8 Settembre 2018 -

INTRODUZIONE ALL’OSCURO (2018)
di Gastón Solnicki

Quanto può rimanere di un uomo nei luoghi nei quali ha vissuto? E quanto l’amicizia, la memoria e la sensibilità di chi resta possono renderne meno amara e ingombrante la mancanza? Con Introduzione all’oscuro, ectoplasmico già dal titolo che cita le dodecafonie al contempo fisiche e sfuggenti di Salvatore Sciarrino, il cineasta argentino Gastón Solnicki porta fuori concorso a Venezia75 un film che torna ad addentrarsi nei territori in cui si è sempre mossa la sua macchina-cinema, andando questa volta in giro per Vienna alla ricerca del fantasma del suo “amico più stravagante” Hans Hurch, per vent’anni direttore della Viennale e improvvisamente scomparso per un infarto a soli sessantaquattro anni nel luglio del 2017 a Roma proprio mentre stava visionando i film che avrebbero composto l’ultima “sua” edizione, alla quale drammaticamente non sarebbe mai arrivato. Un’amicizia, la loro, nata dalla comune passione per il cinema e dalla stima reciproca, alimentata dalla simpatia, cementificata dai quasi quotidiani carteggi e dai più sporadici incontri, e ora confluita nella più pura tenerezza, quella di chi non c’è più ma ancora e per sempre vive nei suoi segni e negli altrui sogni, e dall’altra parte quella di chi sente più bruciante la necessità di spingersi alla ricerca di una presenza, di una traccia, di un sentimento sincero che nemmeno la morte possa cancellare. Hans Hurch, personaggio eccentrico nella sua barba incolta e nei suoi capelli costantemente arruffati quanto straordinariamente importante punto di riferimento politico e culturale fra la ricerca cinematografica e le collaborazioni come aiuto regista di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet nella realizzazione di La morte di Empedocle, Schwarze Sünde e Antigone, ha del resto sempre profondamente creduto in Gastón Solnicki e nel suo cinema di mappature e fantasmi, un cinema nel quale la ricerca di barlumi di vita residua laddove la vita non c’è più porta inevitabilmente a trovare se stessi e la propria intimità. Alla morte dell’amico Hans, per Solnicki è stato quasi naturale partire per Vienna e mettere questo cinema sulle sue tracce e al suo servizio, per tentare di farlo rivivere fra l’omaggio e il ricordo, fra la ricostruzione e la presenza, fra la ritualità e la poesia, fra la mancanza e il più puro atto d’amore.

Fatto di simmetrie e di tempi dilatati, di rigorose ma mai fredde inquadrature fisse e di un’intelligente commistione fra il documentario sperimentale e la messa in scena, Introduzione all’oscuro sono le cartoline e le lettere ripetutamente scritte a mano e spedite da chi per scelta non si era mai convertito alle e-mail, è la sua voce che ritorna nelle registrazioni audio spuntate fuori da chissà quale archivio, è il suo radicato antinazismo – altro punto in comune del direttore di Festival austriaco con l’ebreo di origine polacca Solnicki – da sempre declinato nella spasmodica ricerca di un cinema che fosse politico, e sono le sue abitudini anche bizzarre che vengono ora omaggiate e ripercorse dal regista argentino, fra le stoviglie trafugate più per gioco di matericità feticistica che per collezionismo dai più abituali locali e l’immancabile “triplo espresso con latte freddo a parte” che ormai i bar di Vienna chiamano direttamente “Hans”. Il viaggio di Gastón Solnicki è una mappatura di Vienna all’inseguimento di un fantasma, ricerca sentimentale e umanissima di una sua nuova, immateriale, impossibile presenza che possa emergere dal quotidiano, dai carretti musicali degli ambulanti e dalle scatole di cioccolatini delle pasticcerie, passando magari per la paradossale rievocazione dei più tragici eventi bellici fra i carri armati che ancora oggi sfilano per le strade e i finti combattimenti, fra i mirini come gioco di piazza e le raffiche di mitra verso il cielo salutate dall’entusiasmo della folla. Solnicki si sposta fra i luoghi della vita di Hurch alla ricerca di qualcosa che lo ricordi, che lo rappresenti, che gli permetta ancora di esprimersi, di farsi vivo, di farsi “sentire”. Trovando case, strade, chiese, palazzi, parchi giochi, pianoforti, vecchi super8, spezzoni delle Lezioni di Storia di Straub-Hulliet e proiezioni del Mancia competente di Lubitsch che così tanto univa i due nella passione simboleggiando la loro amicizia; e poi, passando per la nuda tomba di Hans, giungendo finalmente alla sua intimità fra il citofono, la casa, la buca delle lettere, gli interni e lo sguardo che torna sull’esterno con la vista dalla finestra preferita. Viene in mente il magnifico O batuque dos astros, con il quale nel 2012 Julio Bressane viaggiava avanti e indietro per Lisbona alla ricerca di Fernando Pessoa, ma per quanto l’operazione possa apparire simile nel mettersi in scena in prima persona e nel girovagare per una città straniera e lontana seguendo un fantasma o per lo meno la sua illusione, c’è una sostanziale differenza fra i due lavori: Bressane cercava un suo idolo mai conosciuto di persona, mentre Solnicki cerca, forse con ancora maggiore emotività e con la maggiore precisione possibile, di riportare in vita un carissimo amico con il quale ha condiviso passioni e viaggi, visioni e ideali, e con cui ora che (non) è troppo tardi condivide per un breve periodo i luoghi e gli oggetti di cui il film va alla costante ricerca come segni di un’esistenza e di una personalità.

Parte dall’astrazione Solnicki, parte dal generale, parte dallo sfocato, e nel procedere del suo viaggio viennese si inoltrerà sempre più nella vita, nell’indole e nel pensiero di Hans Hurch, delineando un quadro sempre più preciso e sempre più presente dell’amico perduto, dall’impressione all’identificazione, dalle sfocature di un’immagine indefinita alla visibilità della pista di pattinaggio su ghiaccio sulla quale sfreccia più o meno tutta la città. Ci sono le mostre da allestire (di dipinti, ma anche del cinema, con il teatro cittadino che ritorna la sala della Viennale spostando le tende del sipario per montare lo schermo) e ci sono le foto di Hans che quasi paiono diventare animazione nella sua corsa nel vento di Cannes. Ci sono simboliche statue funebri di Biancaneve ancora con la mela in mano, ci sono fenicotteri rosa, ci sono campi da coltivare, e c’è la necessità di trovare “qualcosa di più perverso”, negli oggetti che Gastón Solnicki porta via dai luoghi in ottemperanza alle piccole cleptomanie che furono catalogazione e oggetti d’affezione di Hans come nel sostanziale respiro portato in musica dagli strumentisti che suonano l’Introduzione all’oscuro, fino all’interlacciatura dei vecchi VHS che entrano a riportare le immagini indietro di decenni al privato dei matrimoni in Argentina, ricordando ancora una volta il comune feticismo nei confronti delle immagini che ha permesso ai due di incontrarsi, di diventare amici e ora di inseguirsi ancora dopo la morte per rincorrere con la più vibrante sincerità di intenti l’intimità e l’essenza. Fino a quando, nel suono puramente austriaco dei pianoforti locali (anche se ormai facenti parte del gruppo Yamaha: i tempi che cambiano), sembra quasi di sentire ancora una volta la voce di Hans Hurch, sembra quasi di sentire il suo respiro, sembra quasi di percepirne una presenza. Se non altro in Gastón Solnicki, che nel ricalcare abitudini, luoghi e oggetti di Hans analizzandone la figura e la statura culturale e morale trova finalmente se stesso, in una specularità etica e poetica che si fa sempre più sovrapposizione, coincidenza, e quindi vita oltre la morte. Quella di due amici lontani eppure fraterni, quella di chi ha lasciato un segno tracciando un solco e quella di chi in questo solco saprà continuare a camminare con le immagini e con la profondissima umanità che sta alla loro base. Centrando un film piccolo e sublime, tenero e cinefilo, politico e dolcissimo, nettamente fra i maggiori colpi al cuore di questa Mostra numero sessantacinque che ormai volge al tramonto, ma mai all’oblio.

Marco Romagna

“Introduzione all'oscuro” (2018)
71 min | Documentary | Austria / Argentina
Regista Gastón Solnicki
Sceneggiatori Gastón Solnicki
Attori principali Gastón Solnicki
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