19 Maggio 2019 -

IL LAGO DELLE OCHE SELVATICHE (2019)
di Diao Yinan

È un mondo notturno, putrido e drammaticamente caotico, quello che mette in scena nel suo nuovo The Wild Goose Lake  il regista cinese Diao Yinan. Un mondo di povertà e squallore, fatto delle oscure ombre sul muro di uomini sfuggenti e misteriosi, ambigui e controversi, indecifrabili e marcescenti. Un mondo fatto di furti, truffe, omicidi, tradimenti, sparatorie, prostituzione, musica ad alto volume, chioschi di cibo e motorini che sfrecciano nella notte, nel quale i criminali e le forze dell’ordine sono talmente speculari da finire per sovrapporsi nelle loro riunioni, nella loro divisione di zone e compiti, nelle loro derive morali, nelle loro violenze. È un mondo di colori primari e saturi che emergono dall’oscurità, di case popolari illuminate dalle luci al neon, di inseguimenti e di doppi giochi, di sguardi velati dal colare del sangue e di proiettili scagliati verso il buio della notte. È un mondo abietto e impuro quanto affascinante e ipnotico, nel quale perdersi e vagare come in quelle due notti in flashback che, sin dall’incipit, confluiranno nell’incontro e nei rispettivi racconti di una terza notte piovosa.
Sono ancora una volta quelle del noir le forme su cui il regista cinese Diao Yinan innesta la sua opera quarta, presentata nell’edizione 2019 del concorso di Cannes a cinque anni dall’Orso d’Oro portato a casa da Berlino con il notevole Fuochi d’artificio in pieno giorno. Ma, tanto vale dirlo subito, là dove le parti smembrate di corpi umani ritrovate fra il carbone e le due catene di omicidi lungo quindici anni di cambiamenti del precedente lavoro dell’autore sapevano aprire a una profonda lettura sociale e politica della fragilità dissimulata dalla Cina, qui gli inganni, le false piste, l’ipocrisia, il tradirsi, il mentirsi e l’uccidersi reciproco di poveri, poliziotti e una criminalità sempre più priva di qualsivoglia morale sembrano semmai costituire una mera descrizione dell’ambiente, affascinante e dolorosa quanto si vuole, ma pur sempre poco più che una cartolina, che solo sporadicamente, e forse più per “il documentarismo” delle location e del locale materiale umano che per le soluzioni di messa in scena che non di rado si lasciano prendere la mano da una qualche automaniera indubbiamente seducente e estetizzante ma in fin dei conti un po’ autocompiaciuta e “falsa” nei suoi spettacolari cromatismi, sa davvero porsi come simbolica e significativa. Un po’ come se nell’intreccio (probabilmente troppo) intricato, enigmatico, cervellotico e quasi impenetrabile nel suo strisciare nella notte per le vie polverose e per le guerre intestine fra gemelli, maestri d’arte delinquenziale, mogli lontane e puttane molto vicine, con The Wild Goose Lake Diao avesse abbassato l’asticella delle ambizioni, relegando il suo sguardo sui bassifondi della Cina contemporanea alla costruzione dell’ambiente per limitarsi a giocare, senza in realtà volerci nemmeno più di tanto ragionare, con le forme del genere e della spettacolarità.

Un netto passo indietro per Diao Yinan, che anziché continuare a comunicare e stratificare, ragionando realmente sulla Cina e sulla sua società, preferisce guardare al noir classico americano e alle sue varianti degli anni Ottanta hongkonghesi per calamitare, affascinare e magari a tratti stregare, ma non riesce a togliere dal fondo della bocca quel retrogusto stantio del fine a se stesso, del vacuo, del manierista che sovraccarica l’estetica per dissimulare la penuria di reale contenuto. Un po’ come quelle scarpe dei poliziotti, così affascinanti con le loro strisce di led rossi nella notte identiche a quelle dei motorini criminali eppure così incapaci di andare oltre la spettacolarità e diventare reale simbolo, o un po’ come quella cura fotografica tanto “perfetta” da finire quasi per stonare con la miseria e con il lordume morale che mette in scena.
Certo, a The Wild Goose Lake, distribuito in Italia con il letterale Il lago delle oche selvatiche, non manca di certo un ammaliante talento visivo, né mancano, nell’atmosfera frammentata e nerissima che mette in scena, i momenti di potenza e di incanto fra il dolore, il pessimismo e i continui sentori di morte che si rincorrono da un personaggio all’altro. Non gli manca la capacità di dilatare e poi serrare nuovamente il tempo fra la sospensione sotto la pioggia dell’incipit e i rapidi dettagli del momento dell’azione, non gli manca il contrasto fra la violenza del sangue che schizza (o dello sperma che verrà sputato fra i flutti) e la morbidezza della pelle della schiena durante l’amplesso sulla barca, non gli manca la spazzatura lanciata direttamente dalle finestre dei più squallidi motel contrapposta alla fame di chi fagocita noodles che mai potrebbe permettersi di pagare, non gli mancano le danze di paese attraverso cui attraversare per l’ennesima volta i luoghi più marcescenti e non gli mancano nemmeno i più disumani selfie della polizia che ben presto si immortalerà sorridente sul suo cadavere. Ma si tratta solo di sparuti istanti, eleganti ma in buona parte direttamente mutuati dalla più pura accademia, che non riescono a portare avanti un reale discorso ma solo sprazzi, episodi, situazioni e ambienti immersi in un guazzabuglio che è al contempo sociale, antropologico ed esistenziale, ma soprattutto, con i suoi cervellotici arzigogoli, narrativo.
Perché vuole essere un film sul caos, The Wild Goose Lake, con i suoi sospetti, con i suoi inganni, con i suoi tradimenti, con i suoi personaggi che mai e poi mai diranno la verità, e magari si ritroveranno da un momento all’altro sotto tre metri di terreno senza nemmeno saperne il perché. Ma, mentre il caos è indubbiamente presente, questa volta non si riesce a essere sicuri che ci sia davvero il film. Come una tesi e un’antitesi che, a quello che dovrebbe essere il punto di sintesi, preferiscono la trovata estemporanea, il pezzo di bravura, la spettacolarità più armoniosa, o forse un mero e ozioso gioco di seduzione che non cerca reale amore (per il cinema e per gli uomini), ma nel suo modo di porsi un po’ altezzoso si cura solo di essere guardato dopo essersi dato da solo la patente di “bello”.

Marco Romagna

Si comunica che il film “IL LAGO DELLE OCHE SELVATICHE” di Diao Yinan distribuito dalla Movies Inspired,
è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI.
Motivazione:
«Diao Yinan porta una prospettiva poetica e un’estetica affascinante in un noir dalle esplosioni di efferata violenza, che diventa anche l’occasione per una riflessione sulla modernità cinese. Una sarabanda del caos, dove a dominare è il senso di impotenza e di morte: il regista si riappropria del “genere”, senza per questo smarrire il contatto con la realtà».
(uscita 13 febbraio 2020)
“Nan Fang Che Zhan De Ju Hui” (2019)
Crime, Drama | China
Regista Yi'nan Diao
Sceneggiatori Yi'nan Diao
Attori principali Fan Liao, Lun-Mei Kwei, Hugh Hu, Regina Wan
IMDb Rating N/A

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