4 Marzo 2021 -

IL GIOCO DEL DESTINO E DELLA FANTASIA (2021)
di Ryûsuke Hamaguchi

Come suggerito dal titolo, sono il destino e la fantasia i concetti-chiave intorno ai quali ruotano i tre racconti e i personaggi che animano Wheel of fortune and fantasy. Tre episodi, o forse sarebbe meglio dire tre variazioni, tre movimenti della medesima sinfonia su schermo, tre passi a due nel medesimo eterno ballo dell’esistenza, che mettono in scena altrettante donne alle prese con le differenti manifestazioni della casualità della vita, nello sviluppo e nel modificarsi di rapporti umani che, come tutti i rapporti umani, non possono prescindere dall’inventiva e dall’immaginazione. È il caso ciò che regola gli incontri, che fa passare proprio in quel momento di fronte a quel bar, che fa salire proprio su quell’autobus, che fa incrociare proprio su quella scala mobile, che fa sbagliare il destinatario di una mail o che interrompe un ritrovato idillio per recuperare il computer in ufficio, ed è la fantasia ciò che comanda le scelte con cui approdare all’uno o all’altro finale, con cui sedurre o scoprirsi sedotti, con cui tentare di forzare la mano, con cui definitivamente svelarsi o ancora impersonare i sentimenti di chissà chi con il nobile scopo di rendere, almeno per un attimo, qualcun altro felice. Eppure, fra le mille coincidenze che puntellano il film di Ryûsuke Hamaguchi, non è in alcun modo fortuito che a fare da filo conduttore della mini-trilogia ci siano le note romantiche del Kinderszenen e del Waldszenen, opere 15 e 82 di Schumann di cui è forse massima interprete mondiale la pianista Kei Itoh. Una donna che, nell’emblematica iniquità di una società nipponica in cui ancora oggi sposarsi vuole dire prendere il cognome del marito rinunciando per sempre a quello da nubile, ha saputo emergere fino ad arrivare al successo e alla vetta, vincendo quella sistemica repressione sessista per cui le brillanti protagoniste ancora correggono bozze mentre i più mediocri fra i loro compagni di studi diventeranno editori senza aver quasi mai letto un libro.
Ma non è solo il condivisibile rinnovarsi delle istanze politiche per la parità dei sessi già emerse fra le pieghe del fluviale Happy Hour, a pulsare nemmeno troppo in filigrana sotto le immagini, le donne e le storie immaginate da Hamaguchi ne Il gioco del destino e della fantasia, titolo italiano scelto da Tucker per l’Orso d’Argento Premio della Giuria all’ultima Berlinale in luogo della ‘ruota’ internazionale e del semplice 偶然と想像, ovvero Gūzen to Sōzō, “coincidenza e immaginazione”, dell’originale giapponese. Ci sono ossessioni se possibile ancor più profonde e radicate, che dei due espliciti temi cardine, così come dell’afflato femminista, sono il motore e le modalità, la potenza e le necessarie verifiche, i traumi e le elaborazioni. C’è il concetto di tempo, per esempio, ancora una volta nel percorso autoriale del regista nipponico vero e proprio co-protagonista delle vicende nel suo cambiare (o meno) le circostanze e le persone, le coscienze e i sentimenti, per poi autosospendersi nell’antifantascienza del terzo episodio in cui per un virus informatico l’uomo è (temporaneamente?) tornato alla carta. E soprattutto c’è la centralità assoluta della parola, senza la quale tutto il resto non potrebbe esistere e avrebbe senso. Quel λόγος che è il pensiero e il discorso con cui la fantasia si esprime nei suoi tentativi, poche volte riusciti e molto più spesso goffi e maldestri, ma sempre straordinariamente umani, di riplasmare il destino. Quella discussione che sta alla base di ogni comunicazione e di ogni narrazione, di ogni rapporto e di ogni sceneggiatura, di ogni sentimento e di ogni istante di inspiegabile magia. Quella dialettica che progressivamente si spinge sempre più in profondità, capace in poche battute di cambiare più volte l’umore e i rapporti di forza. È in questo senso prima di tutto un film sulla parola, Wheel of fortune and fantasy. Scritta o pronunciata, vissuta o immaginata, esplicita o allusiva, sulla carta o sullo schermo. Una parola che ancora sa prendere per mano e portare verso l’impulso e il sentimento, e che a ben vedere nel suo legarsi con le altre nient’altro è che linguaggio e quindi cinema, minimale e meta-teatrale nel mettere al centro dei longtake le performance degli attori per fluttuare sublime fra le onde emotive delle loro conversazioni, alla ricerca di una sua personale poetica da qualche parte fra Éric Rohmer, Yasujirō Ozu e Hong Sang-soo.

Sta tutto in un quasi impercettibile cambio nello sguardo, il rendersi conto di Meiko che quell’aitante nuovo corteggiatore di cui le sta raccontando entusiasta la sua migliore amica è proprio il suo ex. A “tradirlo” sono le parole, pronunciate identiche a distanza di anni per lanciare gli stessi ami e per raccontare gigioneggiante le stesse bugie con cui rendersi affascinante, cristallizzate in quel tempo durante il quale anche la relazione con Meiko è diventata una nuova storia su cui ricamare per recitare il ruolo di brav’uomo e di povera vittima tradita. Come del resto saranno le parole pubblicate esattamente nel centro del romanzo erotico del professor Segawa e lette nel suo ufficio esattamente al centro del film dalla voce suadente di Nao, mentre la studentessa maliziosamente chiude la porta nel tentativo di trascinare l’insegnante in uno scandalo sessuale, a far scattare quella tensione reciproca d’appagamento platonico che riporta alla verità e che si spinge ben oltre ogni possibile erotismo fisico. Come se il professore, nel riaprire la porta dell’ufficio impermeabile al tentativo di seduzione, finisse dopo la confessione di Nao per aprire anche le porte della sua intimità più recondita, della sua sfera privata, di un desiderio più alto e più puro da condividere ognuno nella sua stanza. La necessaria promessa di un sogno troppo intenso e troppo onesto per sporcarne il candore di carne, e al contempo troppo eccitante per non essere elaborato in gentile e vicendevole fantasia nella reciprocità delle parole, della letteratura e della lettura ad alta voce. Forse le stesse parole imparate a memoria da una moglie infelice, o forse le stesse mai dette in vent’anni di rimpianti. Parole che scorrono e si affastellano come pennellate di immaginazione nel continuo ripresentarsi del caso e della (s)fortuna, e che dopo il doppio finale di Magic (or something less assuring) e le tragiche conseguenze di un errore di digitazione in Door wide open, con la registrazione della conversazione spedita non al professore ma a un quasi omonimo che la renderà pubblica, non potranno che ritornare nella meta-messinscena di Once again, con il suo (credere di) ritrovarsi e con il suo consapevole donare almeno un istante di illusione alla nostalgia di quei due distinti vecchi amori, uno probabilmente mai consumato e l’altro mai finito nonostante la convenzione sociale di chi ha scelto il matrimonio con un uomo. Sarà l’intersecarsi di due anime strette nella sincerità di un abbraccio, ad annullare la reciproca solitudine, la reciproca frustrazione, la reciproca malinconia, i reciproci cuori infranti. Fino alla più sconfinata poesia cinematografica.
Un procedere in crescendo da un cortometraggio all’altro, proprio come è sempre più evidente il procedere in vertiginoso crescendo della carriera di Ryûsuke Hamaguchi, autore e sceneggiatore – non solo per se stesso, ma anche per il Kiyoshi Kurosawa del magnifico Wife of a spy – sempre più maturo, coerente, intenso e profondo. Basterebbe lo zoom-in/zoom-out che chiude e fa ricominciare l’azione nella scelta del doppio finale – tentare l’ultima mossa disperata per riprendersi il vecchio amore o farsi da parte lasciandolo all’attuale fidanzata – del primo episodio. Basterebbe il gioco di scavalcamenti di campo che nel secondo, alla fine della lettura del brano da parte di Nao, restituisce al professor Segawa il pallino della conversazione. Basterebbero i continui cambi di ritmo di un montaggio che soffia sul fuoco dei picchi emotivi, un po’ come nello straordinario finale della terza e ultima parte quando i campi e controcampi si bloccano nella frontalità dell’ultimo e commovente dialogo in pianosequenza. Basterebbe l’insistito utilizzo della profondità e della frammentazione di (fuori)campo data dalle porte, dagli specchi, dai vetri e dalle finestre, fra le strade che scorrono dietro l’interno notturno di un taxi, i computer nell’ufficio-loft dell’ex fidanzato e la porta dell’ufficio-magazzino del professore, o ancora fra gli interni delle moderne case metropolitane, i lavori stradali di una città in eterno mutamento e le linee nette nella struttura del centro commerciale. Come se ogni singola inquadratura cercasse costantemente di lasciare spazio al destino e alle sue bizze fermandosi a osservarlo sulla soglia, nella costante ricombinazione dei rapporti umani fra fortuna e malasorte, fra illusione e rimpianto, fra parola e (c)reazione. Probabilmente è per questo che Aya, madre di famiglia repressa probabilmente da sempre nel suo amore omosessuale per quella giovane pianista mai più rivista, ha dato ai figli due nomi neutri, senza una connotazione di genere, in modo che possano essere loro stessi ad autodeterminarsi nei confini sempre sfuocati di ogni pennellata d’esistenza. Senza bisogno che debba intervenire il cinema per poter avere quella seconda occasione che la vita, nella sua imprevedibilità a volte crudele, non sempre sa concedere. Non resta che moltiplicare i finali, vagliare le possibilità, scorgere la più umana, e con lei finalmente ritrovarsi. A costo di passare ancora una volta dal dolore, se necessario. Ne vale la pena, come in ogni percorso di catarsi. Perché non esiste cosa più bella che riuscire a regalare un sorriso.

Marco Romagna

Si comunica che il film IL GIOCO DEL DESTINO E DELLA FANTASIA” di Hamaguchi Ryūsuke, distribuito da Tucker Film, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.
Motivazione:
Tre racconti per tre indagini poetiche sul senso beffardo del destino e delle relazioni umane. Universale ma agganciato alle insicurezze della contemporaneità, il film di Hamaguchi conferma il talento di un narratore innamorato dei suoi personaggi – in special modo femminili – anime in dialogo col tempo, capaci loro malgrado di reinventarsi un’identità, tra frammenti di memoria e fantasiose acrobazie della fortuna.
(Uscita nelle sale 26 agosto 2021)
“Wheel of Fortune and Fantasy” (2021)
121 min | Drama, Romance | Japan
Regista Ryûsuke Hamaguchi
Sceneggiatori Ryûsuke Hamaguchi
Attori principali Kotone Furukawa, Kiyohiko Shibukawa, Katsuki Mori
IMDb Rating 7.7

Articoli correlati

EVIL DOES NOT EXIST - IL MALE NON ESISTE (2023), di Ryûsuke Hamaguchi di Donato D'Elia
STRINGIMI FORTE (2021), di Mathieu Amalric di Marco Romagna
MADRES PARALELAS (2021), di Pedro Almodóvar di Nicola Settis
BAD LUCK BANGING OR LOONY PORN (2021), di Radu Jude di Marco Romagna
I GIGANTI (2021), di Bonifacio Angius di Marco Romagna
LICORICE PIZZA (2021), di Paul Thomas Anderson di Marco Romagna