16 Ottobre 2016 -

INTO THE INFERNO (2016)
di Werner Herzog

In principio era il fuoco. Quel magma ribollente che distrugge e ricrea, il cratere come bocca verso l’esterno, al contempo fascino magnetico e terrore ancestrale, morte e nuova vita, manifestazione di potenza della natura che si fa aura divina, misticismo, leggenda. A soli pochi mesi dal fascino etereo, inafferrabile e votato allo Spazio di Internet secondo Lo and Behold, con in mezzo la fiction di Salt and Fire in un anno di eccezionale prolificità con ben tre titoli – di cui due capolavori – sfornati, il leggendario cineasta bavarese Werner Herzog non solo torna sulla Terra, ma la penetra fino al suo centro, fino al suo magma, tracciando una parabola sospesa fra la geologia e l’etnografia in grado di trovare la sua poetica nella spiritualità di chi abita intorno ad alcuni fra i vulcani più pericolosi e affascinanti al mondo. Into the Inferno sono i margini del mondo, sono le zone di confine, dove agli spiriti degli antenati si affiancano gli dei, e dove la bocca che sputa fuoco è la diretta manifestazione di chi è (onni)potente, un idolo da adorare e temere quotidianamente. I vulcani sono un filo di fuoco che unisce le Isole Vanuatu con la Corea del Nord dei Kim, fino all’Islanda, all’Africa sahariana, all’Indonesia che guarda al vulcano Merapi con una chiesa cattolica a forma di colomba – “ma sembra una gallina”. Ma soprattutto, Into the Inferno è tutto Werner Herzog, il suo cinema, il suo linguaggio, la riflessione sulla commistione fra documentario e finzione che è sempre stata sua cifra stilistica, declinata però stavolta attraverso le messe in scena autorizzate dal Partito come unico possibile modo per portare via qualche immagine dalla ‘Repubblica’ Democratica di Corea. C’è poi il suo interesse per l’uomo, sempre centrale in ogni ambito affrontato dai suoi documentari, c’è la sua carriera, con il ritorno non solo geografico e tematico a La Soufriere e a Encounters on the end of the World, c’è il suo giudizio nel calcolare i rischi da prendere e da non potersi permettere – “altrimenti saresti finito nel cratere di un vulcano o sbranato da un Grizzly (man)”. C’è la sua inconfondibile voce fuori campo a tenere le fila poetiche e narrative con il solito inglese splendidamente teutonico, e ancor di più ci sono, una volta tanto, i suoi rapporti umani, le sue amicizie sempre rimaste – Klaus Kinski a parte – ai margini, e ora centrali nella struttura di un film costruito insieme al vulcanologo Clive Oppenheimer, già conosciuto ai tempi di Encounters e ora amico sincero con cui collaborare, parlare e confrontarsi, mentre si vola insieme da un cratere all’altro, dieci anni fa come oggi. L’instancabile intervistatore Werner Herzog, stavolta, è fra gli intervistati dell’amico Clive, e non il contrario.

Into the Inferno giunge all’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma portando con sé la Storia e l’uomo, le scienze della Terra e la paleontologia, il magma e la geografia, il modo più intenso di vivere la vita e il cinema sempre in bilico sulla sua instabilità. A latere del footage sublime della coppia di vulcanologi francesi composta da Maurice e Katia Krafft, che si avvicinarono troppo alla loro passione fino a essere spazzati via dalla nube tossica di oltre 400°C che correva a 160 km/h lungo il pendio della Montagna, Herzog mostra gli unici tre vulcani al mondo con l’eterno ribollire del magma esposto e filmabile, si sofferma sul fascino ancestrale del fuoco liquido come se anche la stessa macchina da presa fosse rimasta incantata dai lapilli e dalle esplosioni, da quel magma arancione scoppiettante che corre giù per i pendii, verso il mare, verso la terra. Dalla natura vulcanica delle Vanuatu al Merapi in Indonesia, passando per mezzo mondo fra l’Erebus, l’Heymaey, l’Erta Ale e il Paetku per poi tornare allo Yasur (che fu già fra i “protagonisti” del primo film Vanuatu, quel Tanna premiato alla SIC di Venezia72), Into the Inferno è l’onnipotenza della Natura contrapposta all’impotenza dell’uomo, puntino di fronte all’enormità dei chilometri percorsi dai lapilli e dalle colate, ma è anche la necessità di una convivenza, e quindi un accurato viaggio nei continui rilevamenti dell’attività sismica, dei fumi, dello stato dei crateri destinati ad allargare la propria circonferenza in caso la lava si stesse portando pericolosamente verso la superficie. Into the Inferno sono i morti di fronte alle eruzioni, ma anche quelli che la scienza ha saputo salvare, e poi ancora quel vulcano, La Soufriere in Guadalupe, rimasto inesploso nel ’76 mentre Herzog filmava non tanto le 70mila persone sfollate, quanto quell’unico abitante che si era rifiutato di lasciare la propria casa, nel vagito definitivo della sua estrema dignità e appartenenza a quel luogo in cui era nato e vissuto, e nel quale ora attendeva la morte fra indifferenza e canti verso l’obiettivo.

I vulcani, del resto, “sono il luogo dove abitano gli spiriti”, il luogo a cui le statue fatte erigere dal Presidente Eterno – e ormai semidio nella propaganda e nelle convinzioni da cervello lavato nordcoreane – Kim Jong-il guardano con gioia come simbolo della resistenza contro il Giappone, il luogo dove si sono uniti il Sultano di Giakharta e la Regina del Mare, il luogo che “il salvatore” John From usa come porta fra le Vanuatu e gli Stati Uniti, il luogo in cui si apre il testo principale sul quale è stata in sostanza fondata l’Islanda, fra “mari di fuoco” e zampilli infiniti. Into the Inferno, nel suo viaggio intorno ai vulcani, indaga e trova risposte, si sofferma e rimane incantato, racconta storie e mostra strumenti e organizzazione nel tentare di prevenire le tragedie, ma quello che realmente interessa a Werner Herzog, più che al ‘socio’ Clive Oppenheimer, sono ancor più che i vulcani stessi le persone che gravitano intorno ai crateri, il loro misticismo, i loro riti e le loro paure, fra riusciti intenti etnografici e, ancor più, puro umanismo. L’uomo è destinato a perdere di fronte alla potenza della natura, e non può che rifugiarsi nella superstizione, nella leggenda, nella fede. È il vulcano stesso, con la potenza pressoché infinita del suo ruggito e dei suoi spruzzi infuocati, a scatenare un tourbillon di credenze e profonda spiritualità, diversa e uguale intorno a ogni bocca, intorno a ogni cono, intorno a ogni lago vulcanico, compresi quelli inattivi da oltre mille anni, sui quali però, oltre a rimanere vigili gli occhi e gli strumenti dei tecnici internazionali, sopravviveranno imperiture ai tempi tutte le religiosità annesse al punto d’unione fra il potere divino e quello terreno. Into the Inferno è a modo suo una nuova declinazione dello sturm und drang teutonico, l’unione fra l’estrema razionalità e l’avanzare inarrestabile delle emozioni a renderla impossibile, fra il fascino misterico, la reverenza e il terrore che qualsiasi vulcano porta con sé. Del resto, è altamente probabile che circa 74mila anni fa l’umanità sia stata pressoché decimata da una gigantesca esplosione vulcanica in Indonesia, e che solo miracolosamente la nostra specie si sia salvata dall’estinzione e ripresa, ripopolando il mondo. A oggi, però, questa teoria non è ancora suffragata da sufficienti evidenze scientifiche, e nell’inseguimento di queste Herzog e Oppenheimer si sono spinti fino in Etiopia, sulle pendici del vulcano Erta Ale e fino al suo magma direttamente esposto verso il cielo, imbattendosi nella spedizione paleontologica guidata dal geniale professor Timothy White di Berkeley, irresistibilmente cinematografico nella sua contagiosa simpatia, nei suoi tempi comici e nel suo spirito splendidamente giocoso nell’approcciarsi alla scienza e alla ricerca. È uno yankee puro, la versione di scienza del Duvall di Apocalypse now, e nessuno si sorprenderebbe a vedergli tirare fuori dal nulla una tavola da surf. Al momento dell’arrivo della troupe, la spedizione stava scoprendo e trovando frammenti perfettamente fossilizzati di uno dei rarissimi scheletri di ominide, il terzo in tutto, giunti fino a noi da 100mila anni fa, silicizzata grazie alla lava e alla sabbia che ne hanno ricoperto le ossa. Alla fortuna di Herzog di trovarsi nel momento giusto al posto giusto, corrisponde la fortuna della spedizione nell’essersi imbattuta in resti così rari. Del resto, come ricorda il paleontologo, “La ricerca è un misto di competenza e fortuna, è come puntare e tirare i dadi, è come a Las Vegas: viva Las Vegas”. Ma poi, dopo le risate, è ancora la lava, il suo presagio funereo, come sangue in ebollizione mentre l’uomo nuovamente sparisce di fronte alla Natura, insignificante, insulso. Condannato, probabilmente.

Guardare un vulcano è come guardare direttamente il sole, è calore, è luce, è Dio. Unione di antropologia, misticismo e scienze, Into the Inferno è un detour fra le bocche più calde del mondo e fra le popolazioni che con loro convivono, fra antichi riti a rimembrare il passato cannibale e petali concessi in offerta alle divinità che abitano il cono di fuoco. Una caratteristica, quella dell’unione fra razionale e irrazionale fino a giungere al mistico, che forse avrebbe trovato terreno fertile anche poco più a sud rispetto a dove il film ha trovato l’anteprima italiana, in quella Napoli – e ancor di più Pompei, Ercolano, Portici, Somma Vesuviana, Castellammare di Stabia, Boscotrecase e tutta la cintura intorno al Vesuvio – dove quotidianamente oltre due milioni di persone convivono, in una delle zone più densamente popolate al mondo, con una bomba atomica innescata, talmente radicati nel loro territorio da declinare però l’atavica paura nel romanticismo del “se succede, vuol dire che era destino”, proteggendosi con icone religiose e la ritualità dello scioglimento del sangue di San Gennaro. L’esclusione del Vesuvio, e con lui di tutto quel profondo senso di religiosità e tradizione che sono così radicati nel tessuto di Napoli – discorso che non varrebbe allo stesso modo per quanto riguarda l’Etna, un po’ per la natura effusiva e non esplosivo-pliniana del vulcano, un po’ per l’indole meno espansiva dei cittadini catanesi rispetto a quelli napoletani –, è forse l’unica piccola mancanza che ci sentiremmo di imputare al film di Herzog, che avrebbe potuto trovare un altro mirabile esempio di sturm und drang ai piedi di un cono spezzato, con un altro spaccato di profonde tradizioni, colori, timori, realismi e amore sconfinato nei confronti della propria terra, pronta a dare con il terreno vulcanico particolarmente fertile ma pronta anche a riprendersi tutto, insieme alle vite, da un momento all’altro. Un’assenza che però nulla toglie all’efficacia, all’estremo interesse e alla profonda poetica dei discorsi affrontati da Werner Herzog, né tanto meno riesce a scalfire la qualità, l’acume, la narrativa né il cuore di quello che non può che essere definito come l’ennesimo capolavoro nella carriera di uno dei più grandi registi di sempre, un uomo che, per biografia, linguaggio, cuore e intima necessità di produrre immagini che sappiano meticciare il suo immaginario con la realtà, è una sorta di incarnazione del Cinema, un produttore instancabile di magnetismo. E del resto, come già detto in apertura, tutti i vulcani mostrati e raccontati in Into the Inferno sono in luoghi ai margini del mondo, quasi ai confini delle terre esplorate, sono isole e piane infinite che furono laviche per oltre 30-40 chilometri, abitati da popolazioni quasi prive di contatti con l’esterno, che sia la censura nordcoreana o la geografia a imporlo. In questo senso, Napoli sarebbe forse stata fuori luogo, ed è probabilmente questo il motivo per cui è stata esclusa a dispetto dell’apporto umano che avrebbe potuto portare – e non solo il Vesuvio, del resto, si può vedere come grande escluso, ma anche i vulcani californiani. In fondo, ovunque nel mondo c’è del magma che vuole uscire, un fuoco eterno che brucia sotto ai piedi degli uomini e a cui non importa nulla di chi ci sia sopra in quel momento, né di che cosa stia succedendo in superficie. Forse, prima o poi, i vulcani si uniranno e bruceranno tutto, forse si spegneranno per sempre, o forse continueranno semplicemente a fare i loro cicli, eruttare il loro magma, continuando a rendere possibile quella vita sulla Terra che loro stessi hanno formato e plasmato. Nello scorrere della lava, vita e morte trovano il loro punto di sintesi, gli elementi naturali si incontrano, gli uomini fuggono, sopravvivono, a volte muoiono. Ma di fronte al magnetismo di quel ribollire non possono né potranno mai in alcun modo staccare gli occhi.

Marco Romagna

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“Into the Inferno” (2016)
Documentary | UK
Regista Werner Herzog
Sceneggiatori N/A
Attori principali Werner Herzog, Clive Oppenheimer
IMDb Rating N/A

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