4 Novembre 2016 -

APPROACHING THE UNKNOWN (2016)
di Mark Elijah Rosenberg

Il principale punto di forza di Approaching the unknown, esordio del giovane regista Mark Elijah Rosenberg che atterra in concorso al Trieste Science + Fiction Festival, è l’estrema credibilità dell’ambiente: un’astronave per una missione solitaria, “viaggio di sola andata” verso l’ignoto di Marte con a bordo un sistema di reattori capaci di estrarre e ricombinare le particelle di idrogeno e ossigeno creando acqua dalla terra. L’astronave è ricostruita così minuziosamente, con una cura per ogni dettaglio che quasi chiama in causa 2001 Odissea nello spazio e Solaris, che sembra quasi paradossale notare come questa estrema credibilità del set quasi stoni con quelli che saranno i non pochi problemi pronti a emergere da uno script viziato da qualche incongruenza e troppe reiterazioni. Ma andiamo per ordine, cercando di mettere sul piatto i pregi e i difetti, con l’equilibrio che un’opera prima interessante e imperfetta spesso merita. In primo luogo Approaching the unknown è un uomo, le piante al seguito da far attecchire su un altro pianeta, quasi 300 giorni di navigazione siderale percorsi dalla navicella a una velocità folle eppure impercettibile per chi abita la capsula e trova la gravità nel suo roteare, “separato dal nulla da un metro d’acciaio”. Film indipendente che la produzione è riuscita, dopo la realizzazione, a vendere al colosso Paramount per la distribuzione, Approaching the unknown è un viaggio nello spazio che diventa intima riscoperta di se stessi attraverso i propri fallimenti e le proprie decisioni più difficili e radicate, è un percorso psicologico e filosofico che si nutre della solitudine e del contrasto fra gli spazi angusti della navicella e l’infinito che scorre al di fuori degli oblò che mostrano il sole solamente una volta alla settimana, è un errore umano destinato a portare al fallimento della missione, ma poi dal fallimento della missione all’ultimo estremo atto di umana dignità. Il Capitano NASA e scienziato William D. Stanaforth, interpretato da un Mark Strong capace di catalizzare su di sé e sulla sua fisicità tutto un film basato sulla solitudine di un singolo attore in scena, parte per Marte “non per morirci, ma per viverci”, ormai disgustato dalla Terra e da tutte le ingiustizie e cattiverie che inaspriscono e fanno marcire un mondo dal quale non si può che scappare, ripartire da zero, ricominciando daccapo una nuova civiltà sul Pianeta Rosso fatta di uomini e donne scelti, di cui Stanaforth vorrebbe semplicemente essere il primo pioniere, colui che dimostrerà la possibilità della vita.

Il sistema futuristico utilizzato per estrarre acqua dalla terra più arida è al contempo il motivo della missione e il fallimento della stessa quando, per un cortocircuito provocato dallo stesso comandante durante una sessione di ordinaria manutenzione, il macchinario precedentemente sperimentato da Stanaforth nel deserto con la necessità di farlo funzionare come unica possibilità di sopravvivenza si romperà, contaminando peraltro l’acqua potabile già estratta. L’uomo che ora è in solitaria verso Marte si è già “bevuto” il pianeta azzurro, e ora vorrebbe bersi anche quello rosso, ma senza quella macchina non potrà fare altro che andare consapevolmente incontro alla morte. Non sono certo pochi i punti di interesse di Approaching the unknown, visivamente ottimo fra effetti speciali e computer grafica di supporto, con un impianto metaforico ben preciso anche se in definitiva non particolarmente originale, capace di pescare nell’immaginario della fantascienza mainstream per parlare in realtà di un uomo in fuga dal mondo e forse anche da se stesso, artefice del suo destino al punto di rompere per errore il macchinario da lui stesso inventato, non riuscire a ripararlo ma nel frattempo ignorare gli ordini che giungono da Houston e che lo obbligherebbero alla manovra per rientrare sulla Terra. Un po’ Apollo 13, un po’ Mission to Mars, un po’ Interstellar e ancor di più Sopravvissuto – The Martian, il film d’esordio di Mark Elijah Rosenberg scandaglia, fra la redazione di un diario che probabilmente nessuno potrà mai leggere e la pazienza vana dello svitare e riavvitare cavi e oggetti nella disperata speranza di rimediare al danno, nell’intimo di un uomo per cui il viaggio nello spazio è una recisione dei legami e dei dolori terreni, una speranza anche quando finiranno le speranze, un inseguimento del sogno fino a quel piede posato sulla terra rossa, il primo uomo, e forse anche l’ultimo. Chi avrebbe dovuto, a qualche giorno di distanza, raggiungerlo su Marte, sarà costretto a tornare indietro per un guasto all’astronave, e anche Stanaforth avrà un guasto a bordo, il più pericoloso, il più definitivo, ma non lo comunicherà fino all’ultimo e comunque ignorerà gli ordini di far ritorno sulla Terra schermando la nave spaziale dai controlli radio di Houston, e pilotandola personalmente verso l’ignoto, fino alla fine come se nulla fosse. Stanaforth dovrà razionare l’ultima acqua rimasta per il viaggio, dovrà estrarla dalle piante che sarebbero dovute servire per l’esperimento e dalla condensa che si forma sull’astronave in viaggio, dovrà sopravvivere fino al coronamento del suo grande obiettivo, il sogno di una vita e l’ingresso nella Storia: l’atterraggio su Marte, e poi sarà quel che sarà, in barba alla gioia per l’imminente ritorno sulla Terra di chi vive da ormai troppo tempo nella stazione spaziale dove Stanaforth fa l’unica tappa del viaggio.

Peccato che, al di là delle buone intuizioni e dell’ottima tecnica, Approching the unknown finisca per cadere proprio dove dovrebbe e vorrebbe trovare i suoi principali spunti. A dispetto dell’impianto filosofico e metaforico, ben gestito ma in sostanza già visto in diverse e decisamente più profonde e stratificate occasioni, la fantascienza messa in scena dall’esordiente Rosenberg non vuole essere sfacciatamente concettuale o cerebrale, ma piuttosto inserirsi, forte della sua sostanza, in quel filone più popolare e mainstream dal quale prende a piene mani situazioni e tematiche, ma non la tenuta narrativa. Il vagare di Stanaforth avanti e indietro per l’astronave spostando tubicini e bevendo l’acqua a gocce finisce per essere troppo ripetitivo, e non bastano le rare videochiamate con la base o i videomessaggi che arrivano al comandante sotto la polvere che inizia a coprire gli schermi nonostante la tenuta stagna del razzo, e nemmeno quell’unico e continuo flashback che torna ai tempi del deserto, per scuotere Approaching the unknown dal suo eccessivo torpore. Come è impossibile non considerare un problema narrativo il fatto che Stanaforth riesca, via radio, a far eseguire alla collega che lo sta seguendo una delicatissima riparazione al rotoscopio, ma che debba arrendersi di fronte al malfunzionamento di una macchina da lui stesso progettata e inventata. Come pure è problematico credere al fatto che la NASA mandi un uomo solo su Marte e non un equipaggio completo, e che questo unico uomo sia un nichilista depresso riuscito a passare tutti i rigidi test psicoattitudinali della maggiore agenzia spaziale mondiale senza che nessuno sospettasse minimamente la sua intenzione, dichiarata in voce fuori campo già in apertura, di non fare mai più ritorno sulla Terra dal Pianeta Rosso del quale sarebbe partita con lui la colonizzazione umana. Una decisione presa per una sorta di disgusto nei confronti del nostro pianeta, al quale però sarebbe stato sufficiente donare il macchinario miracoloso che trasforma il terriccio in acqua per risolvere buona parte dei problemi, ma questa idea pare non aver mai sfiorato né il depresso creatore del reattore, né la NASA, né evidentemente Mark Elijah Rosenberg, che avrebbe potuto, almeno nella fantascienza, salvare il mondo, e invece ha preferito far morire felice un uomo. Lasciandoci in mano diversi spunti di interesse, qualche dubbio, ma anche troppi rimpianti.

Marco Romagna

“Approaching the Unknown” (2016)
90 min | Drama, Sci-Fi, Thriller | USA
Regista Mark Elijah Rosenberg
Sceneggiatori Mark Elijah Rosenberg, Mark Elijah Rosenberg
Attori principali Mark Strong, Luke Wilson, Sanaa Lathan, Anders Danielsen Lie
IMDb Rating 4.8

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