30 Agosto 2023 -

80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica_30 Agosto – 9 Settembre 2023_Presentazione

È un Leone (d’Oro) ormai ufficialmente ottuagenario, quello che accoglierà le consuete frotte di accreditati in arrivo in motoscafo al Lido di Venezia per l’edizione 2023 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Una nuova cifra tonda con cui la più antica manifestazione cinematografica del mondo, ancora una volta sotto l’egida di Alberto Barbera, spegne le candeline sospirando sin dal poster realizzato da Lorenzo Mattotti al grande road movie americano, agli spazi sconfinati, a una strada ancora tutta da percorrere verso un futuro ancora tutto da scrivere, o forse sarebbe meglio dire da immaginare e mettere in scena, e poi da selezionare e da presentare su uno schermo più grande e luminoso possibile. Un’immagine che sembra in qualche modo voler rispondere alle paure montate negli scorsi mesi insieme allo sciopero degli attori di Hollywood, rilanciate dal caso di Challengers di Guadagnino prima annunciato in apertura e poi ritirato dalla produzione, rinviato per non ‘bruciarsi’ le prime senza Zendaya a promuoverlo (con Comandante di Edoardo De Angelis ‘promosso’ a inaugurare la Mostra), e invece rientrate al momento dell’annuncio di un programma veneziano come ormai di consueto fitto di grande cinema americano, a rendere evidente una prova di forza da parte della Mostra nel riuscire a vincere chissà quanti bracci di ferro per mantenere intatto, anche nell’anno più complicato di sempre, il suo rapporto ormai privilegiato con il cinema statunitense e hollywoodiano. Eppure, se da una parte sarebbe ipocrita negare il piacere di potersi confrontare nel corso dei prossimi dodici giorni, fra concorso e fuori concorso, con i nuovi lavori di grandi autori come Micheal Mann, David Fincher, Richard Linklater, Woody Allen, Frederick Wiseman e Harmony Korine, ma anche Sofia Coppola, Wes Anderson, Bradley Cooper e soprattutto l’opera tragicamente diventata nel frattempo postuma di William Friedkin, dall’altra è difficile non ritrovarsi per l’ennesima volta a guardare una selezione ufficiale così evidentemente sbilanciata verso occidente, o forse sarebbe meglio dire verso gli Stati Uniti, la Francia e l’Italia (con addirittura sei lungometraggi nostrani in concorso, e quattordici su ventitré sommando i tre Paesi e le loro co-produzioni), fino a interrogarsi ancora una volta su quale sia il reale ruolo della Mostra di Venezia, e su come la sua vocazione statutaria, lungo il corso della lunga gestione Barbera, stia sempre più andando scomparendo.

Il ruolo di Venezia non è quello di fare da volano per le distribuzioni europee dei film americani, né quello di anticamera degli Oscar, né tanto meno quello di fornire una vetrina a quello che sarà il catalogo Netflix della successiva stagione. Venezia, a ben vedere, non è nemmeno un Festival. È una Mostra Internazionale d’Arte organizzata nell’ambito dei lavori della Biennale, fondata e gestita su dinamiche totalmente differenti da quelle di Cannes. Dinamiche nelle quali conta allargare il più possibile lo sguardo, e non restringerlo verso una – per quanto valida possa essere – sola idea. In tutto il concorso l’intera Asia è quest’anno rappresentata da un solo giapponese, Ryūsuke Hamaguchi (mentre Shinya Tsukamoto è stato inspiegabilmente relegato in Orizzonti, mentre l’altro grande film postumo della Mostra, quello del cinese Pema Tseden, sarà fuori competizione), l’Africa è totalmente assente, l’Oceania del tutto non pervenuta e il Sudamerica è rappresentato solo da Pablo Larraín e Michel Franco. Ma pure la vecchia Europa, a ben vedere, si nota sì per la presenza, competitiva o meno, dei vari Bonello, Brizé, Polanski, Besson e Dupieux, oltre all’infornata italiana con il già citato De Angelis in aggiunta a Garrone, Sollima, Costanzo, Diritti e Castellitto figlio, ma forse ancor di più per le assenze, dal capolavoro di Radu Jude appena presentato a Locarno (insieme a Lav Diaz e Franco Maresco di fatto a loro volta scaricati da Venezia dopo, rispettivamente, un Leone d’Oro e quasi un’intera filmografia di prime al Lido con tanto di Premio Speciale della Giuria per La mafia non è più quella di una volta), e l’altro grande rumeno Cristi Puiu che andrà nei prossimi mesi a San Sebastian. Tanto che è un po’ paradossale come la rappresentanza geografica, sulla carta così fondante per la selezione ufficiale (non solo per Orizzonti che dovrebbe in teoria fondarsi proprio sulla ricerca, ma anche per la competizione che in quanto principale vetrina dovrebbe il più possibile spingere le realtà che meno di altre arrivano da sole al botteghino), sia in realtà molto più facilmente reperibile nelle sezioni indipendenti e parallele, con una Settimana Internazionale della Critica che spazierà liberamente dalla Germania a Hong Kong, e con il fitto programma di Giornate degli Autori che partirà con il film cubano dell’allievo diaziano Tommaso Santambrogio per spostarsi poi fino in Malaysia, Grecia, Marocco, Giappone, Spagna, Olanda e Stati Uniti. Come a dire che, a volte, i film basterebbe avere voglia di cercarli.

È per questo che il programma di questa Venezia80, al di là dell’evidenza dei nomi più scintillanti e del piacere nel constatare la potenza dimostrata dal sempre amato Leone nell’essere più forte della protesta che sta rimettendo in discussione l’intera industria hollywoodiana (più che legittima forse non tanto sugli ammontare di diritti d’autore comunque principeschi, ma senza dubbio sul voler evitare a tutti i costi che l’opera di ingegno umano possa essere sostituita anche in parte dall’anaffettività in silicio delle intelligenze artificiali, anche se non è questo il punto né tanto meno la sede per discuterne), convince solo in parte, sempre più radicato nel suo lavoro al contempo ottimo eppure limitato e limitativo nella sua troppo estrema settorialità, come se i film provenienti da parti del mondo meno battute dovessero essere in qualche modo nascosti, lasciati in secondo o terzo piano, preferendo dare visibilità a chi nella stragrande maggioranza dei casi la avrebbe comunque, e i clamorosi e inaspettati successi anche commerciali estivi del pessimo Barbie e del magnifico Oppenheimer sono qui a dimostrarlo in maniera lapalissiana. Il resto lo fa, per il secondo anno consecutivo – il quarto aggiungendo i due pandemici con la piattaforma Boxol, criticata e sostituita con una ben peggiore – il disastroso (e ormai totalmente inutile, quando a emergenza sanitaria rientrata sarebbe stato più che sufficiente tornare alle tradizionali file fisiche che a Venezia, a differenza che a Cannes, hanno sempre funzionato a dovere) sistema di prenotazione dei posti in sala con VivaTicket. Un sistema lento, macchinoso, malfunzionante ai limiti dell’inutilizzabile, basato principalmente sulla fortuna di essere ammessi nel momento giusto fra un crash informatico e l’altro, che nelle prime due tranches (iniziando questa volta addirittura sei giorni prima dell’inizio delle proiezioni) ha già avuto modo di impallarsi per ore, distribuire ometti che camminano in previsioni di file virtuali totalmente casuali, buttare fuori e rimettere in coda senza aver fatto prendere tutti i biglietti desiderati. Per uno stress che inizia molto prima dei giorni della Mostra, che non consente o quasi cambi di programma, che toglie quei fondamentali momenti di socialità e confronto nei pochi minuti coda per entrare a una proiezione che hanno sempre fatto parte della vita festivaliera, e dei quali si inizia oramai a sentire forte la nostalgia auspicandone un pronto ritorno. Un piccolo passo indietro che renderebbe la vita molto più semplice (e a ben vedere anche più democratica, non più legata alla velocità della connessione e all’abilità con uno smartphone) a tutti gli accreditati, appassionati e professionisti. Persone perfettamente consapevoli di come partecipare alla Mostra di Venezia sia sempre e comunque un privilegio, un motivo di gioia, un momento di crescita, e di come non abbia il minimo senso passarlo a lamentarsi. Eppure, quando basterebbe così poco per risolverne i problemi, sarebbe profondamente sbagliato non rimarcarli. Proprio perché a Venezia vorremo sempre bene, e viene istintivo dirle qualcosa quando potrebbe migliorare. Come si farebbe con un amico, con un parente, con un grande e inusitato amore. Con un Leone di ottant’anni che si vuole veder ruggire ancora molto a lungo.

Marco Romagna

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