meno forti nella narrazione, e un leggero miglioramento nel comparto visivo. Il film si pone come un’allegoria del totalitarismo e soprattutto della corruzione e dell’incoerenza nella religione cristiana, allegoria che rimanda ai primi accenni di un muro che Donald Trump nel 2015 cominciava a millantare e alle prime prove che adesso il Presidente sta cominciando a mettere in atto le sue ardite decisioni, ma ovviamente ci si ricorda anche i Pink Floyd di The Wall (1975). Anche solo la presenza di una vera e propria trama è in effetti un punto positivo, visto che in Where the dead go to die ve n’era una parvenza ma senza via di fuga: in un mondo quasi interamente in bianco e nero chiamato Heaven, pieno di inquietanti corvi, ottenere un figlio significa far parte di una grottesco rituale di auto-mutilazione da parte dei genitori in onore del dittatore Caine (che ricorda sia il Caino biblico sia il “Citizen Kane” di Quarto Potere (1941) di Orson Welles), facendo manifestare un figlio già parzialmente cresciuto a partire da una strana larva psichedelica. Una di queste, morente, viene presa e allevata dai coniugi Daryl e Norma, e il figlio si chiama Marius. Istruito per non andare oltre il Muro, dove risiede la nemesi di Caine, Marius è da quasi subito pericolosamente autistico e curioso, e insieme all’amica dagli occhi azzurri chiamata Eden trova un buco nel muro e va a salvare un gatto oltre di esso scappando dalle inquietanti forze di polizia. Where the dead go to die e When Black Birds Fly sono in tutto e per tutto speculari: il posto “dove i morti vanno a morire” nel primo è palesemente un mondo-Inferno mentre la città protagonista del secondo si chiama Heaven cioè “Paradiso” (e la bambina di nome Eden forse richiama Antichrist), il primo pur con i suoi riferimenti cristologici è molto legato alla figura di Satana mentre il secondo mette in scena la “vita privata” di Dio, e dove l’invito all’Inferno era da parte di un cane l’entrata del Paradiso è costituita da un incontro con un gatto. ScreamerClauz condanna sia l’Inferno che il Paradiso dunque, con una visione nichilista e umanista sia della figura demoniaca sia di quella divina, satirizzando sulla folle e a suo modo divertente figura di Caine. Il prologo, nonostante la scarsità dell’animazione, appunto dimostra dei miglioramenti e colpisce l’occhio per le trovate psichedeliche, ma il film comincia a farsi più serio con l’entrata all’interno del muro, con la quale inizia un percorso di sbizzarrimento stilistico per il regista: il tossico e allucinatorio stato in cui vengono lasciate le tremende e barocchissime immagini, però, è un’operazione postmoderna fallimentare; si mischiano immagini preesistenti (frattali e altre superfici ripetute fino allo sfinimento) incollate malamente l’una sopra o dietro all’altra, cosa che priva le sequenze del proprio potenziale fascino horror. ScreamerClauz sembra fare di tutto per soffocare la possibile potenza del suo soggetto, inventandosi mitologie cristiane sconclusionate e alternando violenze indicibili con inguardabile sangue gelatinoso a tinte di pathos tragico trattate in verità con grande freddezza. L’aspetto allucinatorio e “glitch” e quello violento sono qui trattati però in maniera opposta rispetto al film precedente, in cui la violenza precedeva la psichedelia. Ma tra una traslazione carnale di una bambina in un coniglio (che segue la moda horror di The Human Centipede e Tusk), risse immotivate della polizia, stragi varie e aborti, la violenza e il sesso non mancano, in un turbine senza fine di follia malata che fa lentamente perdere significato all’operazione tutta. Quella che poteva essere un’aspra critica all’America e al Vaticano è rimasta sprecata, con tanto di moralismo conclusivo inspiegabile e stoltamente fuori contesto, venendo lentamente sostituita da una proiezione mentale gratuitamente complessa, resa con un eccesso che non va d’accordo con lo stile povero dell’ambizioso regista.

Tra i personaggi principali vi è un corvo chiamato Corvus, doppiato da David Firth. Per chi non sapesse chi fosse, Firth è uno dei principali animatori indipendenti britannici. Attivo sul web anche come musicista elettronico dal 1998, possessore del sito fat-pie e attivo su NewGrounds, Firth ha girato videoclip (ad esempio per Aphex Twin), spot pubblicitari, cortometraggi grotteschi e mini-serie online, tra le quali la più celebre è Salad Fingers, visibile per intero su YouTube sul suo canale ufficiale. Violento, surreale, incomprensibile ed estremamente rudimentale nei mezzi. La sua inquietante voce, resa se possibile ancor più cupa dall’incedere veloce del suo accento da South Yorkshire, torna perfettamente con il suo personaggio in When Black Birds Fly, ma è anche un cupo promemoria di cosa si può fare con pochi mezzi e uno stile più distinto e geniale. Non tutta la produzione di Firth è composta da grandi pezzi di cinema, anzi, ma il suo talento speciale nel creare in immagini situazioni onirico-grottesche e post-apocalittiche è davvero un ricordo triste comparato alla visione di When Black Birds Fly. Anche solo a livello sensoriale, una qualsiasi puntata di Spoilsbury Toast Boy riesce a inquietare e a divertire più di un qualsiasi tassello del fluviale, pesante e opprimente ultimo lungometraggio di ScreamerClauz. Pur dunque con una speranza in un’evoluzione dell’autore nello scrivere trame da portare poi in immagini, non si può che condannare come gratuito e fallimentare pure l’ultimo lungometraggio di questo autore. Ma davvero non ha senso perdere speranza: non sono pochi i riferimenti cinematografici nei quali il regista può riscovare il futuro del suo cinema, da Lynch a Cronenberg, da Kenneth Anger a John Waters, da Dario Argento a Lars Von Trier, da Miike allo stesso David Firth. E infine rimane solo un’enorme delusione.

Nicola Settis

“When Black Birds Fly” (2016)
105 min | Animation, Horror, Mystery | USA
Regista Jimmy ScreamerClauz
Sceneggiatori Jimmy ScreamerClauz
Attori principali J.D. Brown, Brandon Slagle, Devanny Pinn, David Firth
IMDb Rating 5.8

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