“Nel secolo scorso,
il Cinema è stato la sintesi di letteratura, pittura e altre arti:
parlo del Cinema d’autore, non di quello industriale.
Mi ha sempre ossessionato l’idea che un film,
con la persuasione delle immagini,
potesse rovesciare l’accaduto, la realtà: in una parola, la storia.
Fin da piccolo, quando già m’interessavo a tutto,
il Cinema mi è stato gemello:
fatto per chi sa tutto e niente”
Emir Kusturica
Era il millenovecentonovantadue, e Vladimir Tomic era un timido dodicenne, in fuga dalla propria giovane vita -e dalla propria infanzia- senza neanche capirne il perché. Confuso, senza dubbio, dalla situazione esplosiva lasciata nella natia Jugoslavia, profugo in Danimarca in attesa dell’asilo politico, triste per il padre rimasto a casa, ma al contempo anche eccitato all’idea di vivere una nuova avventura, attraccato a Copenaghen su un enorme albergo galleggiante. A bordo del Flotel Europa, la mamma d’acciaio a tenerlo per mano, il fratello maggiore al suo fianco, e oltre un migliaio di altri profughi nella stessa situazione di impasse politico: l’attesa dei documenti per poter risiedere sulla terraferma danese durerà più di due anni, spartiti fra condizioni igieniche sempre più precarie, umidità costante, conseguenti reumatismi, vite che scorrono nell’amarezza.
È il duemilaquindici, e Vladimir Tomic è ormai un celebrato documentarista bosniaco d’adozione nordica, che ritorna ad una rilettura consapevole ed emozionale della propria infanzia tramite le VHS girate nei due anni sul Flotel. Si trattava di videolettere per i parenti rimasti in patria, la cucina comune e la sala con la televisione, le danze, le feste, i ragazzi che crescono: ora sono lo spunto per un intimo diario in voice over, che si pone sin dalle primissime battute fra le visioni più interessanti dell’intera annata documentaristica. Da una barca che galleggia come in un limbo, idealmente sospesa fra l’Arca di Noè e le sponde di Caronte, le riprese lowfi diventano in moviola inizio di una nuova vita, una situazione politica che diventa familiare, una situazione familiare che diventa narrazione. Per il Tomic autore e uomo è giunto il momento, con la maturità e il montaggio, di ripensare a quei momenti fondamentali per Storia e per propria formazione personale, di usare il particolare per passare al generale, di raccontarsi a cuore aperto per svelare, in realtà, la ferocia del conflitto jugoslavo, le difficoltà di un profugo pur in un Paese storicamente tollerante, le gravi falle nell’accoglienza dei rifugiati che, oggi come allora, portano a odio, soprusi e una tragica disumanizzazione nella quale le vittime sono sempre innocenti.
Vladimir Tomic, in Flotel Europa, non fa altro che raccontare con ironia e disincanto la propria adolescenza, equilibrando con intelligenza la tragicità degli echi di guerra e di greve imbarazzo politico con momenti irresistibilmente spassosi, nei quali il regista riesce a far ridere di gusto di sé e delle proprie insicurezze non solo giovanili. Umile e sincero, il romanzo di formazione di Tomic non può prescindere da quel primo folle innamoramento per la bella Melisa, da quei racconti fra l’erotico e il porno -totalmente inventati o quasi- tra amici, da quel “curioso” soprannome che gli era stato affibbiato, dalle escursioni per la città, da qualche litigio, da qualche scazzottata, ma soprattutto dall’attesa, costante e asfissiante, di una normalità, di una casa, di una nazionalità, di una qualche certezza politica. Sul Flotel Europa, il bambino Vladimir Tomic è cresciuto, è diventato uomo, ha capito il paradosso fratricida che ha inscatolato le tre etnie del suo Paese in una guerra che ha spazzato via, nella sola Bosnia, oltre centomila persone, ha vissuto l’attesa del riconoscimento di status politico da un limbo, come messo in quarantena, fra topi, persone distrutte fisicamente dalla vita sui canali, notizie da casa frammentarie e tragiche, l’improvvisa e splendidamente umana fragilità della madre, in lacrime di fronte a un concerto di Bach. Le certezze che crollano, altre e nuove consapevolezze che si fanno strada: si forma l’uomo, l’individuo, il cineasta. Quello che si percepisce dalla narrazione di Tomic, in fondo, è soprattutto l’intima necessità di mostrare quei momenti, la sua fase di vita in un paradosso, l’iter labirintico per ottenere, semplicemente, la propria vita.
Ultimamente si fa un gran parlare, anche a sproposito, di integrazione: il Flotel Europa è stato l’emblema della difficoltà, fatto di uomini e donne già di fatto accettati dalla Danimarca, ma impossibilitati a sbarcare in attesa del riconoscimento ufficiale di asilo per tempi tecnici che si sono protratti per infiniti mesi, vittime obbligate da una decisione folle a dormire su un ammasso di ferro e malattie anziché sulla terraferma. Chi non è riuscito a resistere, distrutto dall’attesa, dalla povertà, dall’imperturbabilità di chi passava intorno e non faceva nulla, chi ha resistito, chi ha sofferto, chi è rinato. Le passioni, la scuola, gli amici, ma anche il nazionalismo. Senza mai sconfinare in un eccesso di sentimentalismo, ma anzi stando attento a tenere sempre il proprio sguardo il più possibile distaccato dall’autobiografia, il regista ritrova fra i canali, la piattaforma galleggiante e le infinite microstorie di quel mondo in miniatura la memoria e se stesso come individuo, intrappolati nel placido scorrere di quei nastri magnetici di più di vent’anni fa. In fondo, forse, quelle videocassette aspettavano solo che qualcuno le riavvolgesse, le riguardasse, ne capisse la straordinarietà come documento storico e sociale. Lo ha capito uno degli autori di quei nastri, pronto a riprenderli, rimontarli, commentarli, dare loro un profondo senso personale e storico. Flotel Europa è molto più che un romanzo di formazione, è molto più che un trattato sulle difficoltà di integrazione, è molto più che un tenero racconto del primo amore, è molto più che un reportage sull’assurdità della guerra, è molto più che una confessione intima, è molto più che un film storico su un’umanità alla deriva. E, di certo, è molto più che un collage di videomessaggi per i parenti a casa. Flotel Europa è la formazione di un individuo in immagini, è la memoria che riaffiora e si fa Cinema, è la Storia che incontra una banda magnetica. È un film-saggio, un film-mondo, un film-uomo. Un film maledettamente necessario, per crescere, metabolizzare, rinascere.
Marco Romagna