20 Maggio 2017 -

ALIVE IN FRANCE (2017)
di Abel Ferrara

“Pensavo: è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra”
Fabrizio de André, Amico Fragile

Il nuovo e mai così personale film di Abel Ferrara sta già tutto nel titolo, in quell’“alive”, vivo, usato in luogo di “live”, dal vivo. Il pretesto per muoversi e per muovere la macchina cinema (il direttore della fotografia, autore della maggior parte delle riprese del film, è Emmanuel Gras, già nel 2011 regista di Bovines) sono i concerti, i live, la tournée che nello scorso ottobre ha portato il regista/musicista del Bronx in giro per la Francia, ma il vero motivo per cui Abel Ferrara sale sul palco, e forse anche quello per il quale ancora narra per immagini, è la pura necessità di esprimersi per sentirsi vivo. La carriera musicale di Abel Ferrara e della sua storica band di accompagnamento – il compositore Joe Delia, il cantante Paul Hipp – è nata molti anni fa quasi per caso, quando i costi di produzione andavano necessariamente limati e non era possibile pagare i diritti d’autore per ciò che l’Abel Ferrara regista avrebbe voluto utilizzare come musica nei suoi lungometraggi, facendo di necessità virtù e componendo autonomamente – al pari di John Carpenter, ma tornando indietro nel tempo anche di Charlie Chaplin – le proprie colonne sonore per possedere brani originali che avessero il mood necessario per accompagnare le vicessitudini de Il cattivo tenente, dei Fratelli, del King of New York. Ma non si limita certo a raccontare questo Alive in France, presentato in Quinzaine des Réalisateurs al 70mo Festival di Cannes, con il quale Abel Ferrara si racconta e si sviscera nella visione retrospettiva di un’intera vita votata all’arte.

Alive in France è un autoritratto che prende le mosse dalla documentazione di un tour per divenire ben presto introspezione, un guardare indietro per tirare le somme, un interrogarsi ancora sul proprio posto nel mondo, sul proprio cinema, sulla propria chitarra. È un avvicinamento a tappe verso Parigi, il cuore della Francia, nel quale si procede parallelamente verso il cuore di Abel Ferrara, verso il senso più intimo di una carriera, o forse di due carriere legate a doppio filo: la musica per il cinema, il cinema nel quale inserire la musica. Fra prove e concerti, retrospettive alla Cinématèque di Tolosa e relativi Q&A con il pubblico, incontri in strada con chi non lo riconosce e con chi gli scatta foto con una vecchia Leica, confessioni e canzoni, (quasi) omonimie e volantinaggi, ritorni sulle dipendenze come un inferno e sulla “sua” mutevole New York come una continua ed ellittica ispirazione, Alive in France mostra un Abel Ferrara in viaggio e sui palchi, mostra un Abel Ferrara sobrio e sgraziato, mostra un Abel Ferrara esigente e disponibile, mostra un Abel Ferrara che, anche quando ha in mano la sua Fender, non rinuncia a suggerire agli operatori i movimenti di macchina né a pensare per immagini, quelle da lui create nel corso di una carriera lunga 40 anni e che vanno proiettate al giusto momento durante lo spettacolo, quelle create sul palco dal corpo suadente di Christina Chiriac, che di Ferrara è moglie, attrice, corista e danzatrice, e poi quelle d’archivio, che riportano alla gioventù, ai capelli ancora neri, alla spensieratezza e all’irriverenza di un regista da sempre contro e provocatorio, da sempre fuori dal coro e fuori dalle regole del cinema, della musica, della vita.

Alive in France è la dolcezza del viaggiare, è la gioia/tensione dell’esibirsi, è la necessità di ripensarsi continuamente, è New York, è Roma, è Parigi, è la vitalità del rock. Già, il rock, quello che accompagnava il sesso, l’alcool e le droghe di Harvey Keytel/Il cattivo Tenente, quello di cui c’è ancora necessità quando il mondo sta per finire in 4:44 Last day on Earth, quello che già a metà anni Settanta apriva alla pornografia di 9 Lives in a wet pussy, quello che ha accompagnato la vita sempre al di fuori dalle righe di Abel Ferrara, quello che ancora adesso rivive sul palco, magari mentre, nel pubblico di Parigi, c’è una molesta contestatrice ubriaca, pronta a ululare per tutta una canzone. Ma, proprio come nel caso delle contestazioni a Bob Dylan quando nel 1966 smise i panni del cantore folk per imbracciare – ecco ancora una volta il rock – la chitarra elettrica, “the show must go on”, il brano va finito, e poi magari, ma solo dopo, è lecito rispondere per le rime, insultare, prendersi le proprie ragioni. Abel Ferrara, da sempre cantore sgraziato di realtà ambigue e slabbrate da Napoli Napoli NapoliPasolini, non può che lasciare nel montaggio finale del film l’intera sequenza, l’intera canzone, l’intera contestazione del Salo Club di Parigi in quella tiepida sera di ottobre: l’intero rock nel rock. Quello di un uomo che da sempre si rimette al centro e che mai così apertamente si mette a nudo, quello di un artista poliedrico e sregolato, per lunghi anni vittima di se stesso e dei suoi vizi e adesso di nuovo vivo, sereno, pronto a riguardare indietro e a riflettere sulla sua vita, sulla sua arte, sul suo ruolo come uomo e come artista, creatore di immagini, di atmosfere, di suggestioni. Alive in France è un film sorprendente, pronto a partire da nulla o quasi per andare lontano, come una tournée, come un accordo al quale ne segue un altro, come un grido che ancora, e forse per sempre, gracchia nel microfono: “I’m a Bad Liutenant”.

Marco Romagna

“Alive in France” (2017)
79 min | Documentary | France
Regista Abel Ferrara
Sceneggiatori N/A
Attori principali Paul Hipp, Pj Delia, Joe Delia, Abel Ferrara
IMDb Rating 5.2

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