7 Febbraio 2022 -

PICCOLO CORPO (2021)
di Laura Samani

Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?».
Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio».
Vangelo, Giovanni, 3, 3-5

Si è dovuto aspettare fino al 2007, perché un documento redatto dalla Commissione Teologica Internazionale riunita sotto Benedetto XVI arrivasse a suggerire espressamente di «lasciar cadere» l’idea stessa dell’esistenza del Limbo, definendolo una «visione eccessivamente restrittiva della salvezza». Una presa di posizione netta da parte della Chiesa, che per la prima volta dopo millenni ha posto l’accento su come la stessa possibilità di una zona indeterminata né di dannati né di redenti, nella quale escludere dalla Vita Eterna – per sempre, o per lo meno fino al Giudizio Universale – alcune anime innocenti solo perché spirate nel momento stesso della nascita, di fatto risulti per molti versi in disaccordo con l’infinita misericordia di Dio, poco compatibile con la dottrina del sacrificio di Cristo in croce per tutti gli esseri umani. Eppure nemmeno gli sforzi profusi a più riprese da Joseph Ratzinger, prima negli anni Ottanta dall’ufficio cardinalizio e successivamente da pontefice, hanno potuto definitivamente cancellare il Limbo dai Misteri della Fede. La filosofia teologica contemporanea lo considera di fatto un qualcosa di superato, in contrapposizione ai principi di inclusività e bontà alla base del cattolicesimo, e ritiene che ci sia una più che fondata speranza che la Fede e la preghiera possano far comunque accedere un’anima non battezzata alla grazia di Dio, ma perfino nelle stesse pagine che ne propongono l’inesistenza il Limbo rimane ancora oggi «un’ipotesi teologica possibile», una minaccia d’eterno nulla per tutte quelle anime neonate di bambini che non hanno avuto il tempo di lavare via il Peccato Originale. Una prospettiva di imperitura irreversibilità forse ancora più atterrente della già di per sé orribile morte in culla, tanto più per una giovane madre devota in una società tradizionale e paesana di oltre un secolo fa, fatta di contadini e di pescatori, di leggende popolari e di antichissime ritualità pagane, di dialetti stretti e di centralità assoluta della Fede. Quel tempo imprecisato fra il folklore più ancestrale e i primi vagiti di modernità di fine Ottocento, così lontano dalle moderne interrogazioni teologiche volute dall’attuale Papa Emerito, in cui affonda le radici Piccolo corpo, struggente lungometraggio d’esordio della giovane triestina Laura Samani presentato in casa all’ultimo Trieste Film Festival dopo la prima alla Semaine de la Critique di Cannes, il premio Fipresci a Lubiana e gli scroscianti applausi dell’ultimo Torino Film Festival, e fra pochi giorni in uscita nelle sale con la coraggiosissima autodistribuzione della Nefertiti Film di Nadia Trevisan e Alberto Fasulo. Un tempo in cui le lampadine, per chi nemmeno sa cosa sia l’elettricità, nient’altro sono che moderne «diavolerie» da rompere sul selciato polveroso, un tempo di balie costrette ad allattare per i ricchi e di briganti sempre pronti a rapinarli attaccandoli lungo la strada, ma soprattutto un tempo in cui credere tanto profondamente a un mito popolare ben più antico da trasformarlo nell’unica missione di vita, nella più forte prova di Fede e d’amore genitoriale, nella necessità assoluta per la quale essere disposti a tutto, alla fuga, al viaggio geografico e spirituale, alla rinuncia, a sanguinare e a non fermarsi, a sfidare apertamente una miniera di montagna. Se necessario perfino al martirio, pur di salvare l’anima di una figlia.

Nasce quasi per caso l’idea di Piccolo corpo, dalla scoperta di una vecchia tradizione popolare che voleva il Santuario in cima a Trava, minuscola frazione del paesello di Lauco fra le montagne udinesi della Val Dolais, come sede di ripetuti miracoli. Un luogo, diceva la leggenda, in grado di resuscitare per un solo momento i bambini nati morti, giusto per il tempo di un respiro, giusto per il tempo di dare loro un nome con il Battesimo, giusto per il tempo di salvare per lo meno le loro anime, consentendo loro l’accesso nel Regno dei Cieli. Il più dolce e dolente possibile fra i doni d’amore di una madre, da meritarsi fino in fondo nel corso di un tormentato e indomito viaggio pochi giorni dopo il parto con in spalla la minuscola cassa della figlioletta, dal mare fino alle montagne, attraversando boschi, villaggi e il buio senza ossigeno di una miniera da cui nessuna donna è mai uscita viva fra la Venezia Giulia, la Slovenia e il Friuli. Ma soprattutto attraversando una ben precisa cultura secolare di tradizioni e credenze locali, di litanie popolari, di interminabili processioni, di riti propiziatori antichissimi. La stessa Italia ancestrale e folklorica da condividere con il contemporaneo Re Granchio, girando però negli stessi boschi già set dello splendido I tempi felici verranno presto di Alessandro Comodin per declinarla nuovamente in quel Triveneto senza tempo già esplorato tanto da Alberto Fasulo con Menocchio, dal quale la regista sembra quasi voler riprendere anche la macchina a mano e la fotografia pittorica in luce naturale, quanto in maniera del tutto differente dall’Amir Naderi di Monte. Questa volta, però, l’epica e lo sguardo sono tutti al femminile, fatti di fiotti di sangue che sgorgano dal corpo ancora ferito e di una cassa da non potersi separare, di strati di fuliggine spalmati sul volto perché la montagna non riconosca come donna chi si sta per addentrare nel labirinto di cunicoli oscuri e di requiem anticipati recitati in ginocchio da chi la considera già spacciata, di efferate rapinatrici che liberano la prigioniera sopraffatte dalla pietà e commosse dal dolore mentre le pie anziane del villaggio «non fanno niente per niente», e poi di funghi, di nocciole, di fuochi, di pigne secche e di un ruscello da bere insieme, sulla strada per trasformare un incubo in un sogno, la disperazione in speranza, la morte in vita eterna. Non è un caso in tal senso che Piccolo corpo inizi con le donne in spiaggia, la protagonista Agata incarnata dall’ottima esordiente Celeste Cescutti ancora incinta sotto il velo, il coro che avanza imperioso e il (primo) sangue della futura madre da consacrare. Ma a poco serve la benedizione, per una figlia destinata a nascere morta, già grigia, senza mai un respiro, senza il tempo di darle un nome. «Il tuo corpo se ne dimenticherà e il tuo cuore anche», dicono tutti alla giovane madre addolorata e terrorizzata dal Limbo, ma Agata semplicemente non può abbandonare quel piccolo corpo, non può lasciare l’anima della sua bambina per sempre sola nel buio eterno. Può solo prenderla con sé e fuggire nella notte, salutare silenziosa il suo villaggio di pescatori e la sua isola natale, partire verso la speranza di una salvezza. Ancora debole e pallida, vestita troppo leggera e con il latte che le bagna il petto, guidata dalla Fede più profonda e dalla disperazione, verso un ignoto in cui solo l’incontro casuale con Lince potrà alla fine metterla sulla giusta via. Eppure è proprio Lince, a ben vedere, l’unico personaggio che andrà incontro a una parabola di reale formazione nel corso del viaggio che finiranno per affrontare insieme. Agata ha semplicemente una missione da portare a termine fra la ragione e il sentimento, dall’acqua del mare a quella di un laghetto di montagna solcata da un novello Caronte, disposta a rinunciare a marito, famiglia, riposo, luce, capelli e in ultimo pure alla vita, pur di donare una nuova speranza a quel corpicino. Lince invece no, non ha linearità, non ha un compito definito: è un personaggio ibrido, doppio, tutto da costruire e da svelare. Uomo e invece donna, che non si sente di esistere e invece vivo più di chiunque altro, profondamente animale nella sua simbiosi con la natura e nel suo trovare sempre la strada per i boschi e invece umanissimo nei suoi scherzi e nei suoi strazi. Inizialmente pronto a ingannare Agata per venderla come balia al miglior offerente, ma poi disposto ad accompagnarla in cambio di metà del presunto tesoro della cassa di cui ovviamente non conosce il contenuto; successivamente atterrito dalla realtà quando le farà curare le emorragie post-parto presso il suo paesino natale al punto di andarsene perché «non si battezzano i morti», ma alla fine testimone che porterà a termine la missione della protagonista, assistendo allo strazio della morte e al miracolo dreyeriano della resurrezione con l’unico respiro della piccola Mar. Ma non è tanto Ordet, con cui Piccolo corpo vuole mettersi in dialogo. Semmai il sospiro poetico di Laura Samani è al Jean Vigo de L’Atalante, con quell’ultimo e definitivo ritrovarsi sott’acqua. Una madre e una figlia assiderate, riverse sulla neve della riva dentro e fuori dalla scatola, eppure per sempre insieme nel sogno, per sempre insieme nella Luce eterna. I corpi, le anime, i sentimenti, il sacrificio più estremo, dare una vita per un respiro – anche uno solo – di chi si ama. Un’estasi mistica, a suo modo. Di certo un momento di cinema di fronte al quale sentire per un attimo vacillare anche il più radicato ateismo, avere un dubbio, forse credere al miracolo. Solo per un momento, solo per il tempo di un respiro. Quanto basta per la salvezza, parrebbe.

Marco Romagna

Roma, 01 febbraio 2022
Si comunica che il film PICCOLO CORPO di Laura Samani, distribuito da NEFERTITI FILM, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI.
Motivazione:
Concretamente materico e insieme altamente spirituale, la regista fa leva sulla tradizione pittorica per restituire una dimensione ancestrale ed eterna, raccontando il legame materno come una forza propulsiva incapace di accettazione dell’umana finitezza. Un’esplorazione del femminile nelle sue forme più estreme attraverso un linguaggio cinematografico irriducibilmente vitale che individua nel corpo il suo alfabeto.
(uscita 10 febbraio)
“Small Body” (2021)
89 min | Drama | Italy / France / Slovenia
Regista Laura Samani
Sceneggiatori Marco Borromei, Elisa Dondi, Laura Samani
Attori principali Celeste Cescutti, Ondina Quadri
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

I NOSTRI FANTASMI (2021), di Alessandro Capitani di Massimiliano Schiavoni
MARX PUÒ ASPETTARE (2021), di Marco Bellocchio di Marco Romagna
BENEDETTA (2021), di Paul Verhoeven di Marco Romagna
TROMPERIE - INGANNO (2021), di Arnaud Desplechin di Marco Romagna
RUE GARIBALDI (2021), di Federico Francioni di Marco Romagna
TRE PIANI (2021), di Nanni Moretti di Marco Romagna