10 Novembre 2017 -

LA TRUFFA DEI LOGAN (2017)
di Steven Soderbergh

Logan Lucky, presentato in prima italiana all’edizione del 2017 della Festa del cinema di Roma e in uscita con il titolo La truffa dei Logan, è un buon film, molto divertente; senza particolari pretese e con la leggerezza tipica del regista statunitense, riesce a far riflettere pur non tradendo il taglio autoriale e riconoscibile di Soderbergh.
A distanza di quattro anni da Side Effects (2013) – in mezzo un paio di cose, tra cui l’ottima serie tv The Knick – , e dopo la dichiarazione di non aver più voglia di girare, Soderbergh fa la sua rentrée cinematografica con una variazione sul tema del sottogenere “colpo grosso”, ancora. Già con Ocean’s Eleven (2001) – fortunato remake dell’omonima pellicola del 1960 di Lewis Milestone, che in Italia uscì col titolo Colpo Grosso, appunto – e con i sequel che il successo del film si è tirato dietro, il regista si era divertito a raccontare le vicende di una banda criminale durante la pianificazione e l’esecuzione di un furto plateale. Rispetto alla serie degli Ocean’s, però, l’umanità delle vicende e dei personaggi è in Logan Lucky un tratto primario del film; i raffinati rapinatori del casinò di Las Vegas lasciano il passo a un gruppo di disperati, senza lavoro, ai quali una rapina si presenta come unica possibilità di riscatto.
Logan Lucky racconta in modo strampalato l’America degli ultimi, dei disperati, ambientandone le imprese in quei posti del sud degli Stati Uniti che agli occhi di uno spettatore europeo sembrano tutti uguali. Più di preciso in West Virginia, quello delle “Country roads” e “Mountain mamma” cantate da John Denver.

Proprio come vuole il canone del genere in questione, c’è di mezzo una rapina. L’occasione è una gara automobilistica Nascar, la famosissima ed esposta Coca-Cola 600, che si corre ogni anno nel circuito di Charlotte in North Carolina.
Jimmy Logan (Channing Tatum) è assunto temporaneamente da una ditta di costruzioni, che sta facendo dei lavori di riparazione proprio all’interno del circuito automobilistico, ma viene licenziato, senza troppe scuse, per un ginocchio mal funzionante che avrebbe potuto causare problemi di assicurazione.
L’ennesima sconfitta, e la paura di deludere la figlia che vive con l’ex moglie, lo spingono a decidere di organizzare un piano articolato per derubare gli organizzatori della corsa: il cantiere per il quale ha appena lavorato è costruito vicino al caveau dove vengono raccolti i soldi in contanti, tramite un sistema di tubi pneumatici, dalle casse di tutti i locali di ristorazione e le attività commerciali all’interno della struttura del velodromo fino ai sotterranei, in una stanza con pareti in cemento armato spesse un paio di metri.
Il colpo è complicato. Ma la determinazione del protagonista, e le sue ragioni più che giustificabili da un punto di vista morale, sono le premesse perfette – forse troppo perfette – di un caper movie con tutte le carte in regola.
Nel modo più classico, vengono rispettati gli elementi costitutivi propri del genere: dopo aver pianificato della rapina ogni aspetto e sintetizzato in un’ironica lista appesa sullo sportello del frigo, Jimmy recluta gli uomini necessari per terminare, possibilmente senza intoppi, l’operazione. Il primo a cui spiega il piano è il fratello Clyde (Adam Driver), un barista che ha perso la mano servendo la patria in Iraq. Il ruolo di autista spericolato della banda, invece, viene affidato alla sorella Millie (Riley Keough), una parrucchiera esperta di motori, e il rapporto tra i tre fratelli rappresenterà un altro aspetto importante del film. Via via il resto del gruppo: l’esperto di esplosivi e di casseforti Joe Bang (Daniel Craig), per la verità un criminale da strapazzo, dal temperamento caldo e dai modi eccentrici, che per giunta sta scontando la pena in penitenziario per un precedente furto, e i suoi fratelli, due giovanotti poco brillanti e senza particolari capacità; uno dei due dice di essere bravo con i computer, andando così a ricoprire pure il ruolo dell’esperto informatico! Tutti insieme formano un gruppo eterogeneo di rapinatori sgarrupati, che rende esilarante una commedia corale affidata a un cast di attori di prim’ordine – non possiamo non pensare a I soliti ignoti di Monicelli -. Abbiamo la sensazione che l’assoluta aderenza al genere sia voluta. Anzi, oltre a generare di per sé comicità, nasconde qualcosa di più sotterraneo, quasi viscerale.

Definiti questi elementi, il piano prende forma, e il film diventa esilarante. Gli imprevisti e i colpi di scena scaturiscono più spesso dalle inadeguatezze dei personaggi e dalla loro goffaggine; i meccanismi comici sono innescati dalla contrapposizione della complessità della situazione alla semplicità disarmante della gente del sud, e i problemi che si presentano vengono risolti con l’ingegno della saggezza contadina. Così scopriamo che Joe Bang è inaspettatamente un chimico abbastanza pratico, in grado di fabbricare un esplosivo a partire dalla colla combinata con gli orsetti di gomma, e in grado di spiegarne con le formule la reazione che sta dietro, nel bel mezzo dell’assalto al caveau.
Un altro punto di forza della commedia è l’attualizzazione del racconto, che oltre a renderla fresca e immediata, riesce in qualche modo a portare lo spettatore al centro della critica. Per esempio si prende gioco della “sacralità” di un evento sportivo e del momento che lo precede, in cui viene cantato l’inno americano; fa molto ridere la gag costruita intorno alla famosissima serie di romanzi de Il trono di spade, e tutta la morbosa attenzione che ha creato. Così come di classe è la sfacciataggine con cui Soderbergh si auto cita.
Il gruppo di personaggi male assortiti sono l’essenza distillata e stereotipata della classe operaia americana, di quella parte di società bistrattata e poco considerata che dovrebbe rappresentare la sfida principale della politica, e che invece è solo il pallore sgraziato da nascondere sotto chili di spray abbronzante – quello che Jimmy spruzza attraverso la pistola di un compressore per preparare la figlia al concorso di bellezza.
Questa scelta costituisce il vero centro di senso del film: sotto l’abito ben confezionato del b-side, viene fuori la rivincita dei Redneck del sud, della cultura contadina, sul consumo insensato e su quel progresso disordinato che non tiene conto delle esigenze di quella parte di cittadinanza meno attrezzata per farcela.
Logan Lucky è una sorta di “revenge-movie” anticapitalistico, che parla di un furto al contrario e di una liberazione dall’antico senso di colpa operaio. E alla fine, ovviamente, il colpo riesce nemmeno con eccessive difficoltà, con il bene che hollywoodianamente trionfa. Ma c’è un ma…

Domenico Punturiero

La truffa dei Logan di Steven Soderbergh, in sala dal 31 maggio con Lucky Red
è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani
con la seguente motivazione:
“Modulando la narrazione con le dinamiche di una commedia beffarda, Steven Soderbergh riesce a descrivere l’attualità di una società in crisi non soltanto dal punto di vista economico, aggiornando il suo cinema apparentemente più leggero sulla scia del successo di Ocean’s Eleven“.
“Logan Lucky” (2017)
118 min | Comedy, Crime, Drama | USA
Regista Steven Soderbergh
Sceneggiatori Rebecca Blunt
Attori principali Farrah Mackenzie, Channing Tatum, Jim O'Heir, Riley Keough
IMDb Rating 7.3

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