15 Ottobre 2020 -

NOMAD: IN THE FOOTSTEPS OF BRUCE CHATWIN (2019)
di Werner Herzog

«Non ho nessuna religione specifica stamattina. Il mio Dio è il Dio dei Camminatori. Se cammini con sufficiente tenacia, probabilmente non hai bisogno di nessun altro Dio»
Bruce Chatwin

Bisogna scriverlo in principio, giusto per essere chiari: se si può discutere il valore di Nomad è perché per definizione il documentario è un’opera di tipo educativo e informativo, che espone con chiarezza e rivela una verità, e se uno spettatore si ritrovasse a voler studiare e scoprire Bruce Chatwin partendo da questo film, probabilmente si ritroverebbe inondato di informazioni che con lo scrittore poco hanno a che fare. Herzog lo dice sin dal principio, «questo non vuole essere un film biografico su Chatwin», non vuole essere una costruzione per tappe nel tempo, un lavoro appunto a titolo istruttivo, letterario. Anzi, è già peculiare, per gli standard del documentario di Herzog, che alla fine sia stato ritagliato del tempo per raccontare la sessualità e la malattia dell’autore, unico cenno biografico al di fuori dei viaggi in Nomad. Si potrebbe considerare il film una sorta di apologia del nomade moderno, del lirismo della missione; la resa pressoché agiografica della caratterizzazione di Chatwin è legata in modo personale e conseguentemente autoriale a Herzog, motivo per cui il film diventa, tra quelli del regista, forse in assoluto quello in cui la visione, la personalità dell’autore è più in risalto, l’individuo Werner è più presente. Il regista si specchia nello scrittore per trovarvi un compagno, un fantasma che gli restituisca dell’empatia, un riflesso da ammirare, quasi un’icona. L’unico problema di Nomad, se “problema” lo si vuol chiamare, è dunque la sua incapacità di essere imparziale o impersonale, Herzog non può non raccontare Chatwin partendo dalla loro amicizia, dalle loro analogie, dalla poesia intrinseca che li legava – e perciò, è, tra tutti i documentari dell’autore bavarese, in assoluto quello più incomprensibile se non si conosce il resto della sua filmografia, il suo modus operandi, gli aneddoti che rendono unica e inimitabile la sua esperienza nel mondo come cineasta ed essere umano (ne racconta alcuni come punteggiatura al “viaggio”). Per quanto molti dei suoi altri documentari possano proporre prospettive o metodologie formali che nel documentario possono essere reputate eccentriche, ognuno arriva da un punto A a un punto B, propone una formula unica per restituire un’informazione.

Invece Nomad, presentato alla Festa del Cinema di Roma nel 2019 e ora (dal 19 ottobre) in tour per le sale italiane, vaga attorno all’informazione – un po’ come il suo recente Family Romance LLC (2019), un film di finzione fatto in Giappone il cui protagonista, Yuichi Ishii, che nel film interpreta se stesso, ha commissionato personalmente il film. Lì, la finzione restituiva del vero perché raccontava l’effettivo mestiere del protagonista, pur in un meccanismo fittizio in funzione della possibile ‘verità estatica’ da esso esprimibile. Un film “di famiglia” low-budget con Herzog operatore e una troupe minimale composta da suo figlio e sua moglie, che racconta un orrore tremendamente reale che si infiltra in una storia, ma quell’orrore è evocato, visualizzato, mai descritto. C’è il soggetto, e il film viaggia circolarmente attorno a esso. Così anche Nomad, opera uroborica che gira all’infinito per tutto il mondo, come un’ode al ‘viandante sul mare di nebbia’ dentro tutti noi. Del resto, i «paesaggi dell’anima» di cui parla Herzog stesso riferendosi ai ‘loci amoeni’ di cui sia lui che Chatwin si sono sempre innamorati, altro non sono che i «paesaggi simbolici» della pittura romantica di Friedrich, istanze in cui la natura nella sua austera complessità ci si manifesta totalmente di fronte agli occhi e crea un nuovo paesaggio dentro di noi. Herzog e Chatwin, con la loro arte intinta di antropologia, sono solo dei tramite tra noi e ciò che il mondo è al di fuori di noi, ci rendono evidente la poesia, e ci incitano a scoprirla. Se Lynch, dentro il cinema e nella vita, si impegna per cercare di diffondere la meditazione trascendentale, il viaggio dentro di sé per conoscere se stessi, Herzog implica, qui più che mai, il viaggio esteriore, la scoperta della natura e della cultura (camminando!), il nomadismo – per conoscere quello che altrimenti non conosceremmo mai. Ci vuole portare nelle caverne a trovare pezzi di dinosauro e in mezzo all’Australia a viaggiare con gli aborigeni usando i canti antichi che li aiutavano a spostarsi negli spazi più ampi. Ci vuole portare indietro nel tempo, a quando i nostri antenati più antichi sono andati a piedi dall’Africa al Sud estremo del Cile. Ci incita forse a riconoscere, in modo anche alienante, che la nostra condizione, non umana ma da pubblico, al momento, è di fronte allo schermo, che non sappiamo quali saranno le tracce che lasceremo di noi, che ci inseguiamo e abbiamo problemi ridicoli a capirci, facendoci confrontare con la grandezza di cui siamo capaci e soprattutto la maestosità ancor più spaventosa di quello che ci circonda. Rimanere indifferenti è difficile, ma la sensazione che il film dovrebbe restituire non dovrebbe essere quella di un’umiliazione, bensì quella di spronare, per avanzare, avanzare, avanzare.

Nelle righe precedenti è stato scritto poco o nulla su Bruce Chatwin, sulla sua Patagonia, sul suo storico zaino che Herzog ha “ereditato” e portato a giro per il mondo lui stesso per altri trent’anni dopo la sua morte. Questo perché, appunto, sulla sua produzione letteraria è detto poco o nulla; ciononostante Herzog entri nel personale, discorrendo con la vedova dello scrittore, venendo portato quasi alle lacrime mentre parla dello zaino, commuovendosi ed enfatizzando parole, gesti, concetti, con un’inedita passionalità affettiva, intima, vicina. Sta un po’ forse suggerendo che vedendo lui all’opera possiamo vagamente intuire qualcosa di più profondo, più vero, più simbolico su Chatwin di quanto non capiremmo conoscendo la sua biografia filtrata da Herzog stesso. Non è un gesto egoico né superbo, a causa dell’umanità, dell’amicizia, e soprattutto della veridicità effettiva e indiscutibile del paragone tra i due, perlomeno all’interno di quel livello, appunto, profondo, vero, simbolico, che è quello che il film mette in evidenza con dolcezza inimitabile, che solo questo autore poteva tirar fuori, perché solo lui poteva capire davvero. L’artista-esploratore a 360°, un miracolo novecentesco, può resistere attraverso il tempo, come un fantasma.

La macchina da presa alla fine avanza, come camminando, all’infinito, in un viale alberato. E si ferma, ma alla fine c’è la luce.

Nicola Settis

“Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin” (2019)
85 min | Documentary, Biography | UK
Regista Werner Herzog
Sceneggiatori Werner Herzog
Attori principali Werner Herzog, Bruce Chatwin, Karin Eberhard, Nicholas Shakespeare
IMDb Rating 6.9

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