8 Settembre 2015 -

EL CLAN (2015)
di Pablo Trapero

Ci sono molte storie che sembrano paradossi, nascoste nei fitti meandri della Storia. Persone dalla doppia vita, intere famiglie rispettate e insospettabili legate alla mala, segreti d’ogni tipo nascosti nelle zone più oscure degli armadi e negli scantinati. Fino a nazionali di rugby dediti a sequestri e omicidi, apice fra le scorie di una dittatura militare fatta di desaparecidos ed omicidi di Stato evidentemente dura a morire. È il caso della famiglia Puccio, che sconvolse l’Argentina dei primi anni ’80: dal patriarca Arquimedes al ‘Pumas’ Alejandro, passando per gli altri due fratelli e per l’omertà delle donne, talmente distratte dal profumo dei dollari da “non rendersi conto” – secondo ‘verità’ processuale – delle grida che giungevano dal seminterrato. L’intera famiglia si rivelò essere, nello choc di un’intera nazione di tifosi, un’associazione per delinquere specializzata nel sequestro di ricchi uomini e nella loro uccisione una volta pagato il riscatto. El Clan, presentato nel cuore del concorso veneziano, affronta la vicenda con toni a metà strada fra il biopic, il dramma familiare e il gangster movie, registrando il ritorno al Lido di Pablo Trapero dopo diverse parentesi cannensi.

Il regista argentino si concentra sulle dinamiche morbose di una famiglia disfunzionale eppure apparentemente normalissima, come a dimostrare l’impossibilità di vedere davvero oltre la maschera delle persone. Anzi, curiosamente il clan Puccio scelse le proprie vittime proprio fra le porte attigue, fra i vicini di casa e i conoscenti, fra le persone che si fidavano di loro. Ecco quindi l’alternanza di sequenze di vita squisitamente quotidiana (le cene in famiglia, gli allenamenti della squadra, i piatti da lavare) con istanti di viva e greve crudeltà (i rapimenti con la vittima chiusa nel portabagagli, i pestaggi a chi oppone resistenza, l’esecuzione con un colpo di pistola alla testa), a suggerire l’andamento sempre incerto di una vita votata al crimine, spartita fra i segreti e le bugie necessari per simulare una serenità impossibile. Particolare attenzione viene inoltre prestata al progressivo cambiamento nel rapporto fra il padre-padrone Arquimedes ed il primogenito giocatore Alejandro, sempre più indipendente, poi innamorato, poi ribelle, infine incastrato. Emblematica in tal senso è la sequenza di poco successiva all’arresto, nella quale il padre, dopo avere obbligato il figlio ad aiutarlo, rifiuta di prendersi tutte le colpe e lo trascina a fondo con sé. Scatenando la reazione, fisica e rabbiosa, che da troppo tempo era trattenuta a stento.

Ma è probabilmente la ricostruzione socio-politica il maggiore punto di forza del film. Siamo nell’Argentina immediatamente successiva alla caduta dei regimi militari, quel tempo in cui, con il fresco ritorno alla democrazia, si viveva nella convinzione che i tempi bui dei desaparecidos sarebbero diventati un ricordo, che la corruzione sarebbe stata sconfitta, che le autorità sarebbero state finalmente dalla parte dei cittadini. Ma quelli che erano stati i sequestri politici si limitano a mutare pelle, diventano sequestri a scopo di denaro, punta dell’iceberg di un’agghiacciante similitudine fra il prima e il dopo, segno che in un certo senso il regime non sarà mai sconfitto. Le ingiustizie vivono sulla terra fertile offerta dal mondo e da un’umanità esacerbata da anni di sacrifici e malgoverno, talmente assuefatta al malcostume da entrare quasi inevitabilmente a farne parte, figlia della paura e della fame.

Ma Trapero, e qui sta il maggiore limite del film, guarda ai propri personaggi senza affetto, più attento alla fedeltà storica che alla componente psicologica, votato ad una ricostruzione che si rivela fredda e in definitiva incapace non solo di emozionare, ma anche di intrattenere. Le pur ottime premesse vengono annacquate in una profusione di momenti morti e battute a vuoto in grado di minare la tenuta narrativa, fra idee registiche smaccatamente derivative (evidente è il debito nei confronti del Pablo Larrain di Tony Manero, ma anche tanta parte di un cinema di genere che non riesce a decollare) ed una scena in particolare -il montaggio alternato fra il pestaggio e la scena di sesso- che vorrebbe essere fra gli apici linguistici e narrativi, ma risulta in realtà respingente nella sua inefficacia. El Clan è un film bizzarro, capace di ondeggiare fra vette e abissi, nel complesso troppo impostato e anaffettivo per entrare nel cuore, ma possiede l’ambizione necessaria per fare parte di un concorso che, dopo i primi scadentissimi giorni, pare finalmente intenzionato ad alzare un po’ il tiro.

Marco Romagna

“The Clan” (2015)
110 min | Biography, Crime, Drama | Argentina / Spain
Regista Pablo Trapero
Sceneggiatori Julian Loyola, Esteban Student, Pablo Trapero (screenplay)
Attori principali Antonia Bengoechea, Gastón Cocchiarale, Guillermo Francella, Stefanía Koessl
IMDb Rating 7.3

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