Fantasia e fragilità. Sono i due fari nella notte intorno ai quali sembra ruotare I nostri fantasmi, secondo lungometraggio di Alessandro Capitani presentato alle Notti Veneziane delle Giornate degli Autori alla Mostra 2021. Fantasia e fragilità che riguardano sia il corpo tematico del film, sia le sue stesse qualità. Da un lato, infatti, il film intona un inno sommesso alle risorse del sogno a occhi aperti necessarie ad affrontare le durezze dell’esistenza, narrando di personaggi vulnerabili e fiaccati dalla vita; dall’altro, Capitani adotta registri narrativi abbastanza inconsueti per il cinema medio italiano, mostrando al contempo (purtroppo) anche la sua frequente e diffusa debolezza strutturale. Probabilmente ideato e realizzato a budget ridotto (poche location, pochi personaggi), con il coinvolgimento di un buon cast d’attori (Michele Riondino, Hadas Yaron, Alessandro Haber, Paolo Pierobon) e con tutte le intrinseche difficoltà di girare in piena pandemia, Capitani se la cava bene nel fare di necessità virtù, ma l’originalità del racconto si sgonfia rapidamente in meno di mezz’ora, lasciando spazio a una seconda parte assai più faticosa e prevedibile.
Innanzitutto, I nostri fantasmi richiede allo spettatore una discreta sospensione dell’incredulità. Giovane padre rimasto vedovo e senza lavoro, vittima di sfratto nella casa dove abitava con la famiglia, Valerio decide di nascondersi in soffitta con il figlioletto e di fingersi per anni fantasma in modo da spaventare e mettere in fuga ogni eventuale nuovo inquilino. Al figlio, Valerio ha raccontato che stanno partecipando a un gioco a premi. Ovviamente le domande realistiche e razionali che una situazione di tal fatta possono far sorgere sono numerose. Ma siamo nella fiaba moderna, e va bene, accettiamo di stare al gioco. Possiamo passare sopra anche ai molteplici debiti narrativi che il film di Capitani propone. Da un tenue riflesso lontano da una delle commedie più famose di Eduardo De Filippo («Questi fantasmi!», 1945, dove il finto fantasma era l’amante della moglie), a più evidenti tributi nei confronti di La vita è bella (Roberto Benigni, 1997), Parasite (Bong Joon-ho, 2019) e per molti versi Ferro3 (Kim Ki-duk, 2004), Capitani propone una superficie narrativa di originalità che comunque si riallaccia vistosamente a pregresse suggestioni. Possiamo però soprassedere anche su questo. In arte l’originalità è un concetto piuttosto inutile e sfuggente. Se quei tributi, insomma, sono rimessi a profitto per un racconto solido e ben costruito, non c’è davvero nulla di strano. Purtroppo però, a fronte di una durata breve (circa 90 minuti), I nostri fantasmi è capace di sparare le sue cartucce migliori già entro il primo terzo di racconto.
Probabilmente molto è dovuto alla precoce rivelazione del trucchetto al quale Valerio e figlio hanno fatto ricorso per mesi. Una volta smessi i panni di finti ectoplasmi e usciti allo scoperto con l’inquieta inquilina Miryam, in fuga nell’appartamento con un neonato avuto da un compagno violento, i due protagonisti si avviano lungo un percorso narrativo assai più consueto rispetto alle premesse. Resta apprezzabile – questo sì – il tentativo di coniugare spunti fantastici a venature fortemente sociali. La fuga nella fantasia sposata da Valerio si scontra infatti con una grigia realtà (ottimo, come sempre, il contributo di Daniele Ciprì in sede di fotografia) dove la miseria e la minaccia di essere separato dal figlio incombono quotidianamente. Un bagno in grigio al quale va incontro anche l’intera atmosfera fiabesca, che tenta sì qualche apertura poetica (i dialoghi al telescopio del piccolo Carlo con la madre, gli istanti di purezza che emergono dal suo rapporto col padre) ma che resta sostanzialmente immersa in umori fortemente malinconici. Valerio è fragile, in fuga dalle responsabilità che il sistema gli impone, ma al contempo vive sulla propria pelle tutta l’ostilità di un mondo fattosi sempre più gelido e mostruoso. Bastano poche pennellate per dare conto del mood glaciale imperante «là fuori»: un ufficio dei servizi sociali, un duo di funzionari che appaiono alla porta durante la tanto agognata festa di compleanno di Carlo. Non è necessario ricorrere a un cinema arrembante e visibilmente impegnato per parlare dell’oggi, pare voglia dire Capitani. Può svolgere la medesima funzione anche un cinema più contenuto, più appartato e ritroso, rinchiuso (letteralmente) tra le pareti di una soffitta, dove a confrontarsi siano le anime ferite da un mondo crudele, e dove il confronto si svolga in un contesto intimo e volenterosamente psicologico. Perché il mondo è cattivo (con l’ingigantimento bidimensionale tipico della fiaba, anzi, è cattivissimo), inevitabilmente più forte del singolo, e in qualche modo, dal chiuso del nostro angolo, è necessario provare a difendersi.
A tutto questo, I nostri fantasmi oppone un’idealizzata fiducia nella solidarietà e nel reciproco sostegno, che a sua volta sembra allinearsi alle tenere intenzioni di una fiaba. Buone idee, mai troppo stucchevoli malgrado la materia dolciastra evocata. Tuttavia, se il racconto perde velocemente colpi, altrettanto avviene dal punto di vista stilistico. Ralenti poco efficaci, parentesi fini a se stesse: il personaggio di Haber, ancorché coerente con la riflessione globale del film intorno all’esigenza di calore umano, rasenta più volte un senso di gratuito. Fino al (quantomeno apparente) lieto fine, garantito come in ogni fiaba che si rispetti. Resta comunque la sensazione generale di un film anche ben ispirato, che prende le mosse dalle migliori intenzioni, ma che fa fatica a trovare una veste solida, definitiva e compatta. Peccato, soprattutto per la buona prova di Michele Riondino, efficace come sempre (e non è una sorpresa).
Massimiliano Schiavoni