28 Maggio 2017 -

DOPPIO AMORE (2017)
di François Ozon

François Ozon. L’amant double.
Un UFO nel concorso.
Un film lucidamente confusionario, e questa recensione (recensione?) dovrà somigliargli.

La magnifica Marine Vacth – che era già stata Giovane e bella – ha bisogno dello psicanalista per risolvere dei problemi che sono più di pancia che di testa: la ragazza accusa forti dolori allo stomaco. Si parte subito con una licenza poetica, qualcosa che potremmo chiamare “illogicità creativa”. Si imbatte nel fascinoso Jérémie Renier – che è stato Enfant per i Dardenne, palma d’oro nel 2005 – il quale, dopo un paio di sedute, l’avvisa non potere più averla in cura perché un sentimento crescente rende inapplicabile la deontologia professionale.
Si baciano dieci secondi dopo.
Segue focoso (e convenzionale) tourbillon, fra Chloé e Paul, ricchissimo di eros ma anche di sincero innamoramento, che procede spedito fino al giorno in cui lei, tornando dal lavoro (è watchwoman in una galleria d’arte contemporanea che più contemporanea non si può), vede dal finestrino il suo compagno che si intrattiene con una donna. Dimostratasi già patologicamente gelosa, la giovane perviene alla convinzione che il dottore nasconda qualcosa, e si mette a indagare, di nascosto. E niente di meno scopre che il bel Paul ha un gemello che fa lo stesso mestiere, ma è rude, cinico, erotomane, insomma, il doppio malefico dell’apparentemente “buono” Paul, ma siccome tutto il film è un gioco di specchi, di opposti e di contrarietà, pian piano emergono dell’uno le debolezze e dell’altro i punti di forza. E quindi i due gemelli si ribaltano, si riflettono, si confondono. E da questa violenta polarizzazione è schiacciata Chloé, che nel frattempo è finita a letto (e anche con un certo trasporto) pure con l’altro gemello.
Immancabile la gravidanza, che però rivela una sorpresa.

Ozon era reduce da Frantz, un bel film che era in concorso a Venezia e che non sembra girato dallo stesso regista de L’amant double, un melodramma in costume, in tono minore, un candido bianco e nero interpolato da alcune parentesi a colori che volevano sottolineare i momenti di lirismo, il riaffiorare della memoria (un po’ alla Heimat, ma con le dovute proporzioni).
Adesso ricompare con questo zibaldone cinematografico, thriller erotico psicologico di vertiginosa ipertrofia, dove dentro c’è tutto e il doppio di tutto e il contrario di tutto.
Fin dalle prime battute, L’amant double è imbottito di una simbologia un tanto al chilo che fa storcere il naso più di quanto già non facciano le (terribili) sovrimpressioni della scena del primo colloquio: il “3” del triangolo amoroso di là da venire che è il numero civico dello studio del gemello “cattivo”; la pianta nella sala d’attesa, entrambi i gemelli ne hanno una ma quella di Paul fiorisce dal terriccio e quella di Louis è finta; l’atroce sequenza onirica del ménage à trois che sfocia in una doppia testa di lei; fino alla carrellata nella galleria dove lei lavora, che la precede fino a incorniciarla in un vero e proprio bosco di corna, costituite da una installazione arborea presente in una delle sale; lo specchio che moltiplica la figura quando accuratamente disposta dentro lo spazio scenico.

L’amant double, in uscita in Italia con il titolo Doppio amore, man mano che si tesse l’ordito narrativo, e – va detto – nell’incedere delle continue sequenze di nudo, prende derive ancora più inattese. In sala c’era elettricità, il momento mi ha ricordato la proiezione stampa veneziana di Spring Breakers, un film che ha la sua detonazione dopo un avvio ingannevole, e che più andava avanti più faceva diventare la poltrona una graticola. Allo stesso modo, ricordo che a ogni sussulto del film di Ozon io mi aggrappavo al bavero dell’amico e collega Raffaele Meale, ci facevamo una grassa risata e imbastivamo il passatempo del momento: indovinare la citazione. Sono venute fuori cose di Twin Peaks, ma addirittura copie abbastanza conformi da Face Off, e poi addirittura di Alien, ma non si può svelare altro. Perché sta anche qui il godimento, soprattutto quando perverso, figlio di una cinefilia ormai giocosamente masochistica.
Quello, massacratissimo, di Ozon, è un film che come prima reazione, durante la visione, suscita il desiderio di penetrare nel laboratorio creativo del suo autore, di essere una mosca vagante nel suo atelier, che possa guardarsi intorno anche solo per cogliere l’entusiasmo di chi ha appena pensato: “Accidenti, a questo punto potrei far vedere i due gemelli quando erano bambini, su un fondo nero, e poi fargli dare un bacino, uno da un lato e uno dall’altro, a una sorridente Chloé”. E poi, seguitare a osservarlo, per vedere con quanta sfrontatezza decide, insieme all’aiuto regista, che questa pensata oscenamente kitsch passerà il vaglio della decenza e finisca nel final cut.
Eppure, nelle sue massime filosofico-psicologiche da quattro soldi e nelle sue continue cadute di stile, nelle sue trovate visive da erotomane smanettone e nella sua irresistibile comicità involontaria, L’amant double è in un certo senso il vero guilty pleasure di Cannes 70, basta prenderlo per il verso giusto. Come dice scherzando ma non troppo il nostro fondatore, Marco Romagna, “è uno di quei film che fanno il giro, perché sono così brutti da diventare bellissimi”. Anche se, in questo caso, il teorema è forse applicabile solo in parte, visto che Doppio amore è un film che ha la sua bellezza proprio nella sfacciata volontarietà della sua bruttezza.
È un film ostinatamente osceno, insomma. E quindi imperdibile.

Elio Di Pace

“The Double Lover” (2017)
107 min | Drama, Romance, Thriller | France / Belgium
Regista François Ozon
Sceneggiatori Joyce Carol Oates (novel), François Ozon (screenplay), Philippe Piazzo (collaboration)
Attori principali Marine Vacth, Jérémie Renier, Jacqueline Bisset, Myriam Boyer
IMDb Rating 6.6

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