3 Dicembre 2014 -

TOKYO TRIBE (2014)
di Sion Sono

Tokyo, un futuro imprecisato. La macchina da presa vaga fra vicoli luridi, prostitute, spazzatura, spacciatori, ragazzini strafatti, novelli Warriors figli del degrado. Una Tokyo nera, folle, anarchica, violenta, maschiocentrica, specchio manga di un Giappone ancora stanco e smarrito dopo Fukushima, fra storici yakuza e giovani criminali.

Nessuno ha il controllo, anche la polizia viene brutalizzata. I quartieri della città sono tante piccole città-stato in mano a gang che si spartiscono le attività criminali, beffardi scimmiottamenti, in primis, di Sin City. L’equilibrio fra queste tribù è precario, ed una sola scintilla potrebbe deflagrare in guerra civile. Un lungo pianosequenza introduce in questo viaggio allucinato, dove i colori supersaturi dei neon e delle vetrine passano dallo scatto di un serramanico ad una vecchia deejay armata di dischi in vinile, pronta a lanciare, con tanto di scratchata, le hits. Tutto in una notte, fino al mattino.

Il genio del cinquantaduenne Sion Sono torna ad illuminare gli schermi di Torino. Il regista nipponico non è una novità per la Mole, dopo la Retrospettiva quasi completa nel 2011 -ideale seguito del successo veneziano di Cold Fish (2010) e Himizu (2011)- e la prima nazionale di The Land of Hope nel 2012. Saltato lo scorso anno, causa passerella al Lido, il capitale Why Don’t You Play in Hell?, è ora la volta al TFF di Tokyo Tribe, surreale calderone pop ad alto tasso di cinefilia.
Come già in molte occasioni nel corso della sua prolifica carriera -su tutte il capolavoro pulp Love Exposure (2008)- il regista parte dalle forme del B-movie ma ne scardina sin dalle prime battute la struttura, creando un musical rap in grado di mescolare lo yakuza movie con messe nere, eros, cannibalismo ed innumerevoli stoccate al cinema di genere hollywoodiano. Ce n’è per tutti: da Spring Breakers, parodizzato con un’indimenticabile pistola-telefono incastonata di diamanti, alle videoproiezioni 3D dai droni di Star Wars, da esecuzioni a cena che tanto ricordano Gli Intoccabili fino alla geniale stanza dei mobili umani che va ad omaggiare, o scomodare, addirittura Arancia Meccanica. Vittima preferita dell’irriverente regista giapponese rimane però Quentin Tarantino: se la tutina gialla di Kill Bill era già stata ricontestualizzata e ridicolizzata nel precedente Why Don’t You Play in Hell?, in Tokyo Tribe viene nuovamente citata e restituita idealmente a Bruce Lee, negando espressamente -e letteralmente gettando nel tritacarne- il film americano, simbolo del cinema di genere asiatico masticato e risputato in abiti curiali dalle fabbriche economiche di Hollywood. Ma Tokyo Tribe è anche e soprattutto un’irriverente sfida al celodurismo dilagante, all’arida cultura maschilista del macho che si preoccupa solo delle dimensioni del proprio membro e delle altrui mammelle. Uno sberleffo che nasce dall’intimo amore di Sono per le donne, già più volte cifra stilistica del suo cinema. L’universo femminile, per Sono, è un ideale angelico dal sapore dantesco, riportato brutalmente sulla terra da un (pos)sesso che ha la dirompenza feticistica di De Sade. Ecco quindi che le protagoniste femminili dei suoi film hanno sempre ruoli centrali, fondamentali, intrise di eroismo ed umanità, ma anche emancipate, picchiatrici, a volte crudeli nell’affermare la propria dignità. La mente corre al melò Guilty of Romance (2011), interpretato dalla moglie del regista, ex-prostituta, ma anche alla straziante vendetta umana fra sole vittime di Strange Circus (2005), senza dimenticare la sequenza “biblica” sulla spiaggia del già citato Love Exposure (2008), o il bacio vetriato di Why Don’t You Play in Hell? (2013).

Sion Sono si conferma, al pari del collega e connazionale Takashi Miike, uno dei cineasti più folli, anarchici ed eretici in attività. Tokyo Tribe è un gioco cinefilo in musica, è Cinema che si autoalimenta e si autorappresenta, è Cinema espanso che travolge e fagocita suoni, citazioni, personaggi, è un Cinema libero, slegato da forme precostituite, che rifiuta ogni catalogazione. E’ Cinema barocco, esagerato nelle situazioni, anfetaminico nel ritmo, anarcoide, antistorico, umoristicamente surreale. E’ rappresentazione, pura e divertita, in barba ad ogni discorso di verosimiglianza, è eccesso che si rinnova e continua a stupire. Anche la violenza è meravigliosamente ‘finta’, una sorta di coreografia che anela al Cinema come spettacolo totale.
Da una scaramuccia fra i componenti di due bande crolla l’instabile equilibrio fra le fazioni, e la situazione degenera. Una sveglia scandisce il passare del tempo, mentre il film regala divertenti cene criminali a base di giovanissime vergini, scatole di sigari piene di dita umane, una sfrontata versione rap del Lascia ch’io pianga, maschi eterosessuali palestrati in succinti perizomi, l’assalto a una poliziotta ed il suo pudore negato, una turbina-tritacarne, un capo yakuza-stregone in cerca della figlia, messe nere, sacrifici umani, ossessioni morbose. Sion Sono, intelligentemente, lancia l’amo e passa ad altro, senza mai perdere un briciolo di ritmo né di humor: il film non lascia il tempo per avventurarsi in eventuali letture reazionarie dei sottotemi presentati, è un fiume in piena, un vulcano in esplosione, un terremoto dal quale farsi cullare.

Ogni banda si presenta in toni hip-hop, mentre MC (Shota Sometani, già protagonista di Himizu) è narratore-cantante-attore che guarda in macchina e fa da guida nella vicenda e nella strana geografia sociale delineata dal film: il regista procede per accumulo, fino alla Babele di un totale caos visivo e sonoro, unica possibile partenza per poter distruggere e ricostruire. Il rap giapponese, con l’inserimento di qualche lampo anglofono, diventa il musical secondo Sion Sono, strada verso il più puro cinedelirio psichedelico. “Tokyo Tribe, never ever die” è un totalizzante viaggio in una sottocultura fatta di skater, rapper, tatuatori, stuntmen, mafiosi, una giostra impazzita di donne bellissime e maledette, criminalità e follia dilagante, western urbano in musica la cui potenza cresce fino alla resa dei conti, quando ormai la notte è finita, ed il sole inizia a far capolino.
Tokyo Tribe è forse fuori da un ideale podio dell’Autore. Ma Sion Sono, per quanto possa sforzarsi di fare cinema per puro divertimento e con la mano sinistra, firma solo film straordinari. Lentamente, anche la critica più ostinatamente iperciliosa sta iniziando a rendersene conto.

Marco Romagna

“Tokyo Tribe” (2014)
116 min | Crime, Musical | Japan
Regista Shion Sono
Sceneggiatori Santa Inoue (manga), Shion Sono (screenplay)
Attori principali Tomoko Karina, Akihiro Kitamura, Ryôhei Suzuki, Shôta Sometani
IMDb Rating 6.5

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