18 Febbraio 2017 -

HAVE A NICE DAY (2017)
di Liu Jian

A prescindere dai suoi ovvi problemi di budget e in un certo senso anche dalla sua effettiva riuscita, Have a nice day è un film estremamente importante. Lo è per come si pone come film d’animazione totalmente indipendente fra le strette maglie censorie della Cina di oggi, lo è per la chiara metafora anticapitalista che mette sul piatto nell’ipocrisia della Pechino economica e per la precisione con cui manda a segno le sue stoccate politiche e sociali, lo è per il suo coraggio e per le sue precise scelte estetiche e culturali, e lo è per l’apprezzabile decisione della Berlinale di mostrarlo nella vetrina più luminosa, quella del Concorso principale, in lizza per il 67mo Orso d’Oro. Certo, la fluidità dell’animazione limitata ogni tanto perde qualche colpo per l’evidente esiguità produttiva, i cieli sono rigorosamente privi di dettagli, dietro alle auto in corsa scorre solo il buio, le azioni avvengono prevalentemente su quadri fissi e i personaggi finiscono spesso per ristagnare in un’innaturale staticità, come pure, a livello strettamente narrativo, il film finisce forse per non stratificarsi e approfondire quanto potrebbe le sue suggestioni, limitando – forse per autocensura nella flebile speranza di poter uscire in patria almeno su minuscola distribuzione indipendente – le sue possibili capacità caustiche e accontentandosi di declinare in animazione un giocattolone noir-pulp intriso di ironia nerissima, di boss e scagnozzi, di parentele che saltano, di stanze d’albergo e di carneficine finali che senza dubbio è divertente, gradevole e funzionale, ma che poco aggiunge, nei fatti, a ciò che nel live action è stato già messo in scena e con trovate più illuminanti dall’ormai molto lunga tradizione di gangster movie, pulp e ogni possibile declinazione autoriale e/o pop del genere.

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Liu Jian e il Lajoy Animation Studio, però, consci dei propri limiti economici, lavorano con talento su ottime tavole che, più ancora di uno script che “non vuole esagerare”, costruiscono uno spaccato di tutta la mediocrità della Cina di oggi, di tutta la sua ipocrisia e di tutte le sue ingiustizie sociali, di tutta la sua povertà dilagante. Di come, anche nella “Repubblica Popolare”, sia solo ed esclusivamente il denaro a contare, o al massimo un effimero ideale estetico – il MacGuffin dell’operazione di chirurgia plastica per rendere bella e poter finalmente sposare la propria donna –, mentre gli uomini non possono fare altro che dimenarsi nell’avido egoismo a cui porta il capitalismo accatastando cadaveri sotto a un lampione. Azzardando netti accostamenti cromatici e costruendo un nerissimo intreccio pulp e smaccatamente pop, gli autori di Have a nice day riescono non solo a giustificare le approssimazioni tecniche cui sono giocoforza dovuti andare incontro nel corso della realizzazione (ancora una volta l’economia che regola i rapporti di forza e le possibilità di riuscita di un prodotto), ma ne hanno fatto in un certo senso uno dei cardini del film, una declinazione pop-art, quindi riproducibilità e immissione sul mercato dell’opera, in cui trova senso compiuto tutta la metafora politica. A un certo punto, per qualche lisergico istante, l’immagine che per il resto ricorda, anche nelle colorazioni cupe, il tratto del coreano Yeon Sang-ho (il quale in realtà sta acquistando molta più notorietà con il discreto ma difettoso live action di Train to Busan che con le sue, nettamente superiori, opere d’animazione fra cui l’ultimo Seoul Station, storia strana il cinema…) cambia, con le montagne sullo sfondo che si uniscono a quelli che furono i cartelli maoisti per rappresentare una Cina al lavoro e socialista, prospera e felice, virati però nel puntinato pop Ben Day già cifra stilistica di Roy Lichtenstein come se fossero quegli stessi tempi, o per lo meno la loro memoria, a essere diventati pop, come se la tradizione fosse ormai semplicemente una tenda dietro alla quale nascondersi, un qualcosa da mostrare e portare avanti come uno scudo mentre, sicuri della sua protezione, si agisce all’esatto opposto. È il capitalismo ipocrita di uno Stato non libero, il vero bersaglio del film e il vero motivo per cui i reietti messi in scena si incancreniscono, si disumanizzano, si sparano, si investono in auto, muoiono. Sono le banconote il problema, quelle stesse banconote che rendono l’uomo vipera, quelle stesse banconote che portano ancora stampigliato il volto di Mao per contraddirlo nei fatti ogni giorno, quelle stesse banconote, un milione di yuan, intorno alle quali ruota intorno la notte di follia di Have a nice day.

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La trama, costruita con gusto smaccatamente tarantiniano a metà strada fra la valigia di Pulp fiction, questa volta non più oggetto misterioso ma piena di denaro frusciante, e gli uomini/cani accecati dall’avidità de Le iene che, per questa valigetta, finiranno inevitabilmente per sbranarsi fra di loro, procede spedita, passa più volte dalla stanza 301, unica camera occupata dello squallido albergo, porta più volte alle risate fra le ripetute telefonate del boss e le peripezie di chi ruota intorno a questo denaro, dall’inventore/gangster che indossa costantemente gli occhiali a infrarossi e raggi X alle donne, pettorute e spietate, pronte a ingannarsi e tradirsi, fino all’ultimo schianto e al sapore acre della vendetta. Ma non è l’intreccio, inevitabile accatastarsi di eventi che, in ottemperanza di un genere, non possono che confluire nel gran finale di stridore di freni e di sangue, ciò che interessa a Liu Juan. E forse nemmeno le possibili considerazioni sull’imbarbarimento umano di personaggi che non possono fare altro che farsi possedere dal dio del denaro, e da questo dio essere portati alla più atroce marcescenza. Quello che Have a nice day fa in maniera straordinaria, e ben più a monte, è un lavoro di mappatura della Cina urbana e periferica più emarginata e sfilacciata, quella di uomini che vivono (oltre) il limite della legalità e di luoghi cupi e disastrati. Una provincia di cantieri e di strade notturne, di cadenti motel e di bettole per mangiare con pochi spiccioli, anfratti di fame, di morte e di omertà; una Cina sporca, pericolosa, oscura, degradata e disgregata. L’altra faccia del capitalismo, e il motivo per cui Have a nice day, come si diceva in apertura, è un film estremamente importante, al quale auguriamo ogni possibile fortuna: di essere visto, di piacere, di essere capito quando va in affondo. Di poter spostare, fosse anche solo di un millimetro, gli equilibri precari di quella Cina le cui macerie si nascondono, come polvere sotto a un tappeto, dietro al faccione bonario di Mao che sorride stampato in verde su una sfacciatamente ipocrita banconota.

Marco Romagna

“Have a Nice Day” (2017)
Animation | China
Regista Jian Liu
Sceneggiatori N/A
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

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