30 Agosto 2023 -

LOS OCÉANOS SON LOS VERDADEROS CONTINENTES (2023)
di Tommaso Santambrogio

Non è certo un caso che inizi con la meta-messa in scena di una separazione, la versione lunga di Los océanos son los verdaderos continentes con cui Tommaso Santambrogio, milanese di nascita ma da tempo residente a Cuba, firma il suo esordio al lungometraggio di finzione con cui espandere in altre due generazioni costrette a separarsi l’omonimo corto che nel 2019 lo aveva rivelato alla SIC@SIC di Venezia. Una sequenza, la prima fra diversi momenti di grande cinema nel lentissimo allontanarsi delle chiatte che galleggiano sotto lo sguardo vigile del pubblico abbarbicato lungo le sponde del fiume, con cui l’autore guarda sin da subito allo stile e alla poetica di Lav Diaz, vero e proprio mentore di Santambrogio fra le reciproche produzioni, il ruolo del filippino come interprete del precedente medio Taxibol e quelli dell’italiano come assistente alla regia su diversi set diaziani. Un’affinità che non è semplice derivazione manieristica, ma semmai condivisione e partecipazione, quasi una naturale conseguenza, e che si spinge ben oltre le dilatazioni linguistiche, i pianisequenza in campo lungo e la straordinaria cura fotografica del simile e abbacinante bianco e nero digitale, per rispecchiarsi anche nella gestione alternata dei diversi filoni narrativi, nei palcoscenici che aprono a nuove rappresentazioni, nella ricerca di simboli e riferimenti culturali (l’uccello in gabbia, ma anche il non-davvero-cambiare del Gattopardo), e soprattutto nell’umanità che, anche nella più cupa e disillusa afflizione, non permetterà mai all’ultimo flebile vagito di speranza di spegnersi del tutto. Il resto lo fa la stessa Cuba già messa in scena nel corto che seguiva solo due fra i sei protagonisti. Una Cuba lontana dalle rotte turistiche, ma anzi di provincia, lontana da tutto, poverissima e malinconica nei suoi muri scrostati e nelle sue strutture forse sarebbe meglio dire pericolanti che fatiscenti. Una Cuba falcidiata forse più ancora de L’Avana dai decenni di embargo statunitense, specchio di quell’inquietante 8% di popolazione che solo nell’ultimo anno e mezzo ha lasciato, forse per sempre, l’isola caraibica nel più imponente flusso migratorio della sua Storia. Eppure Santambrogio non sembra voler prendere posizione sulle manifestazioni e contromanifestazioni in corso da più di due anni fra chi si schiera oramai fra i dissidenti e chi invece ancora scende in piazza a sostegno della Rivoluzione del ’59 e contro le sanzioni. La sua San Antonio de los Baños è anzi al contrario in qualche modo fuori dal tempo, cristallizzata in un (eterno) presente in cui ieri oggi e domani finiscono inevitabilmente per ritrovarsi nelle medesime aspirazioni, nelle simili frustrazioni, nelle analoghe malinconie. Nello stesso identico immobilismo. Che si sia bambini che sognano di giocare sul diamante di New York per gli Yankees mentre il loro padre è costretto a emigrare da solo in cerca di fortuna, che si sia una coppia di artisti trentenni che si ama ma sa già di essere destinata a separarsi al momento dell’agognato trasferimento di lei in Italia, o ancora che si sia una vedova ormai anziana che rilegge ogni giorno le lettere dal fronte di Resistenza del marito, (sempre meno) entusiasta Internazionalista dell’Operación Carlota caduto in Angola mentre dava supporto alla locale Rivoluzione.

Un’apparente equidistanza che, va detto, è forse il principale limite del film di Santambrogio, indiscutibilmente affascinante eppure a tratti forse ideologicamente un po’ ambiguo fra l’antimperialismo rivoluzionario e qualche più o meno velata critica anticastrista (le difficoltà burocratiche per poter viaggiare, per esempio, oppure la volontà più o meno comune a tutti i personaggi di abbandonare Cuba per cercare una nuova vita, ma anche la nostalgia per un marito morto in una battaglia voluta da Fidel Castro per esportare la Rivoluzione, o ancora la fascinazione giovanile per gli Stati Uniti e le auto di lusso simbolo stesso del Capitale), tanto più in un momento storico di particolare ridiscussione nel quale sarebbe forse stato necessario non limitarsi a un affresco multigenerazionale sulla quotidianità ingabbiata e sulla dolorosa necessità del distacco, ma al contrario apertamente sbilanciarsi, puntando il dito su una politica internazionale punitiva e sempre più ingiustificabile nei confronti di un’isola sì ancora impostata sul modello socialista, ma oramai sempre più lontana, nella consuetudine e nel pensiero, dai tempi della crisi missilistica e della Baia dei Porci. Come pure, in Los océanos son los verdaderos continentes, forse non proprio tutto funziona alla perfezione nello scorrere della narrazione, con sprazzi di meraviglia e picchi emotivi alternati ai momenti di stanca di una parte centrale non esente da qualche ripetitività, con diverse suggestioni anche interessanti (l’immaginare i luoghi e le situazioni che il passaporto troppo debole preclude alla vista, le possibili forme di rappresentazione troppo smaccatamente locali o che sarebbe possibile portare in giro, la trasformazione del teatro in cinema con l’idea di riadattare lo spettacolo, o ancora la magnifica sequenza in cui in un cinema in rovina si immagina di rivedere, citandolo a memoria, Ociel del Toa del pioniere cubano Nicolás Guillén Landrián) messe sul piatto ma di fatto destinate a rimanere singole pennellate, promesse di fatto non mantenute che, ad eccezione dello spettacolo di burattini e narratore lungamente preparato e alla fine messo in scena con più di uno sguardo al teatro Bunraku giapponese, non verranno più riprese. Proprio come, a ben vedere, i soli personaggi realmente capaci di una qualche progressione personale e nel loro rapporto saranno i due artisti costretti a lasciarsi pur amandosi alla follia, mentre per l’anziana venditrice di chicharronés che rappresenta la separazione mai risolta dal passato l’evoluzione sarà esclusivamente emotiva (anche se il suo climax mentre procede nella memoria deflagrerà in un pianto fra le lettere amorevolmente stese dopo che la pioggia in casa le ha bagnate che è probabilmente il momento in assoluto più alto del film), e per i bambini, che pure stanno formando sulla propria pelle una nuova consapevolezza mentre vivono la separazione del presente dal padre e già sognano la separazione futura con il loro trasferimento negli States, non sembra ancora essere venuto il tempo di volere (o potere) realmente cambiare. O magari sì, dipende solo da chi effettivamente salirà su quel treno, lungamente aspettato e ora finalmente visibile sui suoi binari, mentre per la prima volta tutti i protagonisti, insieme ad altri paesani tutti diversi e tutti uguali, si ritrovano per la prima volta insieme sulla stessa banchina: chi parte e chi resta, chi rimane fedele a un ideale e chi fugge, chi ricorderà per sempre e chi forse, ma più probabilmente no, da oltre quegli Oceani (che per un’isola sotto embargo non possono che essere i veri continenti) prima o poi potrà dimenticare. È per questo che sarebbe profondamente ingeneroso, tanto più nell’asfittico orizzonte degli esordi italiani, lasciare troppo spazio alle perplessità di fronte a un film dall’idea di cinema così chiara, e forte di decine di momenti dalla bellezza stordente (non solo le già citate lacrime della terza età, gli spettacoli teatrali e il cinema diroccato, ma anche le luci del campo da baseball accese la notte dai bambini, le grotte in cui fare il bagno abbracciati, il passaggio dell’uragano che trasforma ogni strada in fiume, le foto riguardate all’infinito nel terrore di finire nell’oblio). Presentato al Lido di Venezia come apertura delle Giornate degli Autori 2023, Los océanos son los verdaderos continentes è semmai un film che viene naturale e che è giusto difendere ben al di là delle sue imperfezioni e dei dubbi che può lasciare. L’ennesima prova di un talento registico forse non ancora del tutto sbocciato – Tommaso Santambrogio, classe ’92, è del resto un cineasta ancora molto giovane – ma sempre più evidente, cristallino, prezioso. Tanto nelle illustri collaborazioni, non solo con Lav Diaz ma anche con Werner Herzog, quanto in un percorso di crescita in solitaria che è impossibile ignorare, e del quale non si può che attendere estremamente fiduciosi il prossimo capitolo.

Marco Romagna

“Los océanos son los verdaderos continentes” (2023)
119 min | Drama | Italy / Cuba
Regista Tommaso Santambrogio
Sceneggiatori Tommaso Santambrogio
Attori principali Alexander Diego, Edith Ibarra, Frank Ernesto Lam
IMDb Rating N/A

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