4 Luglio 2017 -

BREAK UP – L’UOMO DEI CINQUE PALLONI (1965-1967)
di Marco Ferreri

Qual è l’esatta quantità d’aria che può contenere un palloncino? Qual è il suo punto di rottura? E soprattutto, qual è il punto esatto del fallimento umano, dell’ossessione più annichilente, dell’incertezza che diventa alienazione? Break up – L’uomo dei cinque palloni è una spirale allucinata, è l’imponderabile che entra in una vita apparentemente perfetta e la distrugge dall’interno, è una parabola d’impossibilità nel trovare una reale realizzazione, è una fotografia di crisi dei valori e di superficialità del capitalismo pronta a deflagrare nei paradossi, nelle astrazioni e nell’ironia più agghiacciante di Marco Ferreri. È un film estremamente evocativo e complesso, e forse proprio per questo L’uomo dei cinque palloni, ri-presentato in un mare di palloncini in Piazza Maggiore al Cinema Ritrovato 2017 di Bologna, è anche un film così maledetto e travagliato. Girato da Ferreri nel ’65, ottenne il visto censura ma venne ignobilmente ridotto a meno di mezz’ora dal produttore Carlo Ponti, convinto che così com’era non potesse avere successo, per farne un episodio di Oggi, domani e dopodomani insieme ai (ben inferiori) capitoli di Eduardo De Filippo e Luciano Salce. Due anni più tardi, L’uomo dei cinque palloni venne rieditato in Francia con l’aggiunta di tre nuove sequenze fra le quali l’unica, magnifica e fondamentale, a colori, e con il titolo Break up, scelto probabilmente per riecheggiare il successo di Blow up (1966) di Antonioni nel frattempo uscito nelle sale di tutto il mondo. In Italia, tuttavia, il film di Ferreri restò ancora a lungo invisibile, per poi uscire in versione integrale solo nel 1979, con 10 anni di ritardo e soprattutto in 16mm bianco e nero. Solo lo scorso anno, con il nuovo restauro premiato a Venezia 2016, è stato possibile recuperare la definizione del 35 e i colori profondi della sequenza onirica, riscoprendo in sostanza un film che quasi nessuno aveva potuto vedere per cinquant’anni.

Mario (Marcello Mastroianni) è un industriale delle caramelle, sempre alla ricerca della perfezione nella produzione, votato all’innalzamento dei ritmi produttivi, pronto a investire nei migliori ritrovati della tecnica per migliorare costantemente la sua fabbrica. È una macchina da soldi, preciso e brillante nel suo lavoro, ordinato e felice in una vita in cui pianifica con cura il matrimonio con la magnifica e comprensiva Giovanna (Catherine Spaak) e in cui comanda a bacchetta l’intera famiglia/servitù che gli sbriga le faccende di casa – ma anche lì, fra mele morsicate e riposte nel frigo e continue entrate a sorpresa, finirà per subire piccoli atti di ribellione che gli faranno perdere progressivamente il controllo. Basta poco, infatti, a mettere in crisi il suo microcosmo di plastica; basta un dubbio amletico, basta un’ossessione che apra a ciò che sfugge alla razionalità, spesso matematica e automatizzata, imposta dalle leggi del capitale: di quanta aria si può riempire un palloncino prima che esploda? Fra variabili incalcolabili e continui scoppi, diventa chiaro come la vita del boom economico sia monotona nel suo accumulare denaro, e come sia sufficiente una sola piccola domanda non controllabile perché tutto diventi non più quantificabile, misterioso, atterrente. Per sprofondare in un abisso di paure e ossessioni, che rivela tutta la fragilità dell’uomo e del sistema del quale l’uomo fa parte, basta un palloncino, basta un innocuo gioco per bambini, basta una “piccola nuvola poetica” e colorata. Basta un solo quesito insoluto per aprire al caso, per immergersi nell’irrazionale, per rendere inutile la miglior ingegneria tedesca, per annichilire pure la scienza e la filosofia: anche in condizioni di meteo, temperature e umidità identiche ci sarà sempre un palloncino più gonfio rispetto a un altro apparentemente uguale, e ci sarà sempre il fallimento morale di chi non riesce a riempirlo al massimo della sua capacità senza lasciare vuoti né farlo scoppiare. Basta una domanda che sfugge al controllo, basta uno scoppio nelle mani, e conoscere l’esatto punto di rottura del palloncino diventa incubo, fallimento, delirio, abbandono. Morte.

Sin dai titoli di testa, e ancor di più sull’incipit, Marco Ferreri spezza l’immagine e il suo flusso, la frammenta, la rallenta fino alla fissità della fotografia mentre i dialoghi (d’affari, ovviamente: è il capitalismo) regolarmente scorrono nella loro spersonalizzazione; bisogna velocizzare e aumentare la produzione, bisogna perfezionare ulteriormente la fabbrica, bisogna investire in pubblicità, anche se stampata su palloncini che inizialmente non convincono più di tanto. Le immagini fisse di Ferreri sono una scelta estetica che, a brevissima distanza, quasi ricorda La passeggera di Munk (1963), ma dove nel capolavoro (postumo) cecoslovacco le fotografie di scena tessevano i fili fra le sequenze che, a causa della tragica e prematura morte del regista, non furono mai girate, Break up – L’uomo dei cinque palloni usa le still in apertura e in chiusura non tanto in maniera funzionale, ma costruendole ritmicamente come una vera e propria introduzione al protagonista e alla sua spirale ossessiva, permeandole di quello stesso senso di spaesamento nel quale finirà inevitabilmente per piombare il personaggio interpretato da Mastroianni. Lo stesso senso di spaesamento di una Bandiera rossa di sottofondo che diventa una canzoncina di Natale, come se il resto del mondo si addentrasse nel consumismo e nel capitalismo più selvaggio proprio nel momento in cui Mario, vittima delle proprie ossessioni, compie un percorso opposto verso l’intima fragilità dell’umano. Nonostante la servitù che riporta le classi sociali anche nell’appartamento con tanto di allusioni sul filo della pedofilia verso la giovanissima rampolla, nonostante la magnifica promessa sposa e la sua capacità di sedurre, nonostante il cane quasi patrizio nella sua mole e nelle sue abitudini alimentari, Mario è solo. Lo è per (impossibilità di) scelta, lo è per alienazione, lo è per delirio. Lo è per un palloncino, faro di imprevedibilità puntato sulla sostanziale inutilità della sua vita. Del resto, gonfiare il palloncino cos’è se non una chiara metafora di come il capitalismo e il consumismo non pensino ad altro che a riempire (le tasche), accumulare (denaro), gonfiare (i conti)? Viviamo in una società che immette e che si espande, sempre, assiduamente, come un’ossessione, fino a quando non è troppo tardi. Nel palloncino che esplode sta una società sempre sul punto di rottura, sempre ciecamente riempita al massimo della propria capacità, e quindi sempre sull’orlo del collasso. Sta qui tutta la potenza contenutistica del film, ed è qui che, necessariamente, si concentra tutta la sua “cattiveria”. Si ride del tragico, si rabbrividisce per il comico: questo è Break up – L’uomo dei cinque palloni, maledetto e ritrovato, probabilmente una delle migliori opere di Marco Ferreri, parabola di delirio e di indifferenza apertamente politica e amaramente disillusa.

La giornata messa in scena da Ferreri è, per l’instancabile lavoratore Mario, l’unica di riposo. Una giornata nella quale stare con la fidanzata, nella quale riposarsi, nella quale pensare al futuro della coppia, ma ben presto anche la libido sparirà, sopraffatta dall’incedere delle ossessioni. Giovanna diventa quasi un agente di disturbo, non più l’amore, e nemmeno più l’oggetto sessuale: conta solo il pallone, ed è intorno al pallone (se vogliamo pure lui, di per sé, leggibile come preservativo) che vertono tutte le spassose allusioni ferreriane fra “pompe”, “vieni” e “colpi” da contare per calcolare l’esatta quantità d’aria contenuta nella sottile plastica tesa. Sta sempre in uno scoppio l’amaro finale di ogni palloncino, sta sempre nel fallimento, sta sempre nell’impossibilità di sapere esattamente quando fermarsi. Nemmeno parcheggiare Giovanna davanti alla televisione e uscire alla ricerca dei propri ingegneri serve a qualcosa se non all’umiliazione pubblica di Mario, se non all’ammissione indiretta di come le sue ossessioni stiano diventando follia, magari in una sauna affollata, dove persino impermeabile e cappello diventano oggetto di scherno. La spirale allucinata e pervasa dell’ironia “perfida” di Ferreri procede fra massaggi e mele, fra parziali striptease e vicini che si ritrovano la casa invasa da ninfomani seminude, fra aste d’antiquariato e totale impermeabilità della società nei confronti della tragedia umana, fino alla sequenza a colori della festa, apice fra il surreale e l’onirico, vertice/vortice grottesco di palloncini in volo e di altro sesso (ormai im)possibile da consumare. Nell’assurdo della sequenza, Ferreri lavora sui contrasti fra le tonalità calde e quelle fredde, mentre fa letteralmente volare Mario come i sogni di un bambino destinati a diventare un incubo insoluto e insolubile: è un vero e proprio shock cromatico, e non può che rimanere una parentesi di colore, uno squarcio di rosso, di blu e di giallo in una vita che si rende conto della sua piattezza, della sua superficialità, dei suoi toni di grigio ormai incapaci di far brillare la luce, come una semplice massa sempre più oscura nella quale inevitabilmente ripiombare e della quale tentare di liberarsi.

Non può che finire con un abbandono da parte di Giovanna che non riesce più a supportare il suo uomo, non può che finire con lo stringere verso l’autodistruzione della spirale ossessiva, ma soprattutto non può che finire con il salto di Mario giù dalla finestra aperta: l’unica possibile liberazione, o forse l’esecuzione dell’auto-condanna per le proprie imperfezioni e per le proprie fragilità in una società chirurgica e meccanica. Non può che finire con l’apice dell’umorismo nerissimo di Ferreri, magnificamente incarnato dall’Ugo Tognazzi proprietario dell’auto sulla quale Mario si schianta e nelle sue lamentele per i danni materiali alla macchina, senza minimamente preoccuparsi dell’atto estremo dell’uomo che si è appena tolto la vita. È un finale agghiacciante, magnifica conclusione di un film straordinario, di una fotografia impietosa della superficialità del capitalismo, di un decalogo dell’eterna insoddisfazione umana. In fondo, Break up – L’uomo dei cinque palloni insegna che non può esistere reale realizzazione perché viviamo in un mondo finto, fatto di interessi e di convenzioni sociali, fatto di vizi e di soddisfazioni effimere, fatto di regole e di ferree ripetizioni di uno schema che nient’altro fa che riempire fino all’esplosione. È un mondo talmente “perfetto” che, appena si apre a uno squarcio di ignoto e quindi alla paura, (ri)diventa un luogo spaesante e spaesato, come le immagini che tornano a essere fisse, tornano a frammentarsi, tornano a costruire un bosco di specchi deformanti nel quale, inevitabilmente, perdersi. Come Mario, il cui salotto è ora vuoto, da nido d’amore a camera ardente, da progetto per il futuro a rimpianto verso il passato. Ucciso da un dubbio che si fa paura, ucciso da un palloncino che si fa metafora, ucciso da una società che si fa capitale; la stessa società del boom economico che nemmeno di fronte a un uomo volato dal piano più alto ha tempo per essere umana, ma deve continuare imperterrita, come se nulla fosse, a produrre, consumare e crepare.

Marco Romagna

“The Man with the Balloons” (1965)
85 min | Comedy | Italy / France
Regista Marco Ferreri
Sceneggiatori Rafael Azcona, Marco Ferreri
Attori principali Marcello Mastroianni, Catherine Spaak, Ugo Tognazzi, William Berger
IMDb Rating 7.4

Articoli correlati

VITTORIA (2024), di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman di Marco Romagna
QUESTI GIORNI (2016), di Giuseppe Piccioni di Marco Romagna
MARIA (2024), di Pablo Larraín di Donato D'Elia
QUEER (2024), di Luca Guadagnino di Marco Romagna
IDDU (2024), di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza di Marco Romagna
I COMPAGNI (1963), di Mario Monicelli di Marco Romagna