23 Maggio 2025 -

WOMAN AND CHILD (2025)
di Saeed Roustaee

A ben vedere sta già nella sfumatura del suo titolo, il senso più profondo del nuovo e ancora una volta bellissimo lavoro dell’iraniano Saeed Roustaee. Una scelta, quella di chiamare il film Woman and child (traduzione letterale del farsi زن و بچه, Zan o bacheh), utilizzando il termine donna anziché quel مادر/madar/madre che uso corrente e memoria cinematografica avrebbero suggerito, con cui sin da subito allargare lo sguardo e il campo politico-semantico dalla famiglia e dall’emblematica e non di rado tragica contraddittorietà dei suoi rapporti alla ricerca di una cartina di tornasole della condizione femminile tutta, sulla quale innestare una storia fieramente e rabbiosamente femminista di donne e di ribellione, di emancipazione e di dolore, di dignità e di umanità profondissima. Un film che, dovendo necessariamente passare per le maglie delle stringenti regole della censura iraniana, dovrà sì accettare il compromesso di mostrare le donne con il velo anche in casa (come sottolineato dalle risibili polemiche preventive che, chiaramente senza averlo visto ma pretendendo di giudicarlo dal trailer, ne hanno anticipato la presentazione in concorso al 78esimo Festival di Cannes definendolo collaborazionista, insinuazione che nel caso di Roustaee, evidente oppositore nel suo mostrare ed attaccare il marcio e l’inumano del regime khomeinista già dai tempi dell’esordio Life and a day e con ancora più forza dall’opera seconda Just 6.5, sarebbe un po’ come accusare Gino Strada di omissione di soccorso…), ma che ben oltre la scelta beffarda del regista di far tenere alle sue attrici l’hijab leggermente spostato a lasciare sempre una porzione dei capelli lo stesso visibile, mentre rapidamente imbiancano sotto il peso della tragedia, dell’ingiustizia e della frustrazione patriarcale del Sistema persiano, raggirandone dall’interno il sistema produttivo ufficiale punta apertamente il dito contro l’autorità del potere maschile, contro la sua prepotenza, contro il suo continuo ed egoistico sopruso. Contro lo Stato e la legge che lo proteggono e lo (auto)assolvono perché «al di là della responsabilità morale non si configura alcun tipo di reato», mentre magari non si fanno alcun problema a trascinare una madre amorevole e disperata in tribunale per tentare di toglierle la potestà, e solo il ritiro delle accuse da parte di un uomo potrà evitarle la quasi sicura condanna da parte di un altro uomo. Ma andiamo per ordine. È una storia come si diceva di lacrime, rabbia, frustrazione e lotta contro tutto e contro tutti, Woman and child. Una storia, differente, più piccola e forse più ancora urlata ma non necessariamente inferiore allo strabiliante vortice narrativo e tematico del precedente Leila e i suoi fratelli, in cui immaginare una donna di quarant’anni, stimato medico (quindi giocoforza già capace di dimostrare il proprio valore e la propria autonomia nel superamento, con tutte le difficoltà ulteriori per una donna in Iran, del percorso di studi) e ora vedova e con due figli a carico – una bambina dolcissima e un maschio problematico e ribelle del quale non certo per caso simbolicamente occuparsi personalmente dell’educazione (o forse per meglio dire di una rieducazione, di cui avrebbero bisogno anche e soprattutto le generazioni anteriori alla sua) quando seppur brillante non ha voglia di fare i compiti, e di certo la condotta fra sigarette, gioco d’azzardo e risposte piccate agli insegnanti non lo aiuta – che proprio nel momento in cui si illude di potere in qualche modo ricominciare a vivere con un nuovo matrimonio e con una nuova felicità dovrà fare i conti con il più inaspettato dei tradimenti e parallelamente con la più improvvisa e devastante tragedia, e da lì vedere la propria vita e i propri affetti letteralmente disgregarsi fra le dita, mentre nessuno sembrerà disposto ad ascoltarne la voce che, come un grido muto nel deserto, chiede almeno un briciolo di verità e giustizia.

Un film in cui Saeed Roustaee, straordinario sceneggiatore e regista sempre capace di momenti di un’intensità ai limiti dell’insostenibile fra giochi di sguardi, dettagli, gesti ai limiti dell’impercettibile e paradigmatiche zenitali sulla cancellata bloccata della scuola che divide i genitori dai figli – e in questo caso pure vetrate-lavagne attraverso cui guardarsi da una parte all’altra della casa, foto fantasmatiche da scattare ai volti attraverso le tende di plastica dell’ospedale, trottole a spirale che davano il tempo a una partita di dadi e che ora ricordano chi non c’è più, ma anche quello stesso letto nosocomiale su cui prima vedere morire un innocente e poi vedere salvare la vita al colpevole probabilmente non solo morale – riparte dalla coralità e dalla travolgente capacità di tenere insieme le fila dei personaggi e dei dialoghi del precedente Leila’s brothers, creando intorno alla protagonista Mahnaz un vortice dialettico di madri, figlie, sorelle e colleghe costrette a confrontarsi e a (in)consapevolmente subire i pochi quanto ingombranti uomini (il paramedico traditore Hamid che proprio al momento del fidanzamento con la protagonista virerà le sue mire sulla più ingenua sorella minore diventando il nemico con cui reciprocamente affossarsi ma ben presto anche il cognato, l’insegnante responsabile della sospensione scolastica del figlio prima tappa verso il definitivo precipitare degli eventi, e poi ancora quel suocero e nonno paterno sospeso fra la responsabilità passiva e quella attiva nella drammatica morte del nipote, che evidentemente non pago della sua colpa tenterà le vie legali per strappare a Mahnaz anche la figlia), per poi virare in una seconda parte forse leggermente troppo a tesi ma non per questo meno poderosa nei suoi messaggi politici e nelle sue scelte espressive di messa in scena, in cui tenere sempre al centro un personaggio femminile che affronta a testa bassa l’intera società fallocentrica che ha ucciso Mahsa Amini nella sua intrinseca violenza, nel suo impunito sessismo, nell’ipocrisia dei suoi labirinti burocratici senza apparente via d’uscita, nei suoi meccanismi più infidi e sfacciati. Una donna messa in minoranza nella difficoltà di elaborare il suo lutto dagli uomini ma anche dalla propria stessa madre, e che avrà bisogno di tempo (e del maturare di una disillusa, rassegnata consapevolezza della più giovane su come la protagonista avesse avuto sempre ragione riguardo il viscido Hamid, mentre ne porta l’anello al dito e il primogenito in grembo) per ricucire quel rapporto di sorellanza inevitabilmente compromesso dagli eventi e dalle scelte. Ma anche una donna che nella sua lotta disperata, donchisciottésca, impossibile contro le storture patriarcali di un intero Paese, una lotta frustrante fino alla vana ricerca di una vendetta personale, fino a mettersi in pericolo, fino a rischiare di perdere anche ciò che le è rimasto, non potrà che progressivamente «smettere di fare l’emancipata, ma esserlo» fino in fondo, orgogliosa, a testa alta, giocandosi ogni carta possibile e impossibile fra la faida e l’ingiustizia. Fino a un abbraccio con la piccola figlia nei corridoi del tribunale che parlerà al cuore più di qualsiasi parola, e poi al lento caricare, al riemergere e al deflagrare di una commozione che (le) sembrava ormai impossibile nel momento in cui prenderà in braccio quel nipote neonato e imparerà di nuovo a perdonare, a sentire nuovamente il calore, ad amare come una madre, come una sorella e come una zia. Un pianto liberatorio che sembra fare il paio con quella sigaretta fra le dita e non più portata alla bocca da dissimulare nella forzata gioia del magnifico finale di Leila’s brothers, ma che qui invece che alla morte trova la forza di guardare di nuovo alla vita, alle speranze, al futuro. A un’umanità straziata e sublime, che Saeed Roustaee trasforma ancora una volta in estrema stratificazione, in ben preciso gesto politico, in grido lacerante di Resistenza. In grande, vigoroso, impetuoso cinema di scrittura e di regia. Un cinema militante, furibondo, coraggioso, ma al contempo lirico, emotivo, commovente, vibrante. Potentissimo.

Marco Romagna

“Woman and Child” (2025)
Drama | Iran
Regista Saeed Roustayi
Sceneggiatori Azad Jafarian, Saeed Roustayi
Attori principali Parinaz Izadyar, Payman Maadi, Soha Niasti
IMDb Rating N/A

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