8 Settembre 2023 -

THE KILLER (2023)
di David Fincher

Ormai in collaborazione assodata col marchio Netflix, David Fincher, uno dei principali registi americani viventi, uno dei pochi ancora in un ruolo a metà tra autore e mestierante ad alto budget, tra cinema del passato e cinema del futuro, ha girato The Killer, un film davvero anacronistico, schraderiano, che re-inventa la tensione. Tratto dalla graphic novel francese Le Tueur di Matz e Luc Jacamon, il film comincia con un quarto d’ora illuminante, che alterna tesi silenzi, martellanti suoni industriali, e una canzone degli Smiths, How soon is now?. Ma prima di questo inizio straordinario, la storia è anticipata da una sigla digitalozza che banalizza il senso grafico e i simboli del film in una sequela di immagini ipercinetiche che si scompongono di fronte ai nostri occhi. Ciò ci ricorda come uno schiaffo qual è la piattaforma di The Killer: la visività piatta e volgare di Netflix. Dopo una puntata di Love Death + Robots, le intersezioni coi progetti House of Cards Mindhunter e soprattutto la regia-produzione del progetto passionale Mank, desueto dramma in costume a tema (meta)cinema tratto da una verbosa sceneggiatura del padre giornalista, la filmografia del regista sembra arrivata a un momento di incertezza. Ogni carriera cinematografica, quando storicizzata, diventa volente o nolente un grande racconto, e quello di Fincher, ormai in corso da decenni, è un mondo di verità falsate, giochi infiniti, effetti speciali e informatici, del Male nascosto dietro il Bene e di un amore e di una sensibilità occultati dietro una grigia patina di freddezza. Le immagini digitali che pensa adesso il regista che negli anni ’90 fece Se7en e Fight Club sono tra le più riconoscibili nella produzione hollywoodiana contemporanea, tra i green screen che ricreano la realtà e la fotografia fredda che la maschera di nuovo, col velo misterioso della visione del mondo gelida e misteriosa del suo autore. Viene evocato davvero, a ogni sua nuova opera, un senso fluido di che cosa sia una verità, di cosa sia un racconto, di cosa sia un personaggio: c’è distacco tra cos’è Lisbeth Salander di Uomini che odiano le donne su carta e nei colli innevati fotografati da Jeff Cronenweth nell’adattamento del 2011 di Fincher, l’una un simbolo ideologico travolto da un noir, l’altra un’iconografia eroica, disperata, impassibile di fronte a uno scorrere degli eventi fuori dal suo controllo. E, soprattutto, il Mark Zuckerberg metodico della sceneggiatura in Aaron Sorkin in The Social Network solo nelle mani e negli occhi di Fincher può diventare l’antagonista esistenziale ossessivo compulsivo che ormai è il Mark Zuckerberg della vita reale nell’immaginario di tutti, al di fuori dal film; perché ci ha convinto, ci ha rivelato qualcosa di vero, con la finzione più spinta. È questo il discorso che viene messo in atto dal succitato prologo di The Killer, un’analisi sistematica delle metodologie e delle fissazioni del più preciso degli assassini, un capolavoro di storyboard e messinscena che incasella una serie di ingranaggi visivi e narrativi, allineandoli come pedine di un domino, di una sequenza di reazioni che non può che finire in un modo. E invece finisce in un altro.

La voce narrante del protagonista che accompagna quasi tutto il film, una presenza davvero assillante in questi primi minuti, fa da contrappunto pensieroso agli eventi in campo, e non dà corrispondenza diretta alle immagini. Anzi, ne è un ribaltamento ironico, ma sottile. C’è poco di umoristico nelle macchinazioni omicide di questo freddo calcolatore che si spara gli Smiths in cuffia e non tiene a niente nello stesso modo in cui tiene all’avere attorno a sé una pulizia e un candore che gli facciano dimenticare la brutalità del mondo che si è fatto per sé, il mondo in cui vive, il mondo in cui spara. Parla di una visione delle cose nichilista, ma noi lo vediamo lottare per se stesso, per la vita propria e della persona che ama, di cui non ci dice niente, di cui non sappiamo niente, che c’è e basta. C’è solo la contraddizione, ed è in essa che il ‘killer’ fincheriano si contraddistingue da molti archetipi già abusati dal cinema di genere, la contraddizione tra precisione e imprecisione, umanità e disumanità, calore e freddezza, la tensione interiore che si esprime solo dentro e affatto fuori. Il killer senza nome, che passa da uno pseudonimo all’altro in ogni aeroporto per cui passa, è un’ombra che volteggia da una città all’altra, porta morte e discordia, cerca una pulsione fuori controllo che ormai è sua sola ragione di sopravvivenza, una vendetta che non è una vendetta. Non tutte le sue azioni sono spiegabili, plausibili, riconoscibili. A essere riconoscibile è il suo senso solitario, appunto perlopiù iconografico, il suo statuario essere nel posto in cui è e creare situazione, azione, cinema, dialogo, tensione, ovunque egli vada. È lui il motore impassibile dell’ingranaggio cinematografico, è la sua eterna contraddizione a portare avanti il mistero per cui i film ancora si fanno. È la stessa tesi dell’antieroe del cinema di Paul Schrader, il riflessivo uomo monolitico che riflette e agisce a modalità alterne per resistere contro la morbosa complessità dell’esistenza, portata all’ennesima potenza di interiorizzazione, l’uomo la cui sofferenza è preghiera, la cui disperazione è raison d’être. Qua non ci sono redenzioni né ambiguità né tantomeno esplosioni mistiche, la fuoriuscita dal tunnel della morte e della solitudine è una normalità da cartolina. Il killer è mimetizzato tra noi, noioso come noi, si racconta cose diverse ma desidera le stesse trivialità della vita comune e borghese che vogliono tutti.
The Killer, come tutti i film, è relativo. Se lo si vede come parte del concorso dell’80esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, sembra un film desueto, che non tenta di cambiare le cose nell’arte a cui appartiene, quanto di tenerle incollate tra loro ancora per un poco. Nel catalogo Netflix, è una sequela di immagini colte e complesse atte a raccontare un nulla che è fiero di essere tale, più un trucco di magia che una trama da seguire con una risoluzione da attendere. È un film destrutturato alla base, in quanto quasi privo di strutture, solo sovrastrutture: schemi di senso, incastri cognitivi, simboli subliminali. Il killer si sente affogato nel mondo dei ‘normies’, eppure non ne rifugge niente, si normalizza egli stesso in una speranza senza speranza, in una light that never goes out. Non è un buono, non è un cattivo, è una particella impazzita di un mondo impazzito. Un freddo guerriero contro le menzognere verità della vita.

Nicola Settis

“The Killer” (2023)
118 min | Action, Adventure, Crime | United States
Regista David Fincher
Sceneggiatori Alexis Nolent, Andrew Kevin Walker
Attori principali Michael Fassbender, Tilda Swinton, Monique Ganderton
IMDb Rating N/A

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