6 Dicembre 2018 -

PSYCHODRAME (1956)
di Roberto Rossellini

Grazie all’Associazione Moreno Museum che, lavorando a Torino alla catalogazione dell’archivio di Anne Ancelin Schützenberger ha segnalato alcuni dati individuativi a Sergio Toffetti, il ritrovamento di un filmato di Roberto Rossellini considerato scomparso o addirittura non finito assume oggi quasi il senso di una scoperta archeologica d’importanza seminale. Come sottolinea Sergio M. Grmek Germani su Il Manifesto – in questo splendido pezzo da cui attingiamo molte note storiche e qualche traccia – Psychodrame (datato 1956/7) appariva già come non completo nell’enorme studio di Tag Gallagher sulla filmografia rosselliniana, e fa quindi ancora più scalpore la sua comparsa nel Centre d’Etudes della televisione francese, l’ORTF. Dopo esser stato presentato alla Cinémathèque Française nei mesi scorsi, a Torino è stato proiettato per la seconda volta grazie a TFFdoc, completando – per ora – un percorso umano e artistico ineguagliabile in attesa di ritrovare gli altri due, o forse più, lavori rosselliniani ancora mancanti. Documento dall’importanza capitale sia nell’arco della carriera di Rossellini, in special modo del suo passaggio ai lavori televisivi, sia per lo straordinario impatto di flusso in diretta senza mediazioni che il film ha nel lavorare sullo strumento come sulla psiche in metodo puramente empirico, Psychodrame è dunque un lavoro capace di riscrivere molte delle coordinate sensibili della ricerca audio-visiva, che anticipa (di molto) tanti esperimenti legati agli automatismi performativi ed estetici degli anni Sessanta. Quest’opera, inoltre, mette in luce ancora una volta l’unicità degli elementi di frattura (quasi visionaria, ma estremamente razionale) che Rossellini definì nella riscrittura e nella comprensione dell’immagine del secondo Novecento. In una lezione, ancora oggi, decisamente insuperata.

Siamo in uno studio televisivo, mentre assistiamo alla presentazione, quantomai asettica e incredibilmente tecnica (con tanto di difficilmente comprensibili disegni metaforici e riassuntivi), dell’esperimento. Jacob Levi Moreno, rivoluzionario della psicometria e ideatore dello psicodramma, si prepara al lavoro con un gruppo di attori della tv francese. Uomini e donne convinti del doversi liberare dai propri fantasmi per poter essere loro stessi, davanti a una quinta come sul set. Vedremo la messa in scena di tre atti psicodrammatici più o meno riusciti e profondi, organizzati dal professore con l’assistente Anne Ancelin Schützenberger: c’è chi entra ampiamente nell’esercizio e chi si ferma ad una superficie di tranquillità, c’è chi scava nella profondità della rappresentazione passata anche di se stesso (lo sdoppiamento attraverso la disillusione paterna e i rapporti con i figli, itinerario assai familiare e urgente nella poetica, come nella biografia, rosselliniana) e c’è chi preferisce lavorare su cosa potrebbe ancora bloccarlo nel futuro. Il lavoro, in presa diretta, sul metodo d’azione psicoterapico è straniante e sublime, e la drammatizzazione della psiche porta a uno stato quasi pre-ipnotico, legato al transfert di emozioni che coinvolge non solo i partecipanti alla mise en scene, ma anche gli stessi spettatori/attori. I poco più di cinquanta minuti si concludono con Jim Enneis, psichiatra statunitense e allievo di Moreno che fu promotore del metodo psicodrammatico nell’ospedale St.Elizabeth in Washington D.C., che valuta a caldo insieme alla Schützenberger i dati ottenuti dall’esperimento, ragionando sulla percezione esterna del lavoro psicodrammatico e su come esso vada considerato ben più complesso di una pura pratica attoriale e recitativa. In tutto questo Rossellini non appare, se non attraverso il suo occhio denso di primi piani riflessivi e legati a questa sua nuova indagine psicologica dei personaggi, nel baratro (anche inconscio) che la macchina da presa aveva iniziato a far emergere nei propri attori.

Del 1952 era Europa’51, di due anni dopo Viaggio in Italia, e di pochi anni successivo (1959) il primo grande lavoro televisivo L’India vista da Rossellini, prima della sua seminale esperienza nei lavori didattici a partire da L’età del ferro (1963). Anche per questi motivi Psychodrame risulta particolarmente decisivo per una lettura più organica del complessissimo percorso del più grande autore del cinema italiano. Un lavoro legato anche a La Paura per spettri psicologici e, ancora di più, a Giovanna d’Arco al rogo per lavoro dialettico su recitazione e dispositivo. Resta però ineguagliabile il rapporto Irene/Ingrid, in cui la Bergman (dopo l’esperienza devastante di Stromboli) sperimenta direttamente il nuovo corso rosselliniano legato allo psicodramma e la sua visione critica della psicologia. Dai test psicometrici alle macchie di Rorschach, la vertigine invisibile tra morale ed etica viene ridotta a tecniche sperimentali di lettura della psiche. Come sottolinea lo stesso Germani, questo sconosciuto vertice/vortice rosselliniano andrebbe associato a due opere esterne alla sua filmografia come Un uomo a metà di Vittorio De Seta (a cui avrebbe dovuto collaborare lui stesso) e Il tentato suicidio nell’adolescenza di Olmi, anch’esso riscoperto dall’oblio lo scorso anno grazie a Tatti Sanguineti. Tre frammenti di straordinaria attualità, tre schegge irrimediabilmente impazzite al loro tempo per essere proiettate al futuro. Lo si intende anche dalla negazione stessa della figura d’autore che Rossellini sceglie per la rappresentazione (l’unico vero metteur an scene appare Moreno nel suo essere performance continua) e per le tecniche di ripresa (lasciate a un giovane Lelouch). Ma la sua presenza spirituale è potentissima, quasi un’astratta messa in scena di fuori-campo, un’aura invisibile che pervade ancora di mistero e fascino ineguagliabile una filmografia unica e una pratica avanti anni luce non solo rispetto al Neorealismo, ma a molte della criticità esistenziali e sociali che attraversarono il secondo Novecento. Senza trovare una possibile chiosa a ciò che rappresenta questo film, ha più che mai senso affidarsi alle parole con cui Germani conclude la sua riflessione. «Ci troviamo in presenza di un grande film-mostro, senza vero regista, senza possibili padri, senza possibile vero amore, in cui il dramma lascia nella lontananza la psiche, in cui i corpi si recitano come imprecisi ruoli. Poteva una televisione, dopo averlo “sperimentato”, trovare un motivo, per trasmetterlo? Il film piomba ora dall’”inesistenza” nel nostro presente, ed è improbabile che vi trovi una risposta». Proprio per questo oggi, più che in ogni altro periodo storico inesistente, abbiamo un bisogno vitale di queste domande.

Erik Negro

Edit 13.12.2018
Si ringrazia sentitamente Marco Greco, presidente dell’Associazione Moreno Museum, per averci contattati permettendoci di correggere un paio di imprecisioni precedentemente pubblicate.

Articoli correlati

LA MAMAN ET LA PUTAIN (1973), di Jean Eustache di Marco Romagna
I FIGLI DEL FIUME GIALLO (2018), di Jiǎ Zhāngkē di Erik Negro
UN COUTEAU DANS LE COEUR (2018), di Yann Gonzalez di Massimiliano Schiavoni
THE NIGHT EATS THE WORLD (2018), di Dominique Rocher di Andrea Bosco
LA ROSIÈRE DE PESSAC (1968-1979), di Jean Eustache di Marco Romagna
KHAMSIN (2019), di Grégoire Couvert e Grégoire Orio di Marco Romagna