20 Gennaio 2017 -

TWIN PEAKS – FUOCO CAMMINA CON ME (1992)
di David Lynch

Nota iniziale: in generale su questo sito tendiamo a non preoccuparci, nell’analizzare un film o l’altro, di rivelare qualcosa sul finale del suddetto film. Tuttavia, Fuoco cammina con me è un raro caso di film nel quale, da un punto di vista narrativo, c’è poco da svelare, e la visione è consigliata tendenzialmente dopo aver visto la serie Twin Peaks, tra i pochi, pochissimi prodotti che abbiamo deciso di non “spoilerare”. Quindi, per parlare del film, è necessario partire dal presupposto che chi ha letto abbia visto la serie e che quindi abbia la risposta all’iconica domanda: «Chi ha ucciso Laura Palmer?». Considerate, dunque, quella che segue come un tentativo di guida post-visione (almeno della serie, ma forse anche del film), scritta di getto per celebrare il compleanno di David Lynch tramite uno dei suoi film più sottovalutati.

«Nell’oscurità di un futuro passato
il mago desidera vedere.
Non esiste che un’opportunità tra questo mondo e l’altro.
Fuoco, cammina con me.»

Un po’ di ripasso: le parole qui sopra, all’interno di Twin Peaks, sono state pronunciate nel terzo episodio della prima stagione (il secondo episodio diretto da Lynch, dopo l’episodio pilota) dall’iconico Uomo senza un braccio, personaggio enigmatico e senza nome, in un sogno del protagonista della serie Dale Cooper – il monologo si conclude con la frase impenetrabile “fuoco cammina con me”, frase scritta in sangue su di un foglio di carta trovato sulla scena dell’omicidio di Laura Palmer. Questo sogno prosegue con visioni di BOB, l’antagonista principale della serie, vera e propria manifestazione (meta?)fisica del Male puro, e poi con la celeberrima prima scena nella Stanza Rossa (la Loggia Nera) con la danza del Nano. Questa parte dell’episodio è in realtà un ri-montaggio riassuntivo della parte aggiuntiva finale dell’episodio pilota, che finisce con la stessa (ma più dilatata) sequenza di scene, o almeno è così nella versione espansa della durata di due ore, detta “Pilota Europeo”, poiché è stata creata come film televisivo per il pubblico europeo nel caso la versione ufficiale dell’episodio non venisse accettata dall’ABC; come quasi ad identificare lo spazio onirico della serie come una trasposizione cinematografica di questo “altro mondo” nominato nel monologo succitato: il girato altrove, che diventa realtà all’interno della narrativa televisiva. Ma cosa c’entra la narrativa televisiva con Fuoco cammina con me? Poco o nulla considerato che Lynch comincia il film subito con il gesto istintuale assurdo del colpo d’ascia su di una televisione, così avviando quella che nel 1992 credeva la fine di Twin Peaks (non sospettando, immaginiamo, il revival della serie che sta per avvenire), ovvero una trilogia di film che avrebbe portato a conclusione gli eventi della serie; non necessariamente spiegando le allegorie all’interno della serie, ma più che altro per dare un seguito all’atto autolesionistico di Dale/BOB nel finalissimo della seconda stagione, magari rendendo le cose più stuzzicanti e crudeli con un po’ di esuberanza stilistica e contenutistica, mettendo l’humor da parte per concentrarsi sull’aspetto più tragico del mondo di Laura Palmer. Almeno così pare da questo primo film, unico compiuto su tre, che già sarebbe dovuto durare quattro ore (risultando il film più lungo della carriera di Lynch, escludendo le scene eliminate da INLAND EMPIRE che sono diventate un film a parte: More things that happened), che, più che “spiegare”, considerato che i fatti della trama del film tendenzialmente si sapevano quasi tutti, aveva lo scopo di ampliare le carte in tavola, le possibilità, i macrocosmi paradossalmente contenuti nel microcosmo della cittadina di Twin Peaks. Ma, dopo l’esplosione del vuoto d’interesse verso la serie a causa dell’interruzione ex abrupto al climax della serie dopo un periodo di calo di popolarità, un film di Twin Peaks per forza di cose sarebbe stato estremamente rischioso e controverso. Perciò, in fase di montaggio, due ore sono state tagliate via. Queste due ore, raccolte nel cofanetto BluRay della serie uscito due anni fa con il titolo Fire walk with me: The Missing Pieces, contengono sia sequenze la cui esclusione è perfettamente giustificata (scene gratuite a sfondo comico giusto per inquadrare di nuovo personaggi amati della serie dai fan: Pete, lo sceriffo Truman, Josie, Norma, Ed…)  sia scene che probabilmente avrebbero avuto un forte effetto (da un punto di vista narrativo) sull’immaginario di Twin Peaks, compreso un seguito di pochi minuti del finale della serie; ma il progetto era già problematico e Lynch probabilmente aveva già immaginato un insuccesso anche prima del momento in cui, tra i fischi, ha fatto proiettare per la prima volta il film nel suo secondo montaggio di due ore e un quarto, a Cannes. Quindi abbiamo perso (per quasi 25 anni…) i significativi minuti in più di delirio di David Bowie o di onirismi di Laura, e pure di post-narrazione tra Dale che giustifica la propria follia a Truman e al dr. Hayward e un’infermiera ruba l’anello della Loggia Nera ad Annie, e comunque ora che possiamo rivederli non abbiamo più risposte sul significato narrativo di certe scelte e possiamo solo immaginarci un qualche seguito contenutistico nella terza stagione, che temiamo e attendiamo più di ogni altra cosa. Tutto ciò, partendo dal presupposto che per “capire” intendiamo “dedurre”, e che non ci interessa che Lynch ci spieghi cosa stia succedendo: semplicemente probabilmente molti di questi simbolismi sono stati inseriti nel mondo di Fuoco cammina con me con la necessità di un seguito più o meno immediato che poi non arrivò.

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(la violenta dichiarazione d’intenti di Lynch)

Ma tornando al film, dopo l’apertura violenta con la distruzione dello schermo televisivo (abbandono della propria arte o almeno di una sua parte), siamo subito portati ad un’inquadratura laterale di Lynch stesso, nel ruolo del personaggio di Gordon Cole, capo quasi sordo del dipartimento FBI di Dale Cooper, che si trova a comunicare con Chester Desmond (Chris Isaak) e Sam Stanley (Kiefer Sutherland), coppia di agenti FBI che è mandata ad indagare sulla morte misteriosa di Teresa Banks, prima vittima di BOB. Qui comincia la prima di quattro sezioni in cui si può suddividere il film, una sezione che racconta un’indagine fuori da Twin Peaks in una specie di città che è da subito anti-Twin Peaks: i poliziotti sono meschini ed egoisti, gli abitanti non collaborano e sono sgarbati, non esiste neanche la patina da sogno americano che in Twin Peaks sembrava prevalere, almeno in superficie. E anche Desmond e Stanley sono a loro modo opposti a Dale e Truman: Desmond è freddo nell’atteggiamento e scientifico nell’indagine, non come Dale che è profondamente empatico e deduttivo, e Stanley è superficiale e ingenuo con lampi di genio, non profondo e dolce con momenti di semplicità. L’indagine ha il suo apice con l’incontro con Carl Rodd, interpretato dal grande Harry Dean Stanton, personaggio che sembra nascondere dei segreti (pare che condivida un trauma infantile con la Signora del Ceppo, o almeno così pare dal libro pubblicato da Mark Frost l’anno scorso, The secret life of Twin Peaks) – un incontro in cui poco viene detto e quasi nulla viene scoperto, eppure con sguardi intensissimi. L’atmosfera in questa prima parte di film sembra quasi una parodia in chiave ‘dark’ dell’atmosfera comica e leggera di alcune sezioni della serie, con un umorismo noir goffo e strano alternato a effetti audio e video estremamente invadenti da un punto di vista sensoriale, con una sottocutanea attenzione verso i particolari, quasi davvero non prendendo sul serio gli stilemi e le atmosfere che Lynch stesso ha creato, influenzando la storia della televisione internazionale, da The X-Files a Lost. È con la scomparsa di Chester Desmond che si conclude la prima sezione, con un fermo immagine di una mano che si intrufola sotto una roulotte facendo spazio ad un mistero tra i più grandi della serie, in mezzo a dei suoni misteriosi che (si verrà dopo a sapere) corrispondono ai “versi” disumani con cui gli esseri metafisici della Loggia Nera comunicano il mondo esterno: attraverso l’elettricità, l’energia, un contatto fisico e subliminale per inquietare ogni spazio fisico.

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(il fermo immagine che conclude il processo narrativo di Chester Desmond – e, con esso, pure una parentesi stilistica del film)

Con questa cupa chiusura, ci si riapre verso la sezione più incompleta del film, quella su Philip Jeffries, personaggio dallo scopo praticamente ignoto, interpretato da un mai più folle David Bowie che si materializza in un ascensore delirando di fronte a Gordon Cole, puntando il dito su Cooper (prevedendo dunque che diventerà BOB, e così dimostrando che le convergenze tra il mondo della Loggia Nera e il mondo reale non seguono leggi temporali: un vero e proprio mondo superiore alle cose degli uomini) e nominando una certa Judy: chi sia Judy non ci è dato saperlo, ma è possibile che appaia nella terza stagione della serie – del resto Lynch ha detto che Laura Dern interpreterà un personaggio chiave, e qualche sospetto che sia questa Judy sorge. In questo breve quarto d’ora di colori e previsioni folli, Lynch ci introduce ad un aspetto cupo e mai esplorato prima del mondo di Gordon Cole e dell’FBI: i casi della rosa blu sono casi che creano perdizione e che incrociano pericolosamente “questo mondo e l’altro”. La realtà filmata, la realtà scartata dal montaggio, la realtà della storia e la realtà metafisica della Loggia è anche la realtà di questi esseri che tutti coabitano, attraverso lo sguardo di Jeffries, sopra il “convenience store” a cui accenna pure l’uomo senza un braccio nella continuazione del famoso monologo messo in apertura, dedicandosi a riti esoterici basati sull’uso abbondante della garmonbozia (che è letteralmente grano, ma che etimologicamente per qualche ragione significa “dolore e sofferenza”). L’incrociarsi delirante tra questi mondi non ha una vera e propria coerenza narrativa. Si sentono urla di Jeffries, e il montaggio sapientemente incrocia la statica della TV ai due piani di realtà: la Tv che cerca di coniugare la modalità più horror e surreale di Lynch con il suo spirito più umoristico e spirituale, una specie di congiunzione impossibile tra due realtà separate. La televisione (l’elettricità, l’energia, il metodo di comunicazione dei demoni) diventa fantasma e tentativo di pace dove non può che regnare una caotica e morbosa guerra di gesti incompresi e incomprensibili: alla fine vince (e deve vincere) il cinema, vince Fuoco cammina con me con il suo approccio drammatico e avvolgente, finisce l’anti-Twin Peaks della pseudo-commedia e inizia la Twin Peaks della tragedia noir più sensuale, grazie alla scomparsa di Philip Jeffries e all’apertura definitiva di un neo-mistero irrisolvibile, già morto.

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(in Fire walk with me: The Missing Pieces la sequenza di Philip Jeffries mostra le sue origini, da dove viene e dove ritorna: in un albergo di Buenos Aires, dove le sue apparizioni implosive causano panico ed effetti comici surreali à la Cuore Selvaggio, forse fuori luogo considerando l’alienante natura tragica e indefinibile del personaggio, che probabilmente avrà in Fuoco cammina con me la sua unica apparizione)

Qua comincia, dopo un breve incontro tra Cooper e Carl Rodd, sulle note della meravigliosa sigla della serie, la sezione più corposa del film, quella con cui di solito viene identificato il suo unico scopo: una ricostruzione dell’ultima settimana di vita di Laura Palmer. Ed è qui che siamo trascinati in una quotidianità che mostra ogni lato della serie: dalla sessualità all’alienazione, dal pianto tragico al pianto spaventato, dall’onirismo astratto alla concretizzazione violenta dell’atto più carnale. Niente umorismo, praticamente mai. Alla fine, volendo, e leggendo in maniera basilare e superficiale anche la serie, il fatto che Leland Palmer sia l’assassino di Laura finisce per riportare ad un livello “terra terra” anche l’atto apparentemente spirituale del suo stupro e della sua morte, semplificando tutto come una serie di stupri e violenze che hanno rovinato una povera ragazza troppo carnalmente legata ai segreti e al “Male” – ma senza moralismi di sorta, sia chiaro. Laura Palmer è vittima della propria quotidianità sin dalla maniera in cui usa il linguaggio, ponendosi in maniera diversa di fronte ad ognuna delle persone che fa parte della sua vita: si atteggia da femme fatale con l’amante James, sputando sentenze pseudo-poetiche difficili da prendere sul serio, e quasi prevedendo la propria morte; ma si tramuta subito già parlando con Donna, di fronte alla quale qualsiasi illusione di un significato poetico nell’esistenza svanisce, e rimangono solo discorsi superficiali sulla sessualità ed un accentuato pessimismo cosmico; con Bobby, il suo ragazzo e spacciatore, la situazione è ancora diversa, e si tramuta in una specie di complicità criminale in cui il limite tra lo scherzo e l’insulto è sempre lì lì per essere superato, ma la tensione sessuale in mezzo impedisce ogni rischio. Poi c’è Harold, l’unica persona che sa dell’esistenza di BOB, forse una vera e propria versione fisica della chiusura mentale di Laura Palmer verso i propri segreti (ovvero, il suo diario): con lui Laura è intima e parla in maniera diretta e violenta, rischiando anche di dimostrare al massimo la propria fragilità interiore. Incontrando i Chalfont (un’inquietante coppia composta da nonna e nipotino, che nella serie appariva brevemente giusto in un episodio), Laura entra, esplicitamente forse per la prima volta, in contatto fisico con queste entità che scompaiono all’orizzonte, negando con la loro stessa presenza sullo schermo la presenza di un coerente senso della distanza tra i corpi. Donano a Laura un quadro raffigurante una porta: una specie di schermo dipinto, più autentico, che mostra l’apertura tra i due mondi. Come la porta/vagina (dentata) di casa di Dorothy in Velluto Blu, apertura prima fisica e poi palesemente sessuale tra gli U.S.A. utopici dell’american dream e la perversione dell’interno, dell’istintuale, dell’Es. È tramite l’ottenimento di questo quadro che Laura giunge alla consapevolezza che suo padre e BOB sono due manifestazioni diverse della stessa violenza, due facce della stessa medaglia: è tramite la comprensione dell’esistenza di una “porta” (una separazione – socchiusa – tra il reale e l’irreale) che si arriva all’osmosi delle parti; e dunque si arriva alla paura del concreto, una paura prima presente in Laura come minaccia onirica, extrasensoriale e orgasmica, ma ormai integrata nel suo sangue, nella sua carne, nel suo corpo. Organica.

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(i Chalfont si presentano a Laura con una transizione che li pone subito sullo stesso piano della statica della televisione; forse perché sono loro a farle capire che BOB è suo padre, come le pressioni dell’ABC che ha richiesto che il pubblico scoprisse l’assassino di Laura Palmer prima della fine della serie?)

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(il campo/controcampo del riconoscimento dell’assassino, in cui Laura è lontana, nascosta, quasi come se si immedesimasse nello sguardo voyeuristico)

La perversione di BOB difatti non coincide semplicemente con il voler entrare sessualmente in Laura, perché la penetrazione sessuale coincide con una penetrazione cerebrale; l’oscena figura paterna lynchana di cui parla Slavoj Žižek (l’ennesima nel suo cinema, dopo Frank Booth e Bobby Peru, ma prima di Mystery Man e dei fantasmi di INLAND EMPIRE) qua per una volta è davvero, a livello di DNA,  una figura paterna, anche se separata in fisico e metafisico, in superego e in Es, in razionalità paterna e irrazionalità istintuale, incestuosa, cruda.

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Laura osserva con gli occhi piangenti e tragici, in più occasioni all’interno del film, a volte come in un amplesso e a volte come in una preghiera senza risposta, un soffitto che proietta sul suo volto le onde della statica: il mondo noir della Loggia Nera proietta su di lei le proprie onde, la propria necessità di entrare oltre la pelle, di passare dal metafisico al fisico, dal cinematografico al reale. Strade Perdute del resto è ambientato nello stesso universo di Twin Peaks e parte dal presupposto che l’uomo non stia accettando la sovrapposizione tra lo sguardo umano e lo sguardo cinematografico, quindi è necessario che nel film di Lynch direttamente precedente nel tempo vi sia un vero e proprio stupro/omicidio attraverso il quale l’energia della televisione si impone sull’essere umano, uno sguardo sull’altro, forzato. E Leland a cena la sera stessa infatti si impone su Laura, per poi scusarsi subito dopo. La accusa di essere sporca, cerca nel suo corpo l’oscenità che lui stesso ha imposto o involontariamente creato nel suo animo. Nella scusa si vede solamente la sua umanità, la sua fragilità, la sua divisione in due “doppelgänger” – un Leland della Loggia Nera e uno della Loggia Bianca, o forse un BOB e un Leland, un ente demoniaco e un uomo.

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(il doppelgänger di Leland Palmer – morto – che ride e sorride nell’ultimo episodio della seconda stagione; forse è lo stesso Leland che ha compiuto gli omicidi, non il padre affettuoso né quello consapevole)

Laura dorme con il quadro della porta appeso in camera sua: e infatti nel sonno entra nel quadro, entra nella porta, entra nella Loggia Nera ed entra nel cinema, l’unico spazio in cui rivelazione e mistero convivono e in cui non esiste un vero e proprio passaggio del tempo. Annie, la ragazza di Dale, le appare nel letto e le comunica qualcosa che lei non può capire, qualcosa legato al futuro di Annie e al futuro di Dale e quindi a qualcosa che Laura non può esperire poiché questi entrano nella vita di Twin Peaks solo dopo la sua morte. La cosa spaventosa dell’incubo, per Laura, più che le varie entità che si mostrano a lei, sembra essere la scomparsa dell’anello di Teresa Banks che si materializza nelle sue mani – l’anello è un anello “di matrimonio”, di unione, ennesima unione tra un mondo e l’altro. La sua scomparsa sembra quasi essere un monito a Laura della sua appartenenza ancora al mondo reale, della sua mortalità. Eppure, guardando oltre la soglia di camera sua, Laura si ritrova finalmente all’interno del quadro: la sua stanza, dunque, è l’”oltre” della porta e del quadro, il suo intimo è il vero fattore inquietante, probabilmente.

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(prima è immagine, poi è realtà, ma per noi è immagine)

E quindi, forse proprio per portare la propria oscenità verso l’esterno, Laura si prostituisce e porta per sbaglio nel proprio delirio di sesso, alcol e droga pure l’amica Donna, che si lega materialmente al vestito di Laura e grazie ad esso prova abbastanza sicurezza da poter offrire il proprio corpo ad un uomo. Tutto ciò accade nella “Stanza Rosa”, luogo assordante che sembra essere (come il One Eyed Jack’s, 12 prostitute come 12 sicomori) una versione terrena della Loggia Nera – o Stanza Rossa. Una seducente e cruda musica blues rock avvolge un’atmosfera onirica, spaesante, ubriaca aumentata dall’utilizzo di varie sostanze non ben identificate (ecstasy?) da parte dei personaggi, che non riescono a sentire le proprie voci, che vengono sottotitolate. «Non c’è un domani. E lo sai perché? Perché qui dentro, il domani non arriva!» dice Jacques. Giusto con questa frase, e con i seguenti dialoghi tra Laura, Jacques e Ronette Pulaski, Fuoco cammina con me trova una propria seconda profondità: non è solo un attestato con cui Lynch afferma una propria presa di posizione sulla mitologia di Twin Peaks, rendendola più complessa e affascinante fregandosene della reazione del pubblico, ma è anche un manifesto generazionale di perdizione, amore e tragedia, una specie di requiem per la gioventù bruciata degli anni ’80, sotto luci al neon che ricoprono i corpi e gli amplessi, riff che ricoprono le urla e litri di alcol “corretto” che offuscano i ricordi e la razionalità. In questa affascinante chiusura tra le quattro pareti del cinema e della mente, Lynch offre uno dei suoi più realistici e nel contempo grotteschi ritratti di una gioventù che vuole fuggire ma non può, non ne ha volontà, lontana ormai dalla capacità di credere nel sogno americano soap-operistico che invadeva le strade di Velluto Blu.

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(l’amicizia tra Laura e Ronette è un’amicizia basata su di un’empatia prima solo sensoriale, poi anche sessuale e infine mortifera, condivisione di tragedia)

Col giorno dopo, giunge il vero Caos: l’esempio forse più tragico che abbiamo di un incontro tra BOB e la sua nemesi MIKE, almeno per quanto riguarda le loro versioni fisiche, Leland e l’uomo senza un braccio. Quest’ultimo accusa Leland di aver rubato il grano, ovvero il dolore, ed elenca, urlando per strada, suoi crimini compiuti sopra il negozio (il “convenience store” in cui si riunivano tutti): rubare il dolore e la sofferenza agli altri, rubare loro l’energia e la capacità di comunicare, tutto ciò solo per poter comunicare direttamente con la figlia e con Teresa Banks sia come entità sessuale sia come entità esoterica. È qui che parte un flashback che dice molto sulla cruda fragilità di Leland, forse la figura più drammatica di tutto il cinema di Lynch, che si ritrova, andando con prostitute, a incrociare il volto della figlia, e scappa – non perché comprende il demone della propria perversione ma solamente per scappare dal riconoscimento dell’osmosi, quello che giunge tuttavia grazie al quadro, alla rappresentazione dell’osmosi stessa. Sia la scena dell’incontro sia la scena del flashback (con seguente riconoscimento di Laura dell’anello che ha al dito l’uomo senza un braccio, lo stesso anello di Teresa, lo stesso anello del sogno, lo stesso anello che rappresenta, come la porta e come la statica, l’unione, qui spirituale e sessuale, tra un mondo e l’altro) sono girate e montate con una prepotente cura verso il dettaglio e il disordine sonoro e visuale, drammatizzando ancora di più il rapporto tra Laura e il padre/assassino – e c’è poco tempo per prendere fiato dalla tensione erotica della Stanza Rosa a quella viscida e maniacale della macchina in cui Laura e Leland discutono dell’incontro con MIKE dal benzinaio.

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(l’altro riconoscimento, nel passato: Leland che vede la figlia ma non viene visto)

Nella fase seguente del film, Lynch si dedica al chiudere la parentesi fredda del rapporto tra Bobby e Laura, mostrando quest’ultima come un’amante priva di passione, legata solo materialisticamente alla droga, con completa noncuranza delle paranoie che Bobby ha e che lo portano all’omicidio di uno spacciatore (che però è il poliziotto della città di Teresa Banks visitata da Desmond e Stanley a inizio film). In questa fase, Laura accetta all’interno del proprio corpo BOB durante un sogno erotico solo per risvegliarsi urlando in mezzo al silenzio dopo aver riconosciuto suo padre, eppure non accetta Bobby, distanziandosi proprio a causa di un riconoscimento del valore materialistico della loro relazione – lo stesso riconoscimento del valore materialistico demoniaco e morboso dei propri indumenti, quello che causa l’esplosione sessuale in Donna. Decidono, cosa non chiara dalla serie, di lasciarsi e di dedicarsi solo e soltanto ad un rapporto dedicato alla droga e allo scambio, dimostrando un’onestà reciproca basata dunque solo sul materialismo che Laura precedentemente faceva finta di rifiutare. Il rapporto con James invece Laura lo vive come un “vero amore”, che invece forse lui corrisponde con maggiore superficialità vista la velocità con cui si lega a Donna a partire, sostanzialmente, dal giorno dopo la morte di Laura (fine episodio pilota). Laura si comporta con James in maniera schizofrenica, a causa della cocaina sicuramente ma anche forse di un timore insito di quello che inevitabilmente sta per succedere. Un urlo di un “ti amo” tuttavia non può che far piombare James nella triste paura dell’incomprensione di sé, del proprio fare pseudo-anarchico e nostalgico: l’anti-eroe patetico scompare nella notte, incapace di comprendere cosa ha significato davvero quell’ultima cosa che gli è stata gridata da una ragazza persa nel mondo, in procinto di morire.

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(Laura riesce ad accettare, almeno momentaneamente, BOB che la sottomette ma sottomette e rifiuta Bobby alla possibilità dell’ultimo amplesso; come se accettasse la sessualità a livello astratto ma non materialistico)

E finalmente si giunge all’omicidio: oltre ad una rappresentazione sessualmente esplicita e dettagliata dell’oscenità dell’amplesso collettivo tra Ronette, Jacques, Leo e Laura, la scena presto sfocia nel (di)mostrare l’atto di violenza di Leland come un atto voyeuristico (riviene in mente l’occhio assassino di Powell), di penetrazione dell’occhio attraverso il vetro direttamente nel sesso della figlia. La corsa e il crescendo di tensione prima della morte sono anticipati dalla scomparsa dell’angelo custode dal quadro in camera di Laura: la pietà cristiana non la può più salvare dal materialismo deprimente della sua generazione. Laura si deve rifugiare nella ricerca di un altro tipo di pietà che la possa salvare, un altro tipo di carità e di perdono: lo spiritualismo e la religione possono salvare Ronette, ma Leland/BOB che porta la propria consapevolezza dal corpo all’anticorpo, entrando finalmente in Laura, la portano a dover ricercare un perdono nell’anello di MIKE. Così Laura, finalmente sposandosi con il metafisico e con l’altro, smette di essere un essere umano e diventa un concetto, un’icona di un decennio, di una serie TV, di un’estetica, ed è destinata a morire, sputando sangue, in un montaggio crudelissimo che è probabilmente la scena più violenta e disturbante mai girata da Lynch. Un Leland mai più vicino per trucco e pathos ad un pagliaccio, dopo aver avvolto il cadavere della figlia nella plastica, si unisce a BOB nella Loggia Nera tra i sicomori restituendo a MIKE e al suo braccio (il nano, ovvero l’uomo da un altro mondo) il dolore e la sofferenza, ovvero la garmonbozia, che ha rubato loro nel “convenience store” – e non ha senso commentare troppo queste scene considerando come siano probabilmente legate ad un’espansione della mitologia di Twin Peaks che probabilmente non potremo capire ancora per qualche mese, o forse per sempre, conoscendo Lynch, e a confermare ciò c’è una breve inquadratura di una scimmia nel buio che dice “Judy”. Il cadavere di Laura viene trovato subito dopo, ma Laura e Dale (“il Dale buono [che] si trova nella Loggia”) si ritrovano vivi, nell’ultima e brevissima sezione del film, vittime della stessa tragica ingiustizia, nella Loggia Nera, di fronte all’angelo della pietà cristiana che ormai (non?) vede Laura agghindata da femme fatale, costretta ad essere ricordata per il suo dolore e per la sua sofferenza e non per la sua capacità umana. Il film è un grido d’aiuto del personaggio di Laura Palmer, ormai diventato simbolo a causa della sua morte e non della sua umanità, vittima di omicidio e vittima della propria cristallizzazione cinematografica. L’angelo è quasi una presa in giro, non tanto della fede cristiana quanto del credo della presenza di un perdono ove non c’è, per una generazione che scompare, vittima di sé e dei traumi delle generazioni passate, vittima del fuoco e della televisione, della blasfemia e della sessualità. E per sapere cosa rimarrà di questi traumi, e cosa continuerà a traumatizzare nel tempo, basta aspettare il 21 maggio e la terza stagione di questa serie così storica e necessaria. Non sappiamo ancora nulla, non capiamo ancora nulla, siamo atterriti dalla visione anche 25 anni dopo, dalla strisciante violenza e dalla penetrante sessualità di uno dei film più crudi del regista weirdo più di culto del cinema tutto. Sottovalutare le potenzialità di Fuoco cammina con me significa attaccare un cinema difettoso per motivi produttivi ma di un’espressività unica, forse mai pareggiata, da un punto di vista “politico”, nel cinema di Lynch. Chi ama Twin Peaks per i suoi siparietti più superficialmente comici può sdegnarsi di fronte al delirio del film, ma chi lo ama per i simbolismi fantasmici di Lynch o per la sua visione dell’America e del cinema non può criticare Fuoco cammina con me per il suo manierismo dimenticando la sua importanza nel cinema del regista. Fuoco cammina con me è il cuore della mitologia di Twin Peaks, e come tale va salvaguardato: come un noir, profondamente psicanalitico e sessuale, che racconta la fine di un simbolo nato morto, cantando la marcia nuziale e funebre di due mondi separati (il cinema e la vita) che da Strade perdute in poi saranno sempre più confusi, sempre più sovrapposti, sempre più incomprensibili. Per sempre, per 25 anni.

Nicola Settis

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“Twin Peaks: Fire Walk with Me” (1992)
135 min | Drama, Fantasy, Horror | USA / France
Regista David Lynch
Sceneggiatori David Lynch, Robert Engels, Mark Frost (television series Twin Peaks), David Lynch (television series Twin Peaks)
Attori principali Sheryl Lee, Ray Wise, Mädchen Amick, Dana Ashbrook
IMDb Rating 7.2

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