23 Maggio 2017 -

BEFORE WE VANISH (2017)
di Kiyoshi Kurosawa

Quello di Kiyoshi Kurosawa è sempre stato un cinema di suggestioni e di violenza, di sangue e di follia, di tempi dilatati e di spirali distruttive, di panoramiche a 360° e di dolly resi inquietanti dalle musiche, di ipnotiche suspense e di inaspettate apparizioni pronte a invadere lo schermo. Ma soprattutto, quello di Kiyoshi Kurosawa è sempre stato un cinema di fantasmi: spettri esistenziali ma al contempo fisici, corporali, materici, apparentemente indistinguibili dai vivi. Come sono indistinguibili dagli umani, in Before we vanish, il nuovo lavoro presentato in selezione ufficiale di Cannes70 nel concorso-bis Un Certain Regard, i tre alieni giunti in avanscoperta sulla Terra a prendere possesso dei corpi quasi fossero un virus cronenberghiano, con il quale studiare l’umanità prima di dare il via all’invasione vera e propria, quella che distruggerà l’umanità. Before we vanish è il momento che precede la sparizione dell’essere umano dalla faccia della Terra, è l’inizio della fine, ed è a suo modo ancora una volta l’ossessione di Kiyoshi Kurosawa per gli ectoplasmi, dove questa volta, a essere in bilico fra la vita e la morte, non c’è un solo personaggio, ma un’intera umanità che (in)consciamente si prepara a essere rasa al suolo.
Nella sua costante rielaborazione del cinema di genere, questa volta Kiyoshi Kurosawa gioca apertamente con la fantascienza, rallentandola fino alla contemplazione, disseminandola di improvvise fiammate e di radicali cambi di tono, ibridandola con il melodramma e con la commedia scanzonata, con il thriller e con l’horror, con l’umanità e con i sentimenti. L’incipit è folgorante e splendidamente fuorviante, una sorta di compendio dell’horror secondo Kiyoshi lanciato per aprire un film che sarà poi tutt’altro, privo o quasi di sangue al di là di qualche colpo di mitra. Un’adolescente acquista un pesce rosso con il quale torna a casa. La macchina da presa non la segue oltre la porta, ma si sposta lateralmente e lentamente sale, fino a quando la porta di ingresso non sarà improvvisamente riaperta da una figura in fuga, che verrà però prontamente ritirata dentro da qualcosa. Solo a questo punto la macchina da presa, e con lei gli spettatori, possono entrare in casa, possono vedere, possono tastare con mano la furia omicida, il sangue schizzato ovunque, i corpi riversi a terra, compreso il pesce rosso che ora boccheggia in una pozza di plasma. Di fronte alla scena, in piedi, la ragazzina, che sembra compiacersi della sua furia omicida, e che ora cammina per strada sulla linea di mezzeria, provocando incidenti e imparando così a guidare. “Appena arrivata ho sbagliato e ho preso possesso di un pesce”, dirà più tardi ridendo agli altri alieni, e mostrando come a volte il pericolo possa arrivare proprio da chi è apparentemente più tenero e indifeso.

Before we vanish nasce, dichiaratamente, come divertissement, come opera minore meno oscura e molto più “popolare” del solito, come una piccola deviazione dalla strada ipnotica e gotica intrapresa con gli ultimi (capo)lavori per intraprendere un sentiero più “semplice” e (di poco) più “commerciale”. Eppure, liquidarlo alla stregua di un film di cassetta girato con la mano sinistra sarebbe un errore imperdonabile, sia per il miracolo di rarefazione che – pur cambiando sottogenere dal thriller/horror ectoplasmico allo sci-fi – l’Autore Kiyoshi Kurosawa continua a compiere sul cinema “di genere”, sia, ancor di più, per la sua capacità di innestare in ogni film, declinandole in maniera sempre differente, le sue ossessioni e le sue tematiche di riferimento, dai fantasmi ai sentimenti, dalla morte ai più tortuosi percorsi della mente. È vero, Before we vanish non tiene né vuole tenere lo stesso passo magmatico e inquietante delle migliori opere di Kiyoshi, non vuole replicare l’atmosfera criptica del “brivido” di Creepy, non vuole ritornare al viaggio nella mente in coma di Real, non vuole interrogarsi sull’immagine tanto quanto l’ultima incursione europea Daguerrotype, non vuole mettere in scena i ritorni dalla morte di Journey to the shore, e non vuole nemmeno rielaborare il delitto e castigo di Shokuzai-Penance. Eppure, ben al di là del suo spirito giocoso, e con la solita magistrale messinscena come firma in calce di ogni sequenza, anche Before we vanish trasuda tutto ciò che è il motore del cinema di Kiyoshi Kurosawa: la costante indefinitezza dell’uomo e degli umani sentimenti, la sospensione, l’assenza/essenza, e poi l’immagine, fissa o in movimento, eterna o sfuggevole, immortale o già morta, eterea, illusoria.
Gli alieni giunti sulla Terra, con un semplice gesto della mano, possono rubare dalla mente dell’uomo i suoi concetti svuotando progressivamente i terrestri di umanità fino alla catatonia – ancora ectoplasmi di carne, che vagano e cadono con la bocca semiaperta e con lo sguardo appannato –, mentre gli extraterrestri, un “furto” dopo l’altro, diventeranno inevitabilmente sempre più umani, via via consci e partecipi della famiglia, del lavoro, dell’identità, e persino dell’amore, ciò che distingue l’umanità dal resto dell’universo, ciò che non può prescindere per capire davvero l’uomo. I tre invasori in avanscoperta, la ragazzina dell’incipit, un suo coetaneo in cerca di una guida umana che troverà in un giornalista freelance in attesa di uno scoop e un marito inizialmente catatonico e poi progressivamente sempre più “lui”, hanno bisogno di ciò che noi diamo per scontato, della nostra routine, e non è difficile immaginare, al di là del senso di vuoto e della non-morte, il prosieguo della vita di un essere umano depredato e per sempre privato del proprio concetto di famiglia, o di quello di comunicazione, o di quello di linguaggio, ma anche molto più semplicemente di quelli di saper stare in piedi o di allacciarsi la cintura di sicurezza. È uno scambio che ribalta le parti, è una proporzionalità inversa, nella quale gli alieni non conoscono giustizia, non conoscono sentimenti, non conoscono alcun diritto e dovere sociale, e per conseguirlo devono necessariamente lasciare qualcuno senza, devono privarlo delle relazioni, della società, delle regole basilari della vita.

Fra GPS ingannevoli e raffiche di mitra, oscuri piani del governo per tentare di risolvere la situazione in modo per lo meno fantasioso, incontri in centri commerciali, difficoltà nel credere non solo alla versione degli alieni ma anche alla loro stessa esistenza salvo poi passare dolorosamente passare dalla loro parte, esigenti capi che ora saltellano e distruggono l’ufficio perché depredati del concetto di lavoro, ricerche, omicidi e incontri più o meno casuali, Before we vanish non rinuncia a improvvise deflagrazioni narrative che frullano i generi e spingono sul pedale del gas un ritmo per il resto necessariamente dilatato, ma non è certo il puro intrattenimento l’obiettivo di un autore come Kiyoshi Kurosawa. Nel suo scambio (anche di ruolo) fra umani ed extraterrestri, Before we vanish è un film sulla consapevolezza, sull’identità, sull’importanza dei concetti che diamo per scontati, a partire dal “non uccidere”. E soprattutto è un film sull’amicizia – quella che porterà il giornalista a continuare, da essere umano conscio di morire, il lavoro che i due giovani alieni non sono riusciti a finire lanciando il messaggio che darà il via all’invasione – e sull’amore, quello di una moglie che continua a supportare, aiutare e salvare il marito anche dopo che questo si è trasformato in alieno, “finché morte non vi separi”. Perché nel frattempo l’invasione è iniziata, il cielo è rosso di fuoco, il mondo sta per finire. Ma questo mondo non può finire prima che l’alieno abbia conosciuto l’amore, e quindi l’uomo nel suo senso più intimo. È il momento del dono ultimo, è il momento per lei di rinunciare all’amore perché possa provarlo (di nuovo) anche lui, solo per un attimo, o forse per la vita. Perché nel frattempo l’invasione, per motivi non noti, si fermerà, rimarrà un’altra illusione, rimarrà un momento nel passato, e d’ora in poi toccherà al marito coccolare e supportare una moglie ormai vuota, catatonica, resa ectoplasmica dal cortocircuito finale fra la mente, il cuore e l’imponderabile. Finché morte non vi separi, ancora, sempre e per sempre.
Kiyoshi Kurosawa si interroga ancora sulla necessità di conoscere e di amare, sul bisogno di sentirsi umani anche e soprattutto quando l’umanità è l’obiettivo da distruggere, e sa farlo senza mai scivolare nella retorica. In un film che sarà anche “minore”, sarà anche meno indispensabile di altri nello scrigno pieno di gemme preziose che è la filmografia del regista giapponese, sarà anche meno ambizioso e ispirato dopo una serie di capolavori più o meno consecutivi, ma che conferma, eccome, le indiscutibili qualità di uno dei maggiori registi viventi. Before we vanish non è un capolavoro, è “solo” un gran bel film, magmatico, accorato, affascinante ma non privo di lievissime sbavature, forse un po’ troppo lungo, forse a tratti farraginoso, anche se poi tutto torna, nei momenti in cui è necessario spiegare. Ma a girarlo sono stati la stessa mano e lo stesso cuore di un Autore sommo, di un gigante cinematografico incapace di sbagliare, di un maestro che firma solo film preziosi, magnifici, fra i quali un divertissement si staglia fra le migliori visioni di Cannes70, e non solo. Perché Kiyoshi Kurosawa è un regista del quale un film “minore” è un qualcosa che la stragrande maggioranza dell’universo cinematografico nemmeno si sogna, e perché i suoi film non vengano regolarmente acquistati e distribuiti in Italia rimane il più grande, paradossale, assoluto e insondabile – per quanto non certo voluto – mistero del suo cinema.

Marco Romagna

“Untitled Kiyoshi Kurosawa Project” (2017)
Drama | Japan
Regista Kiyoshi Kurosawa
Sceneggiatori N/A
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

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