26 Maggio 2023 -

IN OUR DAY (2023)
di Hong Sang-soo

Forse è da ricercarsi semplicemente nei gatti, il collegamento fra le due storie parallele di In our day. Gatti che ci sono e che non ci sono più, gatti che girano per la casa o per le malinconie di chi ne sente la mancanza, gatti che si perdono e si ritrovano, gatti con cui giocare e per cui struggersi quando non sono più al loro posto. Gatti di fronte ai cui occhioni lucidi non si riesce a smettere di dare da mangiare e di fare le coccole, e che già dal bizzarro nome rappresentano in qualche modo tutti Noi, che andiamo e che veniamo, che ci affezioniamo e che ci abbandoniamo, che ci avviciniamo e che all’improvviso soffiamo, che viviamo e che moriamo. Che rispondiamo alle necessità, agli istinti e alle ispirazioni, ma che al contempo non smettiamo mai di interrogarci e riflettere sul senso dell’esistenza e della privazione. O forse sta negli strumenti a corda, il legame fra i protagonisti e le loro giornate che indipendentemente procedono alternate e più volte si sfiorano senza mai realmente incontrarsi, in un ukulele, in una chitarra appoggiata a un muro e poi regalata, o ancora nella salsa piccante che sia l’attrice sia il poeta mettono nei noodles istantanei, lei semplicemente per dare sapore e lui per sostituire in qualche modo l’alcool e le sigarette che il medico gli ha proibito. Entrambi a ricevere visite (in)aspettate e a scambiare pensieri e dialettica con le nuove generazioni, entrambi a guardarsi dentro e a tentare di esprimere e di trasmettere ciò che vedono e ciò che sentono. Un piccolo haiku con cui Hong Sang-soo, tornato alla piena visione pochi mesi dopo le sfocature teoriche del ‘berlinese’ In water, chiude la Quinzaine des Cinéastes di Cannes 2023 cercando ancora una volta il senso lirico e romantico del suo cinema nella vita e nella semplicità quotidiana, negli incontri fra esseri umani, nei dialoghi che sempre girano in tondo alle medesime ossessioni senza mai realmente giungere a un punto. Gli basta la ‘solita’ attrice, interpretata dalla ‘solita’ musa Kim Min-hee, che questa volta vuole chiudere la propria carriera ma che si ritroverà a dispensare consigli a una giovane cugina che invece vuole iniziare a intraprenderla. Gli basta un poeta di mezza età, suo evidente alter ego nei vizi conclamati per gli alcoolici e il tabacco, ma anche nel continuo atto creativo come tentativo di rimanere lontano dal dolore, che riceverà a sua volta la visita di un ammiratore e che con lui finirà per confrontarsi sul senso dell’ispirazione, fra una voglia crescente di bere e fumare e le prime birre analcoliche che inevitabilmente finiranno per lasciare il tavolo alle ennesime bottiglie vuote di soju e al loro intrinseco ritorno della piena sincerità verso gli altri ma soprattutto verso se stessi. Con loro, rispettivamente, l’amica a casa della quale l’attrice si è rifugiata nella sua fuga da Seul e una giovane documentarista che continua a filmare più o meno silenziosa la vita del poeta, in una progressione che è in realtà solo apparente verso un punto di svolta destinato a non concretizzarsi forse mai, e che anzi è forse (la necessità di) un passo indietro, verso l’onestà e la verità emotiva, finalmente libere da pose. Senza la necessità di chissà quale senso recondito o di chissà quale evoluzione, e senza nemmeno voler raggiungere chissà quali picchi emotivi: quello che conta è semplicemente vivere e assaporare ogni attimo, ogni istante, ogni sensazione. O forse, ed è qui il problema, accontentarsi di questo.

Perché è un cinema, quello di Hong Sang-soo, sempre più essenziale, scarno, leggero. Questa volta meno apertamente meta-riflessivo e teorico rispetto alla maggioranza delle altre, eppure sempre saldamente ancorato al suo senso più intimo, fatto di iperprolificità e ossessioni, di rapidità d’esecuzione con pochi giorni (a volte poche ore) di riprese, di lunghe inquadrature fisse che si concedono al massimo qualche panoramica o qualche sporadico zoom, di un montaggio ridotto al minimo indispensabile (questa volta con qualche cartello a introdurre e a cercare di contestualizzare i frammenti che compongono il film) e di un vero e proprio lavoro di gruppo con gli attori spesso invitati a improvvisare sulle indicazioni di un canovaccio. Un cinema di slanci artistici e di attori (o di registi, o di poeti) che più o meno consapevolmente si interrogano sulla natura, sulla visione personale e sul concetto stesso del proprio lavoro; un cinema di infinite variazioni sullo stesso tema fino ai raddoppiarsi dello stesso film all’interno dello stesso film, un cinema di giri in tondo e di verità esistenziali che quasi sempre riescono a emergere solo nei bar, e che non possono prescindere dalle sigarette incenerite insieme fuori dalla porta. Eppure va detto che c’è questa volta un po’ di stanchezza – la nostra, forse, ma probabilmente non solo – nell’ennesima sortita in un’autorialità tanto amata ma oggettivamente sempre uguale, ormai sin troppo prevedibile in ogni dialogo e in ogni situazione, nella quale l’unica reale variazione sembra ormai essere la saturazione, con il colore che a volte – come in questo caso, per la seconda volta consecutiva – riemerge dopo un pugno di film in bianco e nero. Se le già citate sfocature di In water erano state in grado, con la loro portata teorica nel delineare l’opacità dello sguardo di un giovane regista che ancora non riesce a mettere a fuoco quello che sarà il suo cinema, e che finirà per non porsi più il problema perché è più importante filmare il dilemma insondabile che scervellarsi per cercare di risolverlo, di elevarsi da quella che è ormai la prassi di Hong e di trovare nuovi spunti di riflessione, il ritorno alla ripetizione di In our day convince molto meno uno spettatore ormai rodato dai tanti anni di (doppi, tripli) lavori quasi in serie dell’autore coreano, lasciando la sensazione un po’ amara di un pilota diventato ormai (per lo meno semi) automatico, e per questo di un (pur) bel film, ma nettamente di minore ispirazione, pigro e un po’ sterile rispetto alle reali capacità di Hong, in grado forse di stregare un occhio vergine al suo cinema ma in definitiva deludente per chi ormai da decenni lo segue nel suo percorso. Il che chiaramente dispiace, perché in effetti dentro In our day c’è per molti versi tutta l’opera e tutta la speculazione del regista. Ci sono le riflessioni sul ruolo dell’attore, fra l’onestà da mettere di fronte alla macchina da presa e l’impossibilità di farlo nel momento in cui – evidentemente al di fuori del cinema di Hong, anche se questo viene lasciato implicito – bisogna necessariamente mandare a memoria «battute stupide scritte da altri», ci sono gli abituali volti e le abituali situazioni, c’è Kim Min-hee la cui sola presenza porta in dote tutte le fasi più brucianti e contraddittorie della storia d’amore e scandali che hanno vissuto insieme al di fuori dai set, ci sono le doppie storie che già dai tempi di Right now, wrong then delineano parallelismi e convergenze, e ci sono le riflessioni su genesi e senso di ogni slancio artistico, su come la poesia contemporanea sia al contempo «necessità» e «insuccesso», ma anche su come sia più che sufficiente qualcuno – anche fosse solo uno – che nel leggerla (o nel vedere il film) trova una qualche risposta, un qualche piacere, un qualche sollievo, un qualche riscatto. Tanto che forse importa solo relativamente che In our day possa sembrare una ripetizione un po’ stanca dello stesso film e della stessa vita, e che si speri che nel prossimo lavoro venga di nuovo aggiunta qualche stratificazione in più. Perché all’arte «bisogna consacrare la propria vita, non cercare di trarne vantaggio». Conta solo saper ascoltare la purezza dell’ispirazione che «viene e basta, senza motivo», anche quando forse è meno brillante del solito. Conta saperle lasciare ogni volta campo libero, conta trasformarla in un foglio, in un’inquadratura, in uno sguardo nell’intimità. Nell’ennesimo manifestarsi dell’amore, più forte di ogni depressione. Come un gatto che fa le fusa, in questa vita o nell’altra. O come uno sbuffo di fumo, in cui vedere lentamente vaporizzarsi, a poco a poco, l’ennesima sbronza. Fino alla prossima.

Marco Romagna

“In Our Day” (2023)
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Regista Hong Sang-soo
Sceneggiatori N/A
Attori principali Ju-bong Gi, Kim Min-hee
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