21 Maggio 2025 -

TENSHI NO TAMAGO – L’UOVO DELL’ANGELO (1985)
di Mamoru Oshii

Dice la leggenda che perfino la madre di Mamoru Oshii, dopo aver visto Tenshi no tamago con cui, dopo essersi fatto le ossa in una decina d’anni di gavetta nella serialità animata (in testa Lamù la ragazza nello spazio, ma anche il lungometraggio a episodi distribuito direttamente in VHS Dallos che aveva dato inizio al mercato OAV nipponico) e passando per il fondamentale incontro con l’illustratore e character designer Yoshitaka Amano, il figlio aveva deciso nel 1985 di alzare l’asticella e di (ri)“esordire” (anche) nel lungometraggio d’autore, gli disse che nessuno lo avrebbe mai più fatto lavorare. Un insuccesso commerciale annunciato, anzi con ogni probabilità perfettamente previsto e che in effetti fu clamoroso, per un film d’animazione per adulti consapevolmente ostico, allegorico, oscuro, misterioso, criptico, onirico, simbolico, privo di un’interpretazione univoca ma esattamente all’opposto in grado a ogni visione di suggerire qualcosa di sempre diverso e sempre stratificato, e proprio per questo un capolavoro fra i più importanti, rivoluzionari e radicali nella storia (non solo) degli anime. Un film, uscito a sua volta al tempo direttamente in VHS senza prima passare da sale o TV e realmente scoperto nel mondo (ma non in Italia) solo dieci anni più tardi in seguito all’esplosione del fenomeno-Oshii con il suo successivo Ghost in the shell, che per larghissimi tratti procede nelle sue dilatazioni in pianosequenza e nelle sue tenebrosità quasi monocromatiche sostanzialmente muto mentre nelle poche linee di dialogo intreccia esplicite citazioni dal Diluvio Universale e sguardi nichilisti verso un’umanità post-apocalittica (o forse pre-nuova-genesi) che ha bisogno di rinascere dal suo sacrificio o magari dalla sua definitiva santificazione, nel quale il regista nipponico, da qualche parte fra la distopia, l’horror, il fantastico, la fiaba e la parabola, lascia deliberatamente ogni interpretazione alle suggestioni visive e all’evanescenza tenebrosa dei continui trompe-l’œil, mentre immagina l’incontro fra una bambina/angelo che custodisce gelosamente un uovo portandolo, in perfetta iconografia dell’immacolata gravidanza mariana, avvolto nei vestiti all’altezza del suo grembo, e un misterioso ragazzo altrettanto perfettamente cristologico nelle sue mani fasciate e nell’arma a forma di croce che porta sempre con sé, ma anche nella sua apparente onniscienza e in quello che sarà il suo personale intervento per schiudere la nuova necessaria creazione.

Del resto, come si diceva, Tenshi no tamago (traducibile letteralmente come L’uovo dell’angelo) è costantemente disseminato di quei riferimenti biblici che anche più avanti torneranno ripetutamente nella carriera di Mamoru Oshii, con ogni probabilità non credente o comunque molto critico e ambiguo ma da sempre evidentemente affascinato dalla fede e dalla tradizione cristiana. Dal gigantesco occhio (evidentemente di Dio, ricoperto di statue di angeli e martiri) all’albero (della vita, o in questo caso delle uova) con cui finalmente rinascere, un po’ come il feto di 2001: Odissea nello spazio, in una nuova umanità. Dalle vetrate colorate del rosone della chiesa alle scale a spirale (o meglio, a sezione aurea) ricoperte di ampolle della vita. Fino a un’Arca di Noè passata da salvezza a eterna dannazione con il non-ritorno della colomba ora scheletro fossilizzato di ali e di ossa di pietra, e con l’inondazione mai del tutto ritirata fino a che gli uomini non hanno dimenticato perfino l’esistenza stessa dell’uccello e del mondo prima della punizione divina, per ritrovarsi monocromatici e in qualche modo già morti come fantasmi che senza alcuna possibilità di successo continuano a tentare di arpionare l’impossibile ombra di pesci fantasma, non-pescatori di anime che non sanno più da dove vengono né dove sono diretti. Ma a ben vedere pure la trasformazione delle bolle nell’acqua in nuove uova, e quindi della morte di quella figura angelicata che accetta di sacrificarsi in nuova vita dell’umanità tutta, nient’altro è che un ennesimo miracolo simbolico, proprio come è un miracolo l’esistenza stessa di un film animato anticommerciale e magmatico come Tenshi no tamago. Non si tratta invece di miracolo, ma semmai semplicemente di una tardiva restituzione, la scelta di restaurarlo per il suo quarantennale in previsione – finalmente, verrebbe da dire – di quella distribuzione cinematografica su larghissima scala e su schermi il più possibile grandi che avrebbe sempre meritato, e di portarlo nel frattempo liberamente visibile per chiunque avesse voglia di sedersi su una sdraio a guardarlo nella sezione sì più instabile e sacrificata (se il diluvio che, quasi filologicamente, ha scelto proprio il giorno dell’unica proiezione per abbattersi sulla Croisette fosse stato ieri sera anziché ieri mattina, la proiezione sarebbe semplicemente stata annullata e il film depennato dal programma), ma al contempo anche più democratica nella sua totale gratuità senza bisogno di accrediti né di biglietti, del Festival di Cannes numero 78.

Non può prescindere dalle sue linee oblique e dalla tratto-pen precisa e visionaria di Yoshitaka Amano, il ben preciso e preziosissimo sguardo registico e autoriale di Tenshi no tamago, evidente ispirazione tanto per il live action (non solo) di Tim Burton quanto per l’animazione di Katsuhiro Ōtomo e di Satoshi Kon, ma pure per quella di Isao Takahata in quella corsa disperata nella notte che anticipa di trentatrè anni quella nel bianco di Kaguya ne La storia della Principessa Splendente. Un sogno gotico ambientato in un post-mondo gotico per architettura e raffinatissima tenebrosità della tavolozza di colori limitata, in cui le figure con le spigolosità dei loro visi e con i loro lunghi capelli bianchi in qualche modo sembrano emergere dall’oscurità di una notte senza fine fatta di ombre che si proiettano sulle ombre e di rovine che ricoprono altre rovine. Mamoru Oshii, ripartendo da quella sua idea di angelo fossile che inizialmente sarebbe dovuta essere al centro di un film mai realizzato su Lupin III, ne immagina la vicenda fra riflessi deformati sugli specchi d’acqua e architetture sghembe nei piani olandesi che portano sullo schermo gli insediamenti umani e gli intrecci di rovi del bosco, in un insistito intersecarsi di simbolismi allegorici e di evoluzioni più veloci di quelle di un’umanità al tramonto mentre la pioggia porta ancora una volta a una nuova inondazione, e non ci sarà alternativa a rompere quell’uovo misterioso che forse è l’ennesimo guscio vuoto o forse realmente contiene il pulcino di un nuovo uccello di Noè, e quindi il segreto della vita e della morte, per scoprire che cosa ci sia effettivamente al suo interno. Una domanda che, non a caso, l’anonimo ragazzo porgerà più volte all’anonima bambina, spingendola a ragionare sul mistero dell’esistenza, sul senso del suo accudimento, sulla necessità di evolvere l’intera specie per riuscire a stare dietro alla modernità del mondo senza più ritrovarsi a correre a vuoto come spettri che vagano nell’oblio. Ben oltre quelle ampolle quotidianamente riempite d’acqua – e quindi di vita – ma ogni volta svuotate nell’inutilità dell’attesa (della morte?), e che ormai a migliaia giacciono nel rifugio a contare il lungo tempo passato dal giorno dell’apocalisse, o forse le poche ore che mancano alle necessarie scelte e alle loro più estreme conseguenze, dopo le quali ritrovarsi beatificati nella pietra o in dolce attesa di un futuro nuovo e, si spera, finalmente fulgido e luminoso.

Marco Romagna

“Angel's Egg” (1985)
71 min | Animation, Drama, Fantasy, Horror, Mystery, Sci-Fi | Japan
Regista Mamoru Oshii
Sceneggiatori Yoshitaka Amano (story), Mamoru Oshii (screenplay), Mamoru Oshii (story)
Attori principali Mako Hyôdô, Jinpachi Nezu, Kei'ichi Noda
IMDb Rating 7.7

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