22 Novembre 2016 -

THE RETURN OF THE LIVING DEAD (1985)
di Dan O’Bannon

“Hai mai visto il film La notte dei morti viventi?”, chiede Frank al collega Freddy durante l’ennesimo turno di lavoro in un magazzino di materiali medici. E così, nel giro di pochissimi minuti, The Return of the Living Dead si è già dichiarato in quanto sincero, sorprendente e demenziale omaggio al cinema di George A. Romero, che nel medesimo anno – il 1985 – aveva temporaneamente detto addio ai non morti con Il giorno degli zombi. Una parentela tutt’altro che accidentale, poiché il primo e più noto film da regista di Dan O’Bannon, sceneggiatore di Alien e Atto di forza, fu in origine il parto creativo, sotto forma di romanzo prima e sceneggiatura poi, di John Russo, co-autore del copione de La notte dei morti viventi. Dal libro, un sequel a pieno titolo del film di Romero (Russo mantenne i diritti della dicitura of the Living Dead, mentre il cineasta di Pittsburgh continua a usare of the Dead), fu tratto uno script che avrebbe dovuto dirigere Tobe Hooper, ma dopo la rinuncia di quest’ultimo il tutto finì in mano a O’Bannon, che giustamente decise di allontanarsi dal testo di Russo e dalle atmosfere romeriane per fare qualcosa di decisamente diverso. Il risultato è un film spassoso, sexy, assurdo, esistente in un mondo tutto suo (esilarante la trovata di dichiarare che La notte dei morti viventi sarebbe basato su eventi reali, accaduti però un anno dopo l’uscita), ma pur sempre profondamente ancorato nella realtà americana dell’epoca, tra iconografia punk – difatti il film fa parte del ciclo apposito del trentaquattresimo Torino Film Festival, oltre ad aver servito da capitolo intermedio dell’ormai consolidata Notte Horror il primo sabato della manifestazione piemontese – e Guerra Fredda (logico, esilarante e beffardo il finale, con l’esercito che cerca di contenere l’epidemia dei morti viventi con un bell’ordigno nucleare, ottenendo solo una nuova pioggia acida e re-vivifica sul cimitero). Il tutto con l’approvazione di Sua Santità Romero, da sempre allergico agli zombie movies “seri” che tradiscono i suoi, ma tollerante e in alcuni casi entusiasta dinanzi a omaggi più scanzonati – vedi anche il britannico Shaun of the Dead. Gli zombie di The Return of the Living Dead non si possono uccidere, se si stacca loro la testa continuano semplicemente a vivere separati, e anche se bruciati non fanno altro che consolidarsi in una nuvola e tornare sulla terra come un virus. Sono ben più intelligenti di molti fra gli uomini a loro opposti, parlano, studiano piani, comunicano con prontezza. La loro fame di cervelli serve ad allontanare parzialmente il loro malessere e il loro dolore, non è un semplice richiamo bestiale della carne viva ma una vera e propria cura, uccidere gli altri per stare meglio, in cui è impossibile non vedere riferimenti alle guerre americane, non solo la Fredda, ma anche quella in Vietnam, fino ai ‘piani alternativi’ dell’esercito. Ma questa volta, di fronte agli occhi sgranati dei morti viventi, ai loro movimenti goffi, alla loro forza eccezionale e alle ridicole grida dei protagonisti, non si ha mai paura, e anzi è impossibile non ridere, trasportati dall’assurdo.

Collocato volutamente a metà fra il serio e il faceto, The Return of the Living Dead è un prodotto libero e gioioso, grondante sangue, cervello – in tutti i sensi del termine, essendo un film molto intelligente che gioca con le regole di genere pur rispettandole, ma anche l’origine della figura del morto vivente come ghiotto specificamente di cervelli anziché di carne umana in generale – e soprattutto amore. Amore per gli zombie, elemento fondamentale della poetica romeriana che spesso e volentieri viene accantonato in pellicole come la saga di Resident Evil e il remake di Zombi griffato Zack Snyder (ma anche la seguitissima serie televisiva The Walking Dead, di cui Romero, non a caso, è uno dei principali detrattori), dove i non-morti sono privati del loro statuto di personaggi a tutto tondo e diventano parte della scenografia; amore per il genere horror, caratteristica imprescindibile per poterne mettere alla berlina le convenzioni senza scivolare nel cinismo dettato dalle logiche commerciali – e l’esistenza dei quattro seguiti a dir poco imbarazzanti conferma ancora di più l’importanza del tocco di O’Bannon; e amore per il cinema come mezzo espressivo ricco di possibilità e ingredienti da mescolare liberamente, unendo brividi, risate, satira socio-politica e una colonna sonora da urlo. Fra nudità punk nel bel mezzo del cimitero, automobili senza finestrini, improbabili imbalsamatori, tragici errori, morti senza morte, mani che spuntano dal fango e comunicazioni via radio pregustando agguati, “Send more paramedics, send more cops, send more brains”, The Return of the Living Dead è un ibrido profondamente ancorato nel proprio decennio d’uscita ma, come il prototipo di Romero, ancora brillantemente, a tratti dolorosamente attuale. Un’impressione confermata dalla decisione del festival torinese di programmarlo insieme all’interessante Sam Was Here e al frustrante Sadako vs. Kayako: dinanzi a certe allarmanti tendenze del cinema horror, il meglio del genere non invecchia mai. Al massimo rimane in uno stato di dormiveglia, in attesa di essere risvegliato da una pioggia acida in mezzo al cimitero per poi potersi mettere a camminare ancora, con l’andatura di un film assolutamente straordinario, sempre alla ricerca di cervelli di cui nutrirsi. “More brains”.

Max Borg

“The Return of the Living Dead” (1985)
91 min | Comedy, Horror, Sci-Fi | USA
Regista Dan O'Bannon
Sceneggiatori Rudy Ricci (story), John A. Russo (story), Russell Streiner (story), Dan O'Bannon (screenplay)
Attori principali Clu Gulager, James Karen, Don Calfa, Thom Mathews
IMDb Rating 7.3

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