30 Maggio 2017 -

TOMBA DEL TUFFATORE (2016)
di Yan Cheng e Federico Francioni

«L’uomo è un’invenzione di cui l’archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima.»
[Michel Foucault in Le parole e le cose, 1966]

Tomba del tuffatore parte dal nome dell’opera d’arte così denominata trovata a Paestum a fine anni ’60, enigmatico e affascinante coperchio di una tomba della Magna Grecia di circa due millenni e mezzo fa che mostra un tuffo nell’acqua da dietro un muretto, ma non c’è solo quello. In un certo senso, si può dire che il film di mezz’ora di Federico Francioni e Yan Cheng sia una divagazione su di un’allegoria, un documentario che utilizza un’immagine per poi comunicare per immagini, non delineando un disegno preciso e composto che va in una determinata direzione bensì vagando tra gli spazi della Costiera Amalfitana cercando, appunto, queste immagini. Non vi è un’allegoria o una serie di simboli che possano suggerire una chiave di lettura metaforica, bensì ci si concentra semmai sull’illustrare, attraverso un continuo susseguirsi di inquadrature che passano da un occhio turistico a uno apocalittico, l’ostentazione di questa metafora: il passaggio dalla vita alla morte, che sembra essere la più immediata e condivisa teoria sul significato dell’opera funeraria originale. Ma cos’è che è morto e che va rivisitato, negli occhi di Francioni e Cheng? Rivisitato nel senso di ri-compreso, ri-attualizzato, ri-dimostrato attraverso le pieghe del montaggio, in questo paragone del tempo, nel tempo, senza tempo? Forse è il tempo stesso, che è morto, o che è privo di una logica, come facendoci piombare in una sorta di atemporalità ucronica, che vive attraverso parallelismi. Si susseguono i salti pindarici tra uno stacco di montaggio e l’altro, ma sono anche salti reali, tuffi, che estetizzano e rinnovano, in un’ottica storiografica, il tuffo originale, quello dell’opera d’arte, oppure la caduta di una goccia d’acqua sull’obbiettivo. L’irrappresentabile congiunzione (quella di cui parla Eisenstein) tra due, tre, quattro, infinite visioni diventa una realtà, un mosaico, la cui rappresentazione irreale ed esteriore è forse manifestabile attraverso quell’opera d’arte antica, quel fantasma mortuario che forse non è neanche un’allegoria ma solo una messa in immagine di un gesto, di una disperazione o di una liberazione.

Passato nella sezione Satellite al Pesaro Film Festival 2016 e poi vincitore della Menzione Speciale nel Concorso Casa Rossa Art Doc al Bellaria Film Festival, Tomba del tuffatore è un film sull’ordine e sul disordine, che parte dal primo e si tramuta nel secondo. Temporali, matrimoni tra donne, umanità attraverso la geografia e la “geografizzazione” del terreno. Se Zulawski con Cosmos (2015) ha teorizzato questa nuova idea di cinema, in realtà già presente in film passati, in cui il film dev’essere una sorta di ritratto scomposto inspiegabile che mischia ordine e disordine, piccolo ed enorme, anima e cervello, allora Tomba del tuffatore può rientrare in questo turbine, risultando il figlio sconnesso di storicizzazioni che finiscono per convergere in un presente che è assente, in un tempo “scolpito” che non passa. È un film-flusso, che si muove puramente attraverso una carica emotiva e sensoriale in continuo e completo movimento – al punto che è quasi indescrivibile. Forse, inintelligibile senza il contesto del fuori campo, di ciò che trascende la visione dell’inquadratura nella propria unicità bloccata o movimentata. Il pericolo, il digitale, la rovina, l’esplosione. Il tuffo nel vuoto di un’incomprensione, di un ‘voyage of time’ per niente malickiano, più vicino forse ad un neo-Flaherty più da cinema diretto, e più astratto. È un flusso di realismo teorico, che viaggia ben oltre un tentativo di un’immagine comprensiva o totalizzante, cercando un oltre, viaggiando nell’oltre, che poi annulla, implodendo. Se nelle rovine davvero si cela la ricostruzione, come dice Valuszka verso la fine de Le armonie di Werckmeister (2000), nella costruzione (dell’immagine, della natura, dell’arte, dell’edificio) forse si cela la descrizione del decadimento, del tempo, della sua decistruzione, dei suoi punti fermi e fissi. E allora forse tuffarsi verso la morte comincia ad assumere senso, per smuovere queste barriere e andare avanti, lontani lontani nel tempo, lontani lontani nel mondo.

Nicola Settis

“Tomb of the Diver” (2016)
30 min | Documentary, Short | Italy
Regista Federico Francioni, Cheng Yan
Sceneggiatori Federico Francioni, Cheng Yan
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

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