4 Agosto 2023 -

NINA ET LE SECRET DU HÉRISSON (2023)
di Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli

«Non si è mai troppo grandi per una storia», dirà il padre Vincent alla piccola e intraprendente Nina, scusandosi per avere temporaneamente smesso di inventare i personaggi, i disegni e le narrazioni con cui farla addormentare, troppo preso dalle preoccupazioni per la chiusura della fabbrica e la conseguente perdita del suo lavoro. Una tematica “da grandi” che inevitabilmente finisce per riflettersi e ripercuotersi anche sui figli ancora bambini, sulla serenità familiare, sul giocare e divertirsi insieme, ma soprattutto sulla purezza della fantasia, forse l’unico obiettivo e al contempo il solo modo per (cui) continuare ancora a lottare, ad appena dieci anni così come da anziani. È per questo che quelle banconote da 500 euro trafugate e nascoste dal malvagio direttore della fabbrica, che Nina, con l’aiuto del suo vicino e coetaneo Mehdi cercherà così disperatamente fra mille (dis)avventure, un guardiano disonesto e un cane feroce per “salvare” il padre dai problemi economici e farlo tornare allegro e come un tempo, sono in definitiva poco più che un MacGuffin, destinate quasi inevitabilmente a finire sparpagliate da un soffio di vento sul bosco, non commestibili e quindi del tutto ignorate quando non proprio disprezzate dagli animali. Come se fosse la Natura stessa, e quindi la naturale innocenza dell’infanzia, a ribellarsi a ciò che regola la società capitalistica e ingiusta degli uomini, al bene materiale, alla sporcizia intrinseca del denaro, risolvendo nella poetica e ancora una volta nell’immaginario fiabesco il forte sottotesto politico-economico che scorre impetuoso nell’alveo di Nina et le secret du hérisson, letteralmente “Nina e il segreto del riccio”, terzo e magnificamente avvincente lungometraggio con cui Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli, tredici anni dopo il loro straordinario esordio Un gatto a Parigi e otto dopo l’ancora più bello Phantom Boy, tornano ancora una volta alla loro animazione 2D tradizionale e realmente per tutti. Riuscendo ad alzare ancora una volta l’asticella e continuare il proprio percorso di crescita grazie a una sceneggiatura particolarmente brillante (basterebbe la sequenza del «prendi un biscottino», semplicemente irresistibile nel disagio di un bambino di fronte a un’anziana signora a cui non si può dire di no) e chirurgicamente stratificata in allusioni e diversi livelli di lettura con cui parlare apertamente a ogni età, e poi letteralmente sognata dal duo transalpino nei chiaroscuri netti e pastellati del loro ormai consueto tratto cubista da qualche parte fra Picasso e Braque, che disegnato pazientemente a mano lucido dopo lucido in un lavoro ogni volta lungo anni rende le loro ambizioni azione, avventura e continua invenzione di parole, situazioni e immagini. Uno stile apparentemente semplice, minimale, appuntito nelle sue asperità che si muovono fluide sui fondali stilizzati, eppure al contempo perfettamente definito in ogni dettaglio di ogni strato del passo uno, per un charachter design che rifiuta categoricamente la prassi della produzione in serie preferendo una via personale e immediatamente riconoscibile, l’ennesima di un’animazione francese che, quest’anno forse più ancora del solito (si vedano Linda veut du poulet! di Sebastien Laudenbach e Chiara Malta oppure Marx Express di Jérémie Périn, ma sono di produzione e studio transalpini anche Robot Dreams dello spagnolo Pablo Berger e The Siren dell’iraniana Sepideh Farsi) conferma il prosieguo della sua stagione d’oro.

Questa volta a Gagnol e Felicioli non serve nemmeno la malattia del film precedente, per ampliare il target dai più piccoli fino ai genitori e ai nonni. Basta immergere le loro numerose e irresistibili trovate narrative (e stilistiche, con il meta-cartone sul riccio in bianco e nero a effetto vecchia pellicola a ricordare le prime apparizioni disneyane del coniglio Oswald e poi di Topolino, con le silhouette degli animali che illuminano la notte lungo lo scorrere dei titoli di testa, con i pensieri contraddittori del cane che prendono forma come in un fumetto) fra i quotidiani soprusi del mondo del lavoro, fra gli scioperi inascoltati e gli ingiusti licenziamenti, fra i crumiri che non potranno che rivelarsi complici del direttore ladro (ma incapaci di trovare la refurtiva mentre il capo è in carcere) e il dramma di una disoccupazione con cui non sapere più come mantenere la famiglia. Per un film perfettamente popolare, anzi dichiaratamente per bambini nella sua roboante narrazione e nel roboante cast vocale della versione originale (Audrey Tautou, Guillaume Canet, Loan Longchamp, il compianto Guillaume Bats), e al contempo prettamente autoriale per peculiarità spigolosa del tratto e per ambizioni, per la sua teoria sull’immaginazione che fa prendere vita al disegno e per la sua capacità di rendere per tutte le età la consapevolezza che a pagare per il dolo di chi sta più in alto siano sempre «le ultime ruote del carro» del proletariato, mentre il colpevole, dopo pochi anni, potrà comodamente recuperare il bottino accumulato sulle spalle e sul sudore dei suoi operai traditi. Una realtà – viene a tratti in mente la magia della Céline Sciamma di Petite Maman – da guardarsi rigorosamente attraverso gli occhioni verdi della bambina protagonista, dall’altezza del suo immaginario, della sua creatività, della sua capacità di sognare. Della sua fantasia, potenziale cura di ogni male. La stessa fantasia che, giocando sotto al tavolo con Mehdi, la porta a fingere che i giocattoli più spaventosi siano altri bambini con cui mettere in fuga la maestra, o che i medesimi draghi, aquile e dinosauri possano diventare alternativamente loro stessi e i “cattivi” da evitare mentre prepareranno, su un modellino costruito nella loro capanna nel bosco, il piano per penentrare nella fabbrica e cercare il tesoro ancora nascosto da qualche parte fra quelle mura. La stessa fantasia con cui Nina vede uscire da uno schizzo a matita del padre appeso al muro il riccio-amico immaginario (quasi) sempre sorridente che, un insuccesso dopo l’altro, non smette mai di cercare il proprio posto nel mondo, e che non tarderà a suggerirle come (entrare e) uscire dai guai. La stessa fantasia che proprio suo padre, autore del disegno e delle storie ispirate da un piccolo riccio entrato in fabbrica e liberato nel bosco, sembra avere smarrito, e che è assolutamente necessario riuscire a fargli ritrovare fino magari a farla diventare un nuovo lavoro. Così come è un’esplosione di fantasia anche il modo che Nina si inventa per chiamare Mehdi fuori dalla finestra lanciando una pallina contro il soffitto, sono esplosioni di fantasia i suoi diversi piani con cui, fra imitazioni di gatti e fialette puzzolenti, mettere fuori gioco il cane del guardiano, ed è un’esplosione di fantasia, questa volta del coetaneo vicino di sopra alle prese con la tenerezza, il vagheggiare e i sudori freddi della prima cotta, il momento delle sue prove di dichiarazione abbracciando un cuscino immaginando che sia Nina, in attesa che le sue mani che sfiorino dolcemente quelle di lei nel momento di terrore subito prima di azzardare il bacio con cui rischiare di rovinare tutto – «Nella vita, per le cose realmente importanti, non esiste paracadute». Del resto non sarebbe poi peregrino voler leggere tutto Nina et le secret du hérisson, presentato dopo la prima assoluta di Annecy e in attesa della distribuzione in sala di ottobre in Francia, in una proiezione (unica, ma magnificamente piena di bambini) nella sezione Kids della 76ma edizione del Locarno Film Festival, come un’allegoria del passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Quel momento in cui è giocoforza necessario iniziare parzialmente a cambiare, a disilludersi per capire e acquisire qualche prima consapevolezza delle storture del mondo e di quella che sarà l’età adulta, a prendersi i propri spazi a costo di ritrovarsi a mentire e disubbidire (molto meglio se a fin di bene) ai propri genitori, a rendersi conto attraverso le inedite sensazioni del proprio corpo che forse un’amicizia è diventata un’attrazione di un altro tipo, e più in generale a sentirsi grandi e in grado di dare il proprio contributo per il bene dell’intera famiglia. Un momento in cui è fondamentale, come si diceva, non perdere mai la fantasia, l’ispirazione, la fiducia in se stessi e negli altri, la più giocosa creatività, la ricerca del tesoro. Che poi nient’altro è che la ricerca della propria identità, del proprio ruolo, del proprio posto nel mondo. Quello da cui riuscire a fare del bene agli altri, e magari da cui sapere di poter contare sugli altri al punto di riuscire a buttarsi sicuri di essere presi al volo. Anche un riccio ci può riuscire. Basta capire a che cosa possono servire le sue spine. A che cosa possa servire il cinema d’animazione, invece, Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli lo sanno già benissimo.

Marco Romagna

“Nina et le secret du hérisson” (2023)
82 min | Animation | France
Regista Jean-Loup Felicioli, Alain Gagnol
Sceneggiatori Jean-Loup Felicioli, Alain Gagnol
Attori principali Guillaume Canet, Audrey Tautou, Nada El Belkasmi
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

THE PALACE (2023), di Roman Polanski di Marco Romagna
GREEN BORDER (2023), di Agnieszka Holland di Donato D'Elia
ANATOMIA DI UNA CADUTA (2023), di Justine Triet di Marco Romagna
PELIKAN BLUE (2023), di László Csáki di Marco Romagna
DAAAAAALI! (2023), di Quentin Dupieux di Donato D'Elia
CRITICAL ZONE (2023), di Ali Ahmadzadeh di Marco Romagna