3 Marzo 2023 -

LE MURA DI BERGAMO (2023)
di Stefano Savona

Sapeva perfettamente di dover camminare sulle uova Stefano Savona quando, nel marzo del 2020, nei primissimi giorni “europei” di pandemia, insieme a un nutrito gruppo di suoi ex-studenti del CSC di Palermo ha deciso di far posare gli occhi meccanici delle macchine da presa su Bergamo prima e più gravemente colpita fra le città occidentali. Un lavoro estremamente rischioso, sia dal punto di vista sanitario, con l’ovvia necessità di essere fisicamente presenti nella città e fra le corsie d’ospedale del maxi-focolaio da cui il Coronavirus del quale ancora non si sapeva nulla se non i dati sull’estrema contagiosità e letalità in una pressione sanitaria insostenibile per qualsiasi struttura, sia dal punto di vista dell’etica cinematografica, inevitabilmente protesa a lambire il non filmabile e il non mostrabile del dolore e della morte senza nemmeno più il filtro dei disegni animati di Simone Massi che puntellavano di immagini mancanti il precedente Samouni Road. È probabilmente per questo che non vuole in alcun modo essere un instant movie con cui documentare la tragedia, Le mura di Bergamo. Non vuole essere un lavoro giornalistico e puntuale, ma esattamente all’opposto un lungometraggio dilatato e smaccatamente cinematografico, non un documentario sull’emergenza e sulla morte ma al contrario sulla rinascita e sui tempi necessari per tornare alla vita. Un film orgogliosamente corale sulla vicinanza e sul bisogno di (lasciare) spazio, sul dilemma morale e sulla giusta distanza fra il dolore e la liberazione di un ricordo. Tanto che, della fase più acuta della pandemia, di quel momento in cui il virus sconosciuto nato in Cina e destinato, dopo Wuhan, a mettere in ginocchio l’intero pianeta stava infuriando sulla città orobica portando via oltre 6000 persone, Savona inserisce nel film tutto sommato poco, giusto la prima mezz’ora, in cui la tragedia viene raccontata attraverso i ripetuti tentativi di trovare il giusto sguardo, delicato e profondamente rispettoso nei confronti dei medici, dei pazienti e dei parenti che ogni giorno si ritrovavano a perdere un affetto senza nemmeno potergli stare vicini. Con una reale e struggente partecipazione umana del tutto scevra di qualsiasi volontà di spettacolarizzazione o di ricatto emotivo, che va a cercare l’accudimento anche sentimentale dei medici nei confronti dei pazienti forzatamente soli, il dolore e le difficoltà psicologiche di chi deve meccanicamente decidere in base a calcoli statistici e protocolli ministeriali se «investire tutto» su un paziente facendolo ricoverare in uno dei rarissimi letti oppure lasciarlo andare via il più serenamente possibile in casa nell’affetto della famiglia, ma soprattutto le carezze attraverso i guanti e gli abbracci attraverso i camici, le parole appena percepibili negli assordanti silenzi, lo strazio delle campane che duettano per le strade deserte con le sirene delle ambulanze.

Dopo l’iconica e struggente immagine dei camion dell’esercito che portano via i troppi cadaveri per le possibilità crematorie della città orobica, quello che realmente interessa intercettare a Savona nei centotrentasette minuti senza un solo istante o una sola inquadratura di troppo de Le mura di Bergamo sarà anzi la faticosa ricerca di una nuova quiete dopo la tempesta, saranno le finestre che timidamente si riaprono al mondo, saranno i ritorni a casa di chi è guarito – magari solo, magari sconfortato, magari con un figlio cresciuto che stenta a riconoscere il padre, ma ancora vivo e pronto ad andare avanti. Sarà la necessità di ricominciare, sarà la solidarietà cittadina, sarà l’elaborazione collettiva del lutto. Sarà il bisogno di rimuovere il dolore ed è quello di ricordare le persone, sarà il vuoto da riempire ed è il ritorno alla vita, sarà quello che rimane ed è quello che è necessario continuare a non perdere nonostante tutto, nonostante la morte, nonostante il trauma, nonostante il senso di smarrimento. Nonostante quel groppo (ir)risolvibile di malinconia così difficile da metabolizzare, ma che in qualche modo sembra progressivamente allentarsi nel graduale recupero della socialità, nella condivisione, nel fare la propria parte, nelle parole e nella memoria. Del resto nient’altro sono che memorie anche i frammenti di home movies con cui Stefano Savona decide di punteggiare il racconto. Immagini che sono fantasmi e sorrisi di un passato intrappolato su celluloide, a tratti quasi astratto nella concretezza delle imperfezioni materiche delle vecchie pellicole in 8mm e Super8, che costantemente reinquadrano e ricompongono il loro significato nell’accostamento con le riprese del presente, con le corsie d’ospedale, con le tute dei disifestatori, con le spese da portare a casa, con le funzioni religiose nei cimiteri, con le riunioni sui prati, con le telefonate preoccupate e poi commosse, con la crescente consapevolezza e con i sorrisi che ricominciano a dipingersi sui volti. Forse sono le prime apparizioni da bambini di chi da quei giorni sopravvive solo nei ricordi e negli album di foto, quei vecchi filmati a passo ridotto, o forse sono più generici momenti di vita e di gioia da contrapporre alla morte, immagini scomposte come i corpi malati e le famiglie spezzate, o ancora i giovani baci in riva al mare così lontani dal lockdown, dal distanziamento, dalla paura, dal rapido e continuo succedersi di lutti. «In archivio ho tutto quello a cui abbiamo dovuto rinunciare: feste, vicinanza, famiglia…» dirà non a caso la titolare dell’agenzia di pompe funebri determinata a «restituire l’umanità» a chi, dolorosamente e forzatamente, nell’emergenza ha dovuto gestire come numeri. Fino a interrogarsi direttamente sull’etica dello sguardo, fra l’antica usanza di fotografare abitualmente i cadaveri per poi filmare i funerali e l’attuale pudicizia per la quale la morte è una sorta di tabù, rotto nei momenti più tragici da qualche richiesta specifica di poter vedere per un’ultima volta il caro estinto in piene restrizioni, quando non era possibile recarsi in obitorio e non c’era alternativa all’immediata cremazione.

Un lavoro non tanto storico quanto sociale, fatto di quasi due anni di riprese e inseguimenti corali dei tanti cittadini protagonisti fra volontari, medici, agenzie di pompe funebri ed eterogenei gruppi di ascolto, con cui Savona espande gli orizzonti cinematografici del documentario pandemico verso il ritorno dell’umano, verso la sensibilità delle persone colpite dalla tragedia, verso il reciproco aiutarsi a (ri)vivere. Verso il nuovo spiccare il volo di quell’uccellino che si è perso in magazzino e che verrà liberato dai bambini. Feriti nel profondo ma ora di nuovo in piedi, magari ancora tristi ma senza dubbio orgogliosi della propria città e della risposta dei propri concittadini, del mutuo soccorso, dell’esserci sempre e comunque, etici e umanissimi. C’è chi ha perso (o quasi si sente in colpa per non avere perso) amici o parenti, ci sono i medici giovani e anziani che con la pandemia hanno rivoluzionato la loro vita, ci sono i sacerdoti che hanno dovuto chiudere le chiese ma non hanno mai perso il contatto telefonico con i fedeli e ora celebrano funerali provvisori distanziati all’aperto al cimitero. Ci sono gli Ultras della Curva Nord dell’Atalanta sin dall’inizio in prima linea nel raccogliere e distribuire aiuti e generi di prima necessità. Ci sono gli ex-centralinisti della fase emergenziale, ci sono i figli che hanno perso entrambi i genitori, ci sono i diversi livelli di elaborazione con cui dover necessariamente fare i conti. Ci sono le manifestazioni di rabbia contro la disastrosa gestione dell’emergenza da parte della Regione Lombardia di Fontana (di recente rieletto, a dimostrazione di come la memoria degli elettori possa essere molto labile) e dell’assessore Gallera, ma soprattutto ci sono i supporti psicologici, il raccontare (e riferire) come terapia contro il dolore, le premure verso il prossimo e la più totale etica con cui tendergli la mano, la partecipazione di un’intera comunità per potersi rialzare tutti insieme dopo le lacrime e lo shock. Al punto che appare profondamente simbolica la decisione di concedere la prima italiana, un paio di settimane dopo la presentazione fra gli Encounters della 73ma Berlinale, proprio al 41mo Bergamo Film Meeting che dall’11 al 19 marzo torna finalmente a pieno regime dopo l’edizione numero 38 cancellata a pochissimi giorni dalla partenza nel tragico marzo del 2020, mentre dalle vie limitrofe all’Auditorium incominciava e si espandeva un incubo che, dopo avere già messo in ginocchio Wuhan e fatto blindare ampie zone della Cina, di lì a poco sarebbe diventato mondiale. Un’anteprima che anticiperà solo di pochi giorni l’uscita in sala già calendarizzata dal 23 marzo con Fandango, con la quale ribadire ancora una volta il senso di riappropriazione che, molto più della tragedia, Le mura di Bergamo vuole raccontare. Quella di una città, con la sua profonda dignità e con il ritorno alla normalità anche degli eventi che la animano, nei quali ancora una volta raccontare e raccontarsi, cucire insieme brandelli di memorie, rendersi conto di essere finalmente riusciti a metabolizzare e di aver superato il trauma, o per lo meno di essere definitivamente in grado di conviverci, in qualche modo finalmente sereni.

Marco Romagna

Ci è gradito comunicare che il film LE MURA DI BERGAMO di Stefano Savona, distribuito da Fandango, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI
Motivazione
“Stefano Savona conferma la capacità di raccontare il trauma che da personale si fa collettivo e mostra Bergamo come una città lacerata esattamente come il corpo dei suoi abitanti. Un lavoro complesso, stratificato, che scava nella memoria dolorosa del recente passato senza mai trasformarsi in cronaca del dolore, ma suggerendo la necessità della memoria”.
(uscita 23 marzo 2023)
“Le mura di Bergamo” (2023)
137 min | Documentary | Italy
Regista Stefano Savona
Sceneggiatori Stefano Savona
Attori principali N/A
IMDb Rating 6.5

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