2 Settembre 2021 -

IL COLLEZIONISTA DI CARTE – THE CARD COUNTER (2021)
di Paul Schrader

La scritta tatuata dietro la schiena di William Tell, protagonista di The Card Counter interpretato da Oscar Isaac, recita: «I trust my life to Providence / I trust my soul to Grace», ovvero «affido la mia vita alla Provvidenza e la mia anima alla Grazia». È un protagonista antieroico, solitario e misterioso, riproposizione di un archetipo da sempre affine a Schrader. Non tanto un guerriero quanto un fantasma, quasi mitologico, che fa da volto e da corpo alle ossessioni esistenziali dell’uomo. Ma queste ossessioni non sono, come nel recente First Reformed (uno dei migliori film del regista), espresse con astrattismo rivelatorio della spiritualità intrinseca delle cose, che convive nella materia; anzi, questa è una storia di soldi, di guerra, di crimine, di vendetta, e quindi di pura materia. Dopo quasi 10 anni di carcere, William torna nel mondo civile e decide di entrare nel mondo del gioco d’azzardo facendo il “card counter”, contando le carte per vincere usando un sistema imparato in prigione per cui alcuni circoli di blackjack e poker lo cacciano senza dargli una chance. Una ragazza che lavora nel giro come “stalliera” (talent scout per i migliori giocatori), soprannominata La Linda, lo adocchia per convincerlo a partecipare a un concorso internazionale. Un giovane, Cirk, lo contatta perché vuole vendicarsi personalmente contro il maggiore John Gordo (Willem Dafoe), un tempo superiore di William, perché ha addestrato suo padre alla violenza e alla tortura, che ha poi portato a casa sfogandosi verso moglie e figlio prima di suicidarsi a causa dello stress post-traumatico e della dipendenza da ossicodone. Il padre di Cirk e William hanno in comune il seme della violenza instaurato in loro ad Abu Ghraib, dove i soldati semplici e gli interrogatori militari sono stati puniti per violazione dei diritti umani mentre le persone che davano loro gli ordini e insegnavano loro il mestiere sono rimaste impunite. Tra loro, appunto, Gordo, un mefistofelico fautore degli orrori degli Stati Uniti delle torture di Bagram e Guantanamo, nemico visibile ma sempre “al limite”, lontano dal centro dell’immagine, una specie di diavolo invisibile, immaginabile ma tutt’altro che onnipresente. Un’eventualità dall’energia negativa, sempre in sottofondo. Tutto ciò mentre William va per la sua strada, diventando una stella del gioco d’azzardo, pur con disinteresse, pur facendolo semplicemente per tirare avanti, per passare il tempo, come se la vita fosse già finita quando si è macchiato dei crimini per cui è stato incarcerato, alla ricerca di una risoluzione universale per la propria zavorra che potrebbe non arrivare mai. Come fosse un cadavere che cammina per inerzia, e i soldi solo la conseguenza del suo continuare imperterrito a marciare. Ma se è tutto così materiale e “mortale”, se la modalità con cui William procede nel mondo è quella di un corpo morto che deve resistere nella giungla della civiltà, dov’è la dimensione spirituale evidenziata dal tatuaggio sulla sua schiena?

La risposta potrebbe risultare immediata a chi è già avvezzo alla filmografia di Schrader. Celebre come sceneggiatore per alcuni tra i massimi capolavori di Martin Scorsese (i più emblematici Taxi Driver Toro Scatenato ma sarebbe criminale dimenticare Al di là della vita e soprattutto L’ultima tentazione di Cristo), questo autore di culto ha esordito come regista new-hollywoodiano a fine anni ’70 proprio mentre la New Hollywood già stava decadendo. Per sopravvivere negli anni ’80 e oltre, è andato in direzione di una filmografia versatile, costellata di film di genere (come il remake del Cat People di Tourneur o Dominion, prequel maledetto dell’Esorcista) e grandi opere drammaturgiche che trascendono la definizione (come Mishima: a life in four chaptersAffliction o appunto First Reformed). Ma soprattutto ha debuttato alla scrittura con un saggio sulla trascendenza nel cinema, un’analisi di Robert Bresson, Yasujiro Ozu, Carl Theodor Dreyer; un testo forse infelicemente inadeguato a come il cinema spirituale si è evoluto nei giorni nostri, ma attuale per comprendere il valore intrinseco dell’uso della sottrazione, nell’estetica della regia e della fotografia cinematografiche, per far risaltare ciò che è nascosto nell’invisibile. Come la forza che crea la resurrezione alla fine di Ordet, la sagoma luminosa della croce di Diario di un curato di campagna, l’energia divina che sembra spalancare la porta in Come in uno specchio prima che sia evidente che in realtà era un elicottero. Ci stiamo del resto confrontando con una mentalità, quella di Schrader, provocatoria ed eccentrica, a metà tra il vecchio e il nuovo, un miracolo novecentesco di meravigliosa contraddizione, qualcuno che è arrivato ad amare il cinema così tanto da trasmutare il suo amore in odio, come dimostrano alcuni film sparsi per tutta una carriera di quasi mezzo secolo (anni fa dedicammo tre articoli a un approfondimento del suo modo di fare cinema prendendo come esempio HardcoreAuto Focus The Canyons). Il mutamento dello stile di Schrader negli anni è consistito in un plastificarsi dell’impostazione visiva dell’immagine che ne ha consequenzialmente influenzato il ritmo, il montaggio. The Canyons ad esempio è un canto funebre del cinema, erotico come mortifero, non “vuoto” ma “pieno di vuoto”, mentre Cane mangia cane è un noir/crime che gioca sulle aspettative sovvertendole con anarchia psichedelica e First Reformed usa i canoni narrativi ed estetici del cinema religioso-spirituale europeo per raccontare la crisi tra mondo esterno e mondo interno dell’uomo contemporaneo. The Card Counter in questa dimensione appartiene a una sottocategoria interna della filmografia di Schrader, la stessa a cui appartengono American GigolòLight Sleeper The Walker (e, se ci allarghiamo, Taxi Driver), racconti tragici sulla solitudine dell’uomo e sul vuoto che lo affligge. Storie di persone in gabbia che decidono di stare in gabbia o di amare la loro gabbia – tributi più o meno approfonditi al Pickpocket di Bresson. Ed è un “capitolo” notevole di questa “saga” tematica, anche più di The Walker che era una variazione sul tema di American Gigolò, perché è l’unico di questi a interfacciarsi con una realtà mutata, quella contemporanea, in cui il simbolo dell’uomo è decadente, marcescente. L’unico rapporto che l’uomo ha con se stesso è il confronto paranoico con un passato che non scompare, con una soggettività che difficilmente combacia con l’oggettività delle cose. William Tell è un ‘uomo contro’, che non ha quasi più armi contro gli altri, ma solo contro se stesso. Il suo conflitto? Trovarsi a doversi confrontare con Cirk, che non lo dice mai esplicitamente ma ha bisogno di una figura paterna sostitutiva – un ruolo che William calza meglio del padre effettivo di Cirk, ma un peso affettivo che il suo cuore non riesce a sostenere, troppo concentrato a essere misterioso, virile. Eroico, nel gioco che si muove per inerzia che è l’esistenza.

Non c’è tuttavia una crisi, o un’azione. C’è solo un conflitto, più interno che esterno, che Schrader decide di mostrare senza mai scadere in eccessi o sentimentalismi. L’unico exploit drammaticamente ultra-espressivo è nelle analessi da incubo che mostrano William e Gordo alle prese con la tortura e l’umiliazione degli altri, ove la macchina da presa fissata in alto e la lente ultragrandangolare danno un alienante effetto di distorsione dello spazio. Il resto è un incastro di rapporti interpersonali che appare scorrere con una regolarità solo in parte tesa; la minaccia di un’esplosione è sempre presente, perché la violenza è vera, effettiva, sì “passata” ma sempre dietro l’angolo. Eppure anche quando ciò avviene è in sottofondo, fuori scena o addirittura fuori campo, nel climax per esempio è nella notte, mentre il sole entra nell’inquadratura per i fatti suoi, senza fregarsene di come scorre il tempo o di quello che sta succedendo. A rendere ogni inquadratura di The Card Counter grande cinema è la forza della sua consapevolezza nei confronti della materia filmata: il fatto che ormai il mondo sia un post-mondo, il moderno sia post-moderno, la violenza sia post-violenza e l’uomo post-uomo, ogni cosa è l’interfaccia, l’estensione, l’altra versione di essa stessa. Tutte verità intrinseche dell’immagine cinematografica, o meglio della finzione, ma non della realtà. La sacralità, la religiosità della citazione del tatuaggio, non è fuori contesto, è parte integrante di quello che è il percorso dell’uomo nel mondo; William cerca redenzione, e quello che trova è la prigionia, ma in ciò risolve in parte la sua ricerca di direzione. È una condizione a cui non può sottrarsi perché è l’unica cosa adatta a lui, all’incontenibile forza “sublime” e “sbagliata” del suo essere. Che stia minacciando di tortura Cirk perché vuole che vada a trovare la madre che ha rinnegato ingiustamente o che stia passeggiando con La Linda in un bosco illuminato in modo da sembrare un light painting, William/Isaac è sempre l’eroe, la forza trascinante della scena, colui che è alla scoperta della materia. L’anima alla ricerca della Grazia. O del tocco romantico finale di Pickpocket, qua rivisto in chiave michelangiolesca, un ritrovarsi tra sperduti.

Nicola Settis

Si comunica che il film IL COLLEZIONISTA DI CARTE di Paul Schrader, distribuito da Lucky Red Distribuzione, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI.
Motivazione:
Tornando a ragionare una volta di più sul concetto di “colpa” e sul rapporto dell’uomo con la propria morale, Paul Schrader esorcizza il trauma del proprio personaggio – che è il trauma di un’intera nazione, nascosto sapientemente sotto il tappeto della Storia – su un percorso di riscatto che non potrà schivare la necessità della violenza, e la sua catarsi. E in due dita che si sfiorano senza potersi toccare c’è il senso intero dell’esistenza, e del suo perpetuarsi.
(uscita 03 settembre)
“The Card Counter” (2021)
109 min | Action, Drama, Thriller | United Kingdom / China / United States
Regista Paul Schrader
Sceneggiatori Paul Schrader
Attori principali Oscar Isaac, Willem Dafoe, Tye Sheridan
IMDb Rating N/A

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