23 Novembre 2015 -

TAG (2015)
di Sion Sono

La vita è surreale, non lasciate che vi consumi!
Sur
Sion Sono, TAG

L’incipit, soprattutto se spiazzante e folgorante, può risultare decisivo nell’intera economia di un film. Lo sa bene il cineasta nipponico Sion Sono, che già con Suicide Club era stato capace di lanciare in medias res un suicidio di massa di studenti e studentesse in metropolitana, evento folle e imprevedibile, deflagrazione inaspettata e meravigliosamente industriale di sangue e ferraglia. La sequenza d’apertura di TAG (titolo giapponese Real Oni Gokko) si pone invece sin dalla primissima inquadratura come sorta di controcampo pop di Shining: la ripresa ascendente con la quale l’elicottero di Kubrick seguiva l’auto guidata da Jack Nicholson verso l’Overlook Hotel, diventa qui un drone che sale anticipando un pullman in gita scolastica. Ma ben presto l’afflato del film si dimostra piuttosto quello del puro cinedelirio del Sol Levante, insofferente alle strutture classiche, smaccatamente cinefilo e sempre pronto a far esplodere il proprio nonsense surreale, convulso e postmoderno che in realtà nasconde fra le righe ben più di una lettura -spesso sarcastica fino ai limiti del caustico- della realtà o di una qualche specifica problematica che viene così messa alla berlina, parodizzata e ridicolizzata. Questa volta la follia anarchica di Sono si spinge ad immaginare come inizio del film un vento fortissimo e inspiegabilmente assassino, il pullman letteralmente segato a metà insieme a tutte le studentesse, il battesimo nel sangue come “nuova vita” per l’unica superstite Mitzuko, sopravvissuta accidentalmente perché chinata a terra e poi capace di scappare al nemico invisibile.

Una trovata folle quanto lucida, irresistibilmente spassosa, che riporta alla mente, al di là dell’inesorabilità degli inseguitori assassini, l’ottimo It Follows presentato al TFF dello scorso anno: dove David Robert Mitchell con il suo secondo lungometraggio parlava, nemmeno troppo velatamente, di AIDS, Sion Sono metaforizza con TAG l’arrivo delle mestruazioni e i fisiologici scompensi ormonali, rivelando sin da subito tutta l’indole smaccatamente femminista dell’opera. Ma ancora, seguendo la protagonista, cambia lo scenario, ci si ritrova catapultati in una realtà parallela, e poi un’altra ancora, sempre in fuga e sempre in crescita. E si finisce per ritornare, per l’ennesima volta, alla similitudine fra i due “cavalli pazzi” nipponici Sion Sono e Takashi Miike: TAG segue di un anno il miikiano As the Gods Will, in un certo senso riprendendone la struttura narrativa e parte delle tematiche, dal videogame al manga, dai continui cambi di registro al coming of age adolescenziale, ma senza dimenticare di conservare sempre una propria smaccata originalità. Quelli che nel film di Miike erano i livelli di un videogioco, in TAG sono le sette realtà parallele messe in scena. In una profusione di trovate parossistiche ed esplosive iperboli narrative, TAG si rivela un film splendidamente eretico, imprevedibile, che procede sfacciatamente per accumulo nel ragionare sulla surrealtà della vita.

Che sia il vento, che siano le insegnanti che sparano sulla classe (e torna ancora Takashi Miike, con il suo professore-serial killer de Il Canone del Male), che sia un coccodrillo, che sia una maratona, che sia un matrimonio combinato o che si tratti semplicemente di essere (s)oggetto di desiderio sessuale, i “nemici” ipotizzati dal regista nei vari mondi vanno sempre a colpire Mitzuko nella propria femminilità, nel suo passaggio a donna, e non sono certo casuali i suoi cambi di aspetto e identità quando si ritrova davanti a uno specchio: come viene ricordato più volte, “Ogni donna rinasce”. E infatti quasi tutto il film -ad esclusione del finale- è ambientato in un mondo di sole donne, nel quale la scuola, la pubertà, la morte, il matrimonio, lo sport e l’avventura sono al contempo le prove da superare e le aspettative degli altri nei confronti della protagonista. L’unica incursione maschile in questo mondo è rappresentata dal marito al momento del matrimonio, ma non si tratta di un uomo, non ha un volto né una voce: è un corpo con la testa da maiale, citazione pasoliniana (Porcile, 1969) per suggerire che tutti gli uomini, in realtà, sono porci, egoisti, avidi. Del resto, anche nel finale, i maschietti non fanno certo bella figura, avviluppati in una natura bestiale di voyeur manipolatori, che basano la propria vita sullo sfogo degli istinti: il cibo, il gioco, il sesso. Sion Sono in TAG osa, mescolando avidamente l’horror con la commedia, la fantascienza con lo splatter, il thriller con il videogame, senza però dimenticare di girare ancora attorno alle tragedie giapponesi che tanto hanno condizionato la sua vita e la sua ultima filmografia. “Un’onda può sconvolgere la vostra vita”, ricorda infatti Sur, riuscitissimo personaggio che deve il proprio soprannome alla propria surrealtà, amica di Mitsuko in ogni mondo e sorta di guida spirituale per l’intero lungometraggio.

Ma Sono non rinuncia nemmeno alla propria cinefilia, profonda quanto critica e pungente, e fra i sospiri-omaggio al cyborg di Tsukamoto, all’horror di Kubrick e alle già citate produzioni action-surreali miikiane non dimentica di inserire le ormai abituali frecciate contro quella Hollywood che ha sempre trovato sempliciotta ed invasiva. Ecco quindi nella sequenza in chiesa la puntuale parodizzazione di Kill Bill, sua vittima preferita sin dai tempi di Why Don’t You Play in Hell?, ma anche un geniale passaggio nel quale la piuma di Forrest Gump si trasforma, con il sangue, nella pioggia di petali di American Beauty. Ma la cinefilia non finisce qui: non manca infatti, fra le righe, uno studio sulle potenzialità e sui limiti del cinema digitale, sfruttato e al contempo sbeffeggiato con una computer grafica volutamente, e necessariamente, votata al kitsch più estremo. Merita poi particolare attenzione la gestione delle musiche. È infatti il languido post rock della band giapponese dei Mono ad accompagnare la maggior parte del lungometraggio: scelta spiazzante, per chi conosce Sono, equidistante fra le proprie abitudini classiche (Mozart, Beethoven, Chopin) o smaccatamente pop (su tutti il musical rap Tokyo Tribe), quanto splendidamente azzeccata, una scelta che conferma la capacità sublime del regista nel comporre le colonne sonore. Le musiche passano infatti dalla sfera ironica a quella emozionale, cullano dolcemente lo spettatore in un contrasto solo apparente con la miriade di informazioni e spunti che vengono proposti, quasi lo guidano, segnalando e impreziosendo i passaggi più riflessivi. Ma il tempo lasciato per riflettere, in realtà, non è molto, perché TAG è un film che corre, veloce e costante, come la propria protagonista. Ma non è una fuga, piuttosto una corsa a perdifiato per arrivare prima, vitale, spassosa, ritmata. Del resto, da Himizu a Why Don’t You Play in Hell?, da Love Exposure ad Hazard, fino al recentissimo Shinjuku Swan, gli adolescenti nel cinema di Sono hanno sempre corso, da o verso qualcosa, sudati, a volte insanguinati, ma sempre vivi. Di corsa verso la propria esistenza, trafelati, divertiti, felici. TAG è, anche per questo, l’ennesimo film imperdibile: pulsante, divertente, intelligente, avviluppante, a lunghi tratti entusiasmante. L’Holy Motors femminista e postmoderno di Sion Sono.

Marco Romagna

“Tag” (2015)
85 min | Action, Fantasy, Horror | Japan
Regista N/A
Sceneggiatori Yûsuke Yamada (based on the original story by)
Attori principali Reina Triendl, Mariko Shinoda, Erina Mano, Yuki Sakurai
IMDb Rating 6.3

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