10 Agosto 2016 -

WHERE IS ROCKY II? (2016)
di Pierre Bismuth

Quando scriviamo recensioni e tra le nostre parole spunta un “metacinematografico”, tendenzialmente si ha l’idea di un’opera complessa e stratificata, che riesce davvero a dire qualcosa di nuovo su di un media come il cinema su cui a volte sembra che sia stato detto tutto — ma non si finisce mai di essere stupiti. Why don’t you play in hell? (2013) di Sion Sono è un film metacinematografico, un gioco folle di amore per il cinema e per la pellicola, in cui l’immagine cinematografica è un Dio e la morte è un qualcosa di folle ed elegante e inimmaginabile. Cosmos (2015) di Andrzej Żuławski è un film metacinematografico, un intricato e disordinato labirinto di immagini che si ricollegano l’una all’altra irrazionalmente perché il montaggio, da Ėjzenštejn in poi ma forse anche prima, è capace di creare connessioni dove non ci sono, incollando, immaginando, anche sdoppiando la narrazione. Where is Rocky II? è anch’esso un film metacinematografico; partorito da Pierre Bismuth, co-sceneggiatore con Michel Gondry e Charlie Kaufman dello script da Oscar 2005 di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (o, ahimè, Se mi lasci ti cancello), Where is Rocky II? è forse l’oggetto più imbarazzante del Festival del Film Locarno 2016, un esempio di come non basti un comparto concettuale fatto di rotture di sche(r)mi e quarte pareti per fare qualcosa di rivoluzionario.

Bismuth sale sul palco, prende il microfono e con il suo pronunciato accento francese prepara il pubblico al fatto che si sta per assistere a qualcosa di diverso, ad un nuovo tipo di documentario capace di mischiare la forma documentaristica a quella del film di finzione in maniera che noi spettatori (ovvero un branco disomogeneo di appassionati di cinema da tempo immemore, spesso cresciuti a pane, Herzog e Grifi) non possiamo minimamente immaginare. Parla e parla con una modestia degna di Donald Trump, non ride, non guarda nessuno negli occhi, gesticola. Il premio Oscar non comunica, esiste e basta all’interno del proprio culto di personalità, e finito il suo film e il q&a con il pubblico si siede su una panchina nel cortile delle scuole vicino alle sale di Locarno guardando nel vuoto, facendo piccole mosse con braccia e mani e poi negando subito ogni gesto con fare nevrotico. Pierre Bismuth si è convinto che fare Where is Rocky II? fosse una buona idea. Il problema è che il soggetto del film è interessante, è l’esecuzione che non colpisce, come la pistola di Michele ne Gli indifferenti di Moravia; infatti, il Rocky II del titolo non è il film del 1979 con Sylvester Stallone dedicato al celebre pugile fittizio, bensì è un interessante e delirante progetto artistico di Edward Ruscha, pop-artist statunitense atto solitamente a pittura e fotografia, che a fine anni ’70 scolpì una statua di una roccia e la nascose nel deserto in mezzo ad altre rocce vere, rendendola destinata a non essere più riconosciuta o ritrovata.

Pare che Bismuth abbia speso anni e anni della propria vita ossessionato dal conflitto tra l’esistenza di Rocky II e la sua paradossale non-esistenza, e abbia infine fatto culminare il proprio progetto filmico con una raccolta fondi su Indiegogo che ha superato il budget necessario del 6%. Il risultato è, sostanzialmente, il corrispondente cinematografico di un dolce con la carne: il film è tanto intricato nel montaggio e nella narrazione di questa “ricerca di un senso” (o meglio: ricerca della roccia stessa) quanto convenzionale e televisivo nel seguire gli eventi. Difatti, il film ha tre piani narrativi in continuo conflitto, che si sovrappongono l’uno all’altro: quello legato al mockumentary (ma sostanzialmente suo opposto: non più un film di finzione fatto come un documentario, bensì un documentario fatto come un film di finzione) su Pierre Bismuth stesso che chiama un investigatore privato per capire dove si trova Rocky II; un altro sempre più o meno legato al documentario, che mostra un produttore cinematografico ed uno sceneggiatore che ideano una sceneggiatura di un folle e orrendo film d’azione ispirato all’esistenza della roccia; e poi, scene del film stesso. Tutti e tre i segmenti hanno dei problemi evidentissimi: nel primo, la narrazione delirante non va da nessuna parte, con un finale poetico e dei ritmi fuori luogo e imbarazzanti che richiamano i film d’azione spielberghiani con un fare parodistico ma sostanzialmente ridicolo e vicino allo stile di Real Time; il secondo cerca troppo esplicitamente di essere comico, ma risulta divertente solo con l’inserimento dell’eccentrico sceneggiatore Mike White nel ruolo di sé stesso; il terzo è solo e palesemente squallido. I tre segmenti si legano l’uno all’altro con un montaggio da trailer televisivo, e il trash regna sovrano nella scena conclusiva che altro non è che un enfatico e orrendo trailer del film di finzione (non esistente) Monument One, basato su una teoria del complotto dietro la scultura di Ruscha, ricostruita in maniera convenzionale, con basso budget e scarsa competenza tecnica ed emotiva.

Qual è la morale? Probabilmente, se vogliamo nobilitare gli intendi di Bismuth, l’idea è che le storie interessanti (come quella, in effetti, della scultura di Ruscha) possono diventare narrazioni convenzionali su più livelli, compreso quello hollywoodiano che spettacolarizza inutilmente le intenzioni di base. Quello di cui forse non si rende conto l’autore è che così è lui che spettacolarizza l’arte pop; è lui che crea mostri mangia-soldi sull’arte altrui; è lui che annulla l’effetto intelligente del metacinema tramutandolo in un gratuito ingranaggio cervellotico; è lui che, sostanzialmente, di quella macchina di illusioni tristi e meravigliose che è il cinema, dimostra di non aver capito nulla, o almeno di non aver voluto dimostrare quello che ha capito. Ha solo esibito un gioco stupido e brutto, che strappa un paio di risate ma che lascia con, tra le mani, niente. Proprio come Rocky II, che trova senso solo nella sua mancanza di senso, Where is Rocky II? trova senso solo se si decide di non andarlo a vedere, per subire il fascino delirante della scultura di Ruscha senza il limite del non-cinema di Bismuth e per credere che ci sia qualcosa oltre quella roccia finta, che ci sia qualcosa oltre il cinema. Perché se qualcuno davvero pensa di poter usare così il cinema, se qualcuno pensa davvero che questo sia un film (o meglio un’operazione cinematografica), significa che la morte della settima arte e della sua bellezza è dietro l’angolo.

Nicola Settis

“Where Is Rocky II?” (2016)
93 min | Documentary, Comedy, Mystery | France / Germany / Belgium / Italy
Regista Pierre Bismuth
Sceneggiatori Pierre Bismuth, D.V. DeVincentis (segment), Anthony Peckham (segment)
Attori principali Michael Scott, D.V. DeVincentis, Anthony Peckham, Jim Ganzer
IMDb Rating N/A

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