3 Settembre 2022 -

BONES AND ALL (2022)
di Luca Guadagnino

Sarebbe potuto essere metafora della diversità e dell’emarginazione, il cannibalismo al centro di Bones and all. Sarebbe potuto essere metafora politica, con quella carne umana da sbranare proprio come quotidianamente si viene sbranati dalla società e dal Capitale. Sarebbe potuto essere metafora (omo/pan)sessuale, con quel desiderio irrefrenabile che non è possibile e anzi sarebbe profondamente sbagliato reprimere, e con il feticismo di quella lunga treccia-souvenir con cui ricordare ogni pasto. O ancora sarebbe potuto essere metafora di una (tossico)dipendenza, della convinzione di riuscire a smettere quando si vuole e del continuo inevitabile ricascarci, come altri cannibali, dopo averlo fiutato, diranno espressamente al giovane mangiauomini interpretato da Timothee Chalamet. Il problema del nuovo lavoro di Luca Guadagnino, semmai, sta nel cercare tutto insieme e al contempo nulla di questo, in una continua sovrapposizione dei piani che rimane sempre sulla superficie e in realtà porta ben poco lontano nelle possibili stratificazioni. Del resto, anche il teen movie a stelle e strisce di cui Bones and all vuole venare di pennellate orrorifiche i dettami non riesce a canalizzarsi in un reale romanzo di formazione per i protagonisti, che tenteranno a un certo punto di ritagliarsi una vita apparentemente normale ma non potranno che essere raggiunti da ciò che intimamente sono. Così come il road movie che attraversa quasi metà degli Stati Uniti facendo scorrere da ovest verso est al di là dei finestrini dell’auto la Virginia, il Maryland, l’Ohio, il Missouri, l’Iowa, il Minnesota e il Nebraska reaganiani degli anni Ottanta non riesce a essere un reale viaggio, ma solo un costante spostamento, una fuga senza fine tanto rapida nei cambi di Stato che, senza lasciare il tempo per immergersi nei luoghi e minimamente viverli, potrebbe in realtà essere ambientata più o meno ovunque e in qualsiasi periodo storico mentre l’Arthur Penn di Bonnie and Clyde continua a guardare da lassù, come un riferimento lontano anni luce, probabilmente irraggiungibile. Eppure non è totalmente disastroso come si poteva temere Bones and all, nuovo lavoro tutto americano con cui il palermitano Luca Guadagnino torna ancora una volta a Venezia e al suo concorso principale. È solo un mediocre film mainstream che in qualche modo riecheggia Twilight sostituendo i cannibali ai vampiri, forte del cast di richiamo (anche se proprio Chalamet, fra gli ottimi co-protagonisti Taylor Russell e Mark Rylance, ma anche rispetto alle amichevoli partecipazioni di Chloë Sevigny, Jessica Harper, Michael Stuhlbarg e David Gordon Green, è di gran lunga l’interpretazione più sottotono del film) e pure inaspettatamente capace di almeno un paio di ottimi momenti di cinema, ma in definitiva con troppo poco da dire per andare oltre (e pure lì con qualche limite di credibilità, se non altro nei rapporti di fiducia che si creano fra esseri spinti da istinti irrefrenabili) il mero intrattenimento. Semmai, il pregio del Guadagnino di Bones and all è quello di sapersi una volta tanto contenere in una regia che limita i consueti svolazzi linguistici a una manciata di brevi sequenze oniriche e a un paio di raccordi di montaggio un po’ più audaci, mentre per il resto la macchina da presa rimane apprezzabilmente sottotraccia, quasi invisibile nei campi-controcampi dei camera car e nelle sortite esterne, quando non addirittura affascinante nel carpire la luce del tramonto, le increspature sull’acqua, l’America che scorre oltre il parabrezza, e poi ancora il flirt con gli stilemi del genere, l’incipit che depista verso la seduzione per poi virare improvvisamente verso il sangue, l’efficace jumpscare di fronte a una madre che si è fatta ricoverare in manicomio ma non ha mai smesso di avere fame di carne umana. Compresa la propria.

È il «pasto completo» di un cannibale, Bones and all. Un uomo sbranato integralmente, fino alle ossa, nella speranza che possa saziare per sempre l’orrendo appetito, mettendo fine alla maledizione di chi non è come gli altri e alla striscia di sangue che la sua natura lo obbliga a lasciarsi dietro. Anche quando, come il Sully mentore di Mark Rylance, i cannibali non uccidono, ma fiutano chi è in fin di vita e intervengono solo dopo che la Natura ha fatto spontaneamente il suo corso. Le regole di un’educazione cannibalesca personale, del tutto differenti da quelle degli altri simili che magari preferiscono uccidere persone sole, rubare loro l’auto e innestarsi qualche giorno nelle loro case ormai vuote, come il Lee di Chalamet di cui inevitabilmente la protagonista Maren si innamorerà a prima vista (o forse sarebbe meglio dire a primo odore). Ma andiamo per ordine. Tratto dall’omonimo romanzo di Camille DeAngelis (ma forse, a voler essere maligni, soprattutto ispirato dalle accuse ai confini della realtà che hanno nel frattempo travolto Armie Hammer co-protagonista di Call me by your name…), Bones and all parte come un horror teen. Parte con Maren chiusa dall’esterno nella sua camera da un padre che pare iperprotettivo, e che invece, all’opposto, non sarà (più) in grado di proteggerla da se stessa. Basta una finestra aperta per calarsi giù in giardino e poi fino al pigiama party a casa delle amiche, dove improvvisa ritorna, a distanza di mesi e mesi, quella fame che la porta a masticare avidamente un dito di una compagna di scuola. Sarà l’ennesima fuga nella notte, prima che la polizia possa rendersene conto, attraverso un’altra frontiera e con un ancora diverso cognome. Per il padre la penultima prima di abbandonare la figlia nel successivo motel, ormai abbastanza grande per cavarsela da sola e troppo pericolosa per tentare ancora di controllarla e tenerla a freno. Le lascerà però in eredità una cassetta nel walkman, da distruggere a fine ascolto, in cui le racconterà tutte le fasi che non ricorda della sua storia e della sua essenza, come una sorta di memoria su un nastro da far scorrere insieme alle strisce d’asfalto, dalla baby-sitter sbranata ad appena tre anni al bambino mangiato a otto su un pullman, dalle ripetute fughe a una madre da cercare. Ed è esattamente da qui che Bones and all si rivela ben più vicino alla serie We are who we are che a Suspiria, ben più interessato agli amori e ai dilemmi esistenziali giovanili (che sembrano finalmente ripuliti dell’ipocrisia iperborghese che affossava Call me by your name) che a tutto ciò che potrebbero rappresentare le sue sortite nel genere. Il resto lo fanno gli incontri lungo il cammino, l’istinto, l’esperienza, l’imparare a fiutare e a distinguere gli odori di uomini e mangiauomini, i ritorni di Sully, il primo bacio con Lee, il disvelarsi dei reciproci traumi passati, gli attacchi di fame e i sensi di colpa. C’è chi detesta il suo stato di cannibale e chi invece lo vorrebbe a tutti i costi diventare, c’è il joyciano Gente di Dublino in casa dell’ossessivo Sully che parla di se stesso in terza persona e c’è Tolkien nelle mani della Maren sempre in viaggio, ci sono le nottate nel pick-up e i vinili dei Kiss da far risuonare nelle case di chi non c’è più. E ci sono i Joy Division che deflagrano lungo il cammino, forse l’unica scelta con cui Guadagnino rivendica, nel tessuto filmico di un’America geograficamente sempre più profonda, il suo essere europeo. Eppure non sembra esserci una reale motivazione alla base della fame di carne umana, non sembra esserci una reale maturazione dei protagonisti, non sembra esserci un reale ragionare sulla marginalità, sul sesso, sulle storture sociali. Solo una narrazione episodica e sincopata, capace pure di mettere in scena qualche bel momento senza esagerare negli scivoloni, ma in definitiva vacua, ripetitiva, priva di un reale orizzonte da seguire. Semmai c’è da notare l’evidente passo avanti formale e linguistico di Luca Guadagnino, che dopo troppi anni passati a inseguire invano le avanguardie sembra aver finalmente riscoperto il cinema classico per mettere la propria autorialità (da sempre indiscutibile anche nelle peggiori sortite) al servizio della sua linearità, delle sue regole, del suo senso della composizione e dell’intrattenimento. Centrando un film problematico, mediocre, che promette di arrivare fino all’osso e che invece si ferma sempre al primo morso. Ma che finalmente è un film, semplicemente un film, onestamente un film. Chissà che, prima o poi, non possa prima o poi anche azzeccarne uno per davvero.

Marco Romagna

“Bones and All” (2022)
130 min | Drama, Horror, Romance | Italy / United States
Regista Luca Guadagnino
Sceneggiatori David Kajganich, Camille DeAngelis
Attori principali Timothée Chalamet, Michael Stuhlbarg, Taylor Russell
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

TRENQUE LAUQUEN (PARTE I & PARTE II) (2022), di Laura Citarella di Nicola Settis
TUTTA LA BELLEZZA E IL DOLORE - ALL THE BEAUTY AND THE BLOODSHEAD (2022), di Laura Poitras di Donato D'Elia
WHITE NOISE (2022), di Noah Baumbach di Donato D'Elia
QUEER (2024), di Luca Guadagnino di Marco Romagna
PADRE PIO (2022), di Abel Ferrara di Marco Romagna
SAINT OMER (2022), di Alice Diop di Donato D'Elia