30 Novembre 2017 -

CIAO AMERICA! (1968) / HI MOM! (1970)
di Brian De Palma

Siamo nel ’68, De Palma è un regista praticamente esordiente e De Niro un attore esordiente, nessuno dei due sospetta la fama e la grandezza che riusciranno a raggiungere davvero solo con sforzi futuri. È un momento di rivoluzioni, esce in sala 2001: Odissea nello spazio (1968), la Pop Art si evolve, la musica rock pure, c’è già il sentore di Woodstock e dello scioglimento dei Beatles. Se da una parte la cultura e l’arte sono destinate a passare attraverso un flusso talmente complesso che si potrebbe discutere a lungo se si tratta di un’evoluzione o di un’involuzione, dall’altra parte del mondo c’era la guerra. In Vietnam, i coraggiosi soldati americani si sbracciavano inneggiando alla democrazia con il fucile sotto braccio, con nel mirino del loro sguardo i crudeli e brutali Viet Cong che col tempo sono finiti per avere la meglio, in uno dei casi più strani della storia bellica statunitense. A New York, tre amici sembrano cercare di fare di tutto per evitare di confrontarsi con entrambe le realtà, ma ne sono costretti: uno è riuscito a evitare di andare in guerra fingendosi omosessuale, gli altri due hanno piani simili ma, per quanto li riguarda, meno umilianti. Scorrazzano per le strade rincorrendosi con un ritmo velocizzato come quello delle comiche di Chaplin o Laurel & Hardy, che furono di fonte d’ispirazione anche per il De Palma di The Wedding Party (1963-1969), scompaiono nel fuori campo mentre la macchina da presa segue con incoerenza i loro movimenti, si ubriacano, passano notti insonni, cercano di scappare da un futuro talmente veloce che li fa piombare in un surrealismo in cui diventano non solo protagonisti ma anche interlocutori con la macchina da presa, uomini semi-reali, con le loro relative ossessioni. Uno dei tre, Lloyd, che ha da poco visto Blowup (1966), che, ricordiamo, influenzò il successivo film di De Palma Blow-Out, vuole usare la tecnica che usa Hemmings nel film di Antonioni per fare delle indagini più approfondite sull’omicidio di Kennedy e giungere a una risposta, e continua a parlarne facendosi amici e nemici, urlando in maniera assillante i propri calcoli tecnici e pseudo-medici che dimostrano l’innocenza di Lee Harvey Oswald persino agli spettatori. Un altro, Paul, usa le neo-tecnologie computerizzate per rimorchiare giovincelle sempre sensuali ma raramente davvero adatte a lui da un punto di vista caratteriale, e finisce in un film porno dai risvolti comici. L’ultimo, ovvero Jon Rubin interpretato da De Niro, è un pervertito che trova la propria principale passione nell’osservare le donne attraverso l’obiettivo di una cinepresa. Insomma, i tre eroi di Greetings, titolo originale di Ciao America!, sono tre idioti antidogmatici.

È una commedia slapstick e nel contempo un divertissement godardiano, ma soprattutto il film di De Palma, considerato da alcuni il suo vero e proprio esordio nella Storia del Cinema, è uno dei più liberi e divertenti manifesti della New Hollywood, ed è arrivato sottotono nel periodo in cui la New Hollywood si stava ancora formando (v. Il laureato o La notte dei morti viventi). New Hollywood significava proporre nuovi valori, o anche eliminare i valori precostituiti per dedicarsi a un caos completo atto anche a piegare in maniera irreversibile le regole del cinema, per esempio compiendo involontariamente errori che probabilmente sarebbero stati molto penalizzati da entrambi i nomi nel titolo di un libro a un certo punto letto da un personaggio femminile, ovvero Hitchcock/Truffaut. Col tempo la cosa si è evoluta, ha portato a un pessimismo e a potenzialità espressive di un altro tipo, ma fino a Mean Streets, forse l’apice, all’interno della corrente cinematografica succitata o perlomeno al suo sottogenere in cui l’eccentricità della forma è più accentuata, andare oltre significava piegarsi al caos e al tragicomico sapore del pessimismo in un’attualità in cui è difficile entrare. De Palma ne è ben conscio, e sfrutta qui l’occhio del personaggio di De Niro per descrivere un archetipo di maschio americano incapace di prendere sul serio il reale, sessualizzandolo e basando tutto solamente sul desiderio. Possiamo prendere quello che diceva Žižek sui fratelli Marx e su come la loro interazione sia basata sulla triade freudiana di Ego (Groucho), Superego (Chico) e Es (Harpo) e provare ad applicarne la logica sui tre protagonisti di Greetings; in tal caso, sicuramente l’Harpo/Es del caso è De Niro, istintuale fino a identificare il ruolo del fucile con il ruolo del proprio occhio, trasformando lo sguardo perverso della crisi generazionale degli anni ’60 nell’unica arma possibile per i giovani confusi costretti alla guerra e al datato tentativo di eccellenza istigato dal potere. Degli altri due, possiamo dire che Lloyd è il Groucho/Ego, che punta tutto sul racconto e sull’autocelebrazione del Sé (fino a rimanerne unica esplicita vittima fisica), mentre Paul, che all’inizio sembra protagonista assoluto, è come Chico una particella razionale e tranquilla, per quanto vittima del destino. Ma forse è una forzatura, forse tutti e tre sono degli sbandati che dovrebbero essere alla ricerca della loro identità e invece decidono di abbandonarsi alla pigrizia e al vuoto preconfezionato per loro dalla società. Gli spettatori non si divertono a loro spese ma si divertono delle loro traversie e dei loro conflitti, delle loro ridicolaggini che sono troppo vicine all’ossessione umana anche contemporanea. Greetings potrebbe apparire datato per come si pone nei confronti della materia cinematografica, ma come scherzosa riflessione sulla psicologia dell’immaginario collettivo statunitense è tutt’altro che inaccurato.

Ma Greetings più che un discorso compatto è forse l’apparenza fantasmica del prologo coinvolgente del complesso percorso di De Palma nel reame scenico del voyeurismo in America, motore principale del suo cinema. E in ciò non possiamo che pensare anche al suo diretto sequel Hi, Mom!, con protagonista assoluto il Jon di De Niro. Hi, Mom! è più regolare, sotto certi punti di vista, di Greetings, o perlomeno è più quadrato e narrativo, meno sfacciato, meno platealmente privo di professionalità. E la sua grandezza probabilmente sta proprio in come De Palma decide di divertirsi, in maniera comunque aspra e per molti tutt’ora inaccettabile, esplorando sempre di più le necessità di Jon Rubin. La prima umoristica sequenza, quasi tutta in soggettiva e arricchita da molti irrealistici momenti fuori fuoco che danno l’idea di uno sguardo ormai talmente dedicato alla cinepresa da aver sostituito i propri occhi umani con occhi meccanici, vede Jon che va a visitare un orribile appartamento in cui niente ha una parvenza decente, dal forno che non funziona ai materassi sporchi, dalle pareti fragili ai divani che si spezzano. Viene convinto ad affittarlo solo nel momento in cui si rende conto che dalla finestra può spiare i vicini con comodità. È qui che partono i titoli di testa, con l’immediata presa di coscienza del fatto che nulla può cambiare la psiche dell’archetipo dell’inetto americano costruito nella storia, neanche la guerra in Vietnam. Anzi, se la guerra ha fatto qualcosa, è stato aumentare l’aggressività di Jon, che usa il proprio sguardo come arma assolutizzante, in un’ottica di apparente menefreghismo utilitaristico, creando situazioni grottesche solamente per penetrare nell’ambiente della produzione pornografica. Seduce una vicina, si rende desiderabile e lei si innamora di lui, ma per lui l’unica cosa che conta, anche nell’imbarazzante e assurdo momento dell’amplesso, è che la cinepresa posta alla propria finestra possa riprendere tutto da lontano, catturare il privato per darlo al pubblico. L’operazione fallisce e Jon viene licenziato, ma il suo sforzo non rimane perduto e il nostro antieroe riesce a diventare un marito e padre di famiglia tradizionale. A questo punto non ha più niente da spartire con la sua vera e propria natura se non il proprio corpo, il proprio volto, il proprio passato e soprattutto le proprie necessità di sfogo. È qui che subentra quella che Hi, Mom! propone come una sottotrama, ma che in realtà è l’aspetto più interessante del film e la caratteristica che più riesce a rendere il sequel un superamento della pur affascinante puerilità di Greetings: la presenza di uno dei vicini di Jon, un universitario (bianco), comunista militante, che collabora con un gruppo di “compagni” afroamericani per la costituzione di uno spettacolo multimediale, televisivo e teatrale dal nome Be Black Baby, che assomiglia a un’installazione in cui è messa in discussione la posizione morale dell’individuo imborghesito caucasico, portato a cercare di immedesimarsi con la posizione sociale dei “niggers” post-sessantottini.

Molti hanno ricordato questa B-story delirante di Hi, Mom! nel discutere le ragioni di interesse della recente Palma d’Oro di Östlund, The Square, esempio di film che parla dei limiti e delle problematiche etiche dell’arte contemporanea, in maniera perlomeno discutibile – proprio nel senso di bisogno di creare discussioni interessanti, più che nel senso di criticabile negativamente. Questo perché i ragazzi che organizzano Be Black Baby, simil-Black Panthers senza macchia e senza paura, passano attraverso varie fasi, tutte girate con la macchina a mano e in un formato arrotondato televisivo, all’interno della propria ricerca di rivendicazione sociale, da un primo provocatorio incontro con i passanti a una seconda sezione, una sequenza corposa e disturbante, in cui Be Black Baby si mette in atto. Inizialmente, i ragazzi africani fanno provocazioni abbastanza innocue, chiedono ai loro spettatori/ospiti di toccare il loro corpo e il loro corpo per avere sensazioni tattili precise e poi, più aggressivamente, li costringono a mangiare il cibo che loro mangiano ogni giorno. Successivamente, le due fazioni dipingono la loro pelle con il colore della pelle dell’altra fazione, e lì prende piede una degenerazione di violenza che finisce con pestaggi e stupri. Entra in scena anche Jon, assoldato dal vicino per improvvisare all’interno del ruolo del “maiale”, ovvero un poliziotto brutale e soprattutto razzista nei confronti dei finti “negros”. Il raziocinio, piegato dal desiderio vendicativo, esplode in un sensazionalismo idiota nel momento in cui, dopo aver sanguinato e dopo aver pianto, gli spettatori/ospiti dicono alla macchina da presa di aver goduto dell’esperienza, che hanno trovato molto interessante, al punto dal volerla consigliare anche ad amici e parenti. Come nella sequenza già più iconica e celebre di The Square, quella dell’uomo-scimmia che ostenta il proprio Io primitivo fino a minacciare di stupro una ragazza e a essere pestato a sangue da una sfilza di uomini in giacca e cravatta, la brutalità è (volontariamente) spinta alle proprie estreme conseguenze fino a subentrare in un cinismo spietato e crudo. Dove però The Square utilizza la sequenza per creare un’angoscia che finisce in una moraletta a tesi, Hi, Mom! spingeva in maniera decisamente più estrema i tempi e il discorso etico in generale, e non solo a causa della lunghezza della scena ma anche perché il confronto non è con un problema esistenziale (primitivo vs. imborghesito) ma con un problema sociologico (neri vs. bianchi). È giusto considerare i neri vittime, ma quand’è che possono diventare anche carnefici? Con una crudezza che può impressionare anche oggi, e che mette da parte l’aspetto sostanzialmente più ironico di tutto il resto del film, è tutto messo in discussione fino a un’esplosione in stile ‘guerrilla’, ultima fase del progetto Be Black Baby, che finisce con uno sterminio degli afroamericani comunisti da parte della ‘middle class’ repubblicana che si difende dai mitragliatori con armi più possenti usate come fossero i giocattolini del figlioccio. Jon, in quanto elemento esterno mosso da bisogni molto più semplici e primordiali (per lui la violenza di Be Black Baby è più una necessità di sfogo fisico che una missione morale o politica), osserva la scena su di un televisore ma non partecipa alla missione praticamente terroristica. Quando essa finisce, però, con la morte di persone che comunque percepiva più o meno come amici, o al massimo colleghi di violenza, Jon scoppia in una crisi isterica di sfogo assoluto che De Palma mostra con un’insolita inquadratura fissa dal basso, che dimostra tutta la rabbia repressa che il personaggio di De Niro ha tenuto in sé per praticamente due interi film di un’ora e mezza.

È questo il soldato anti-vietnamita formato dall’America degli anni ’60, è questo il bastardo dall’occhio pornografico, il nuovo eroe western fuori dal genere, il prototipo di un principio di sguardo voyeuristico post-hitchcockiano. È forse, a suo modo, anche più scimmiesco del robusto artista-primate di The Square, perlomeno per come il suo cervello si sposta per ragionamenti reattivi, senza una coscienza vera e propria al di fuori di una basilare competenza nel comprendere cosa lega causa ed effetto. La vita imborghesita sta stretta a Jon, che scappa compiendo un attacco terroristico individuale e nascondendo la propria colpevolezza ma continuando a proporsi come eroe a causa della propria presenza in guerra. Ciò però non può che sfociare nell’esibizione universale della propria idiozia: il film si conclude spiegando il proprio titolo, con Jon che, invece di superare l’anarchia distruttiva che altro non è che una dimostrazione della sua assenza di comprensione del mondo, regredisce a uno status mentale individualistico e narcisista, salutando la mamma dopo un’apparizione televisiva in un notiziario per strada che informa sul suo crimine. È interessante e curioso che quello che forse è il tema portante del cinema di De Palma, ovvero l’occhio e la percezione umana di sesso e violenza, nasca, sotto certi punti di vista, da un dittico così indefinibile, così anarchico e crudele; ma forse è anche solamente coerente con quello che, del resto, dovrebbe sempre essere l’autore-mestierante, regista che parte dal personalismo per poi aprirsi alle regole del cinema espandendo le loro capacità di espressione.

Nicola Settis

“Greetings” (1968)
88 min | Comedy, Drama | USA
Regista Brian De Palma
Sceneggiatori Charles Hirsch, Brian De Palma
Attori principali Jonathan Warden, Robert De Niro, Gerrit Graham, Richard Hamilton
IMDb Rating 5.8
“Hi, Mom!” (1970)
87 min | Comedy, Drama | USA
Regista Brian De Palma
Sceneggiatori Brian De Palma (screenplay), Charles Hirsch (story), Brian De Palma (story)
Attori principali Charles Durning, Robert De Niro, Allen Garfield, Abraham Goren
IMDb Rating 6.2

Articoli correlati

EASY RIDER (1969), di Dennis Hopper di Nicola Settis
VESTITO PER UCCIDERE (1980), di Brian De Palma di Tommaso Martelli
FEMME FATALE (2002), di Brian De Palma di Tommaso Martelli
REDACTED (2007), di Brian De Palma di Marco Romagna
THE IRISHMAN (2019), di Martin Scorsese di Marco Romagna
KILLERS OF THE FLOWER MOON (2023), di Martin Scorsese di Marco Romagna