31 Maggio 2016 -

THE NEON DEMON (2016)
di Nicolas Winding Refn

In The Neon Demon, di sicuro il film più interessante e meno accomodante degli ultimi mesi, Nicolas Winding Refn continua a rinnegare di gran carriera il bon ton narrativo e la verosimiglianza psicologica, per lavorare in maniera mai così astratta, immateriale e feroce sulla bellezza per la bellezza. Un’idea autosufficiente di creazione artistica, nella quale l’installazione museale e il videoclip virale, sulla carta quanto di più lontano e agli antipodi si poteva un tempo immaginare, si fondono sinuosamente e si annullano a vicenda nel calderone mediale che caratterizza il tempo presente. Aprendo la strada a qualcosa di inedito, sconcertante e – letteralmente – mai visto prima, per modi e forme adottate. Il risultato, che spiazza e irretisce, abbatte gli steccati e dà da pensare sulla deriva dell’immaginario contemporaneo e sulla sua fusione sempre più indiscriminata e selvaggia di alto e basso, è una galassia sterminata di immagini cromate e imbambolate: dei segmenti sparsi di cinema del futuro, che paradossalmente sembrano voler ricorrere all’ancestrale purezza dell’alba della storia del cinema per tornare a stupire e a scioccare davvero.

Il cineasta danese, interessato anzitutto, a livello formale, a “scheletrire il racconto, comporlo in maniera paratattica, senza piani di profondità”1, parla di corpi morti cui il desiderio famelico e cannibale di visibilità ridà vita per mezzo dell’attrazione e dell’ossessione quasi sessuale per i riflettori (la scena di necrofilia lesbo è una metafora dell’intero film, oltre che una provocazione in puro stile Refn). Salvo poi esigere in cambio un tributo ancor più spietato: una morte al chiaro di luna, un’autocombustione inesorabile. Parla di vacuità e di culto della perfezione, The Neon Demon, ma soprattutto dello scacco che ne deriva, in tempi tragici, farseschi e immemori. Da tale impasse si lascia divorare Refn per primo, in un magnifico, destabilizzante naufragio che coinvolge anche il suo cinema, oltre all’incantevole modella protagonista interpretata da Elle Fanning e alla sua discesa agli inferi. Sconfinando così nell’atarassia del grado zero, nell’anestesia e nella morte (apparente) di ogni complessità, in un nichilismo tanto luccicante quando disperato.

Ogni fotogramma di Refn è una competizione con se stesso ma anche uno sfregio punk, uno schiaffo sonoro e impetuoso alle nostre certezze di spettatori e al suo piedistallo di autore laureato, che si declassa, perisce, smarrisce ogni autorevolezza, affronta a cuore aperto la gogna del ridicolo e l’abisso del nonsense. Si può dire tutto e il contrario di tutto di The Neon Demon e di Refn stesso, ma che lo si beatifichi o lo si riduca al rango di spazzatura è innegabile che nessun regista, in questo momento storico, è in grado di mettersi a nudo in maniera altrettanto allarmante, prefigurando un cinema prossimo venturo dove tutto è ridotto a spot abbagliante e a superficie ambivalente, al mantra “morte, vita, la morte nella vita”, per citare una preziosissima immagine di un poeta suicida e dimenticato, Carlo Michelstaedter.

Vogue o gore, fashion o kitsch poco importa: quel che conta è la luce che emana il personaggio-figurina di Jesse, spogliato di ogni naturalismo e di qualsivoglia tridimensionalità, un faro, un’emanazione di puro desiderio che coincide esattamente con “quello che tutti vogliono”. Conta solo catalizzare la voluttà altrui, anche quando inerme e non pervenuta, per tramite del proprio narcisismo, e con esso azzerare l’orizzonte della volontà di chiunque altro sguainando il proprio io come un’arma di distruzione di massa. Essere percepiti, più che essere, come “diamanti grezzi in un oceano di vetro”, per usare una delle rare arditezze metaforiche contenute in dei dialoghi per il resto scarnificati fino all’osso, ridotti quasi a una dimensione autistica e demenziale, da sitcom involontariamente ridicola e fatalmente mancata.

The Neon Demon, nella sua calcolata freddezza simile a un teorema geometrico (le sequenze più visionarie imboccano tale direzione in maniera perfino letterale), è un film netto come un bisturi e insieme insondabile, permeato da una consapevolezza e una fascinazione per il controllo che ammaliano e atterriscono. Oltre che un perfetto specchio di questi tempi surrogati, dove la vita e la bellezza non esistono davvero ma rimangono imprigionate dentro avatar infiniti, simulacri seriali, rappresentazioni fittizie e condivisioni incontrollate. Il demone al neon di Refn non è più sotto la pelle, ma ha imparato a farsi strada anche in superficie, coltivando doppiezze sempre più sottili e sfaccettate. E i corpi che adesso abita, manovrati dal danese come fossero oggetti d’arredamento e nulla più, non abitano più qui, ma in un altrove ancora da definire e nel quale tutti quanti siamo tuttavia immersi fino al collo. Forse un deserto, ma del quale fatichiamo a prendere atto, ammaliati dall’ovattata bellezza dell’ultimo dei tramonti possibili, simile a un’eclissi di luna. Si vedano, a tal proposito, i titoli di coda sulle note della Waving Goodbye di Sia. Molto più che un videoclip siglato con la griffe NWR. Molto più che una postilla. Forse un grido d’aiuto.

Davide Stanzione

1 Matteo Marelli, Nel reame dell’iperreale, in http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=5826

“The Neon Demon” (2016)
118 min | Horror, Thriller | France / Denmark / USA
Regista Nicolas Winding Refn
Sceneggiatori Nicolas Winding Refn (story by), Nicolas Winding Refn (screenplay), Mary Laws (screenplay), Polly Stenham (screenplay)
Attori principali Elle Fanning, Karl Glusman, Jena Malone, Bella Heathcote
IMDb Rating 7.0

Articoli correlati

SIERANEVADA (2016), di Cristi Puiu di Erik Negro
MIMOSAS (2016), di Oliver Laxe di Erik Negro
COPENHAGEN COWBOY (2022), di Nicolas Winding Refn di Nicola Settis
IL CLIENTE (2016), di Asghar Farhadi di Massimiliano Schiavoni
HOUSTON WE HAVE A PROBLEM! (2016), di Žiga Virc di Vincenzo Chieppa
HARMONIUM (2016), di Koji Fukada di Erik Negro