14 Luglio 2021 -

A HERO (2021)
di Asghar Farhadi

È un cinema di estreme conseguenze, quello di Asghar Farhadi. Un cinema di microscopiche scosse telluriche, che vibrano e covano sotto alla polvere fino a diventare macroscopiche e a propagarsi circolari sempre più potenti. Un cinema di congegni narrativi perfettamente oliati e calibrati nelle loro solide sceneggiature, fatte di azioni e reazioni che continuano a cascata a ricadere sui protagonisti mentre il terreno non smette mai nemmeno per un attimo di franare sotto i loro piedi. Un cinema a orologeria di vicoli senza uscita e di progressive consequenzialità, nel quale basta una piccola increspatura sulla superficie dell’acqua perché nasca e poco a poco cresca un vortice gorgogliante destinato a travolgere e stravolgere i personaggi messi in scena, trascinandoli inevitabilmente nella sua spirale di scelte radicali, senso di giustizia e drammatici dilemmi morali. Può essere sufficiente una semplice spinta, per farlo scattare. Può essere sufficiente una porta aperta senza assicurarsi al citofono di chi effettivamente avesse suonato. E può essere sufficiente, come in questo caso, un gesto nobile, che inaspettatamente e quasi per caso trasformerà il protagonista in celebrità mediatica e cittadina positiva per poi inevitabilmente collassare su se stesso, distruggendo senza alcuna colpa quella sua nuova fama e quel suo rinnovato credito. Del resto in A hero, presentato nel concorso principale del Festival di Cannes 2021, il dubbio etico scatta ben prima del rivelarsi della sua conseguente parabola illusoria di gloria e di dramma. Si rivela già di fronte alle diciassette monete d’oro che spuntano da una borsa trovata per caso alla fermata dell’autobus, dalla mera illusione che possano essere sufficienti per pagare in quelle 48 ore di libera uscita il debito che, dopo la fuga con i fondi del suo ex-socio, tiene da anni Rahim in carcere, alla troppa onestà che alberga nel suo animo per non trovare un modo per restituirli alla legittima proprietaria. L’ennesima piccola crepa che inizia a scavare e ad allargarsi nel crescendo della macchina cinema farhadiana, finendo per aprire lo squarcio nel muro da cui osservare la società e le sue storture fino a rimanerne invischiati.

Una macchina cinema ben chiara e strutturata, quella dell’autore iraniano, che di ritorno in quella patria che l’ultima e infelice trasferta spagnola di Todos lo saben e, seppure in misura minore, quella francese più antica di Le passé indicano inequivocabilmente come unico e necessario contesto socioculturale possibile per i suoi giochi d’incastri, torna a finalmente a riaccendersi e a funzionare dopo lo scivolone europeo. Con un po’ di pilota automatico forse, con meno profondità rispetto ai vari About Elly, Una separazione e Il cliente, e con un potenziale discorso sulle immagini che di fatto non si sviluppa nonostante la televisione con cui diventare eroe, le telecamere a circuito chiuso con cui avere l’unico frame della donna misteriosa e il cellulare con cui sputtanare tramite social il protagonista, ma anche con cui cancellare su sua insistente richiesta quel video di risposta che probabilmente lo avrebbe salvato ma che per ricatto ed esposizione sarebbe stato moralmente inaccettabile. Come pure non manca, in un congegno narrativo meno irreprensibile di altre volte, qualche lieve forzatura o esasperazione in diversi comportamenti dell’antagonista creditore Bahram, sorta di moderno Shylock che da buon ‘mercante di Teheran’ andrà pure contro i propri interessi pur di continuare a perseguitare Rahim e chi è disposto a firmare assegni e garantire per lui. Eppure, anche quando forse non torna proprio tutto, il meccanismo cinematografico del Farhadi iraniano sa perfettamente come ritornare la pressa che stringe e disarma sempre più i protagonisti e lo spettatore fra la detection e la disperazione, fra la società e la famiglia, fra il bene e il male. Fra la necessità di qualche inesattezza per rendere accettabile la verità e le differenti risposte del suo pubblico alle diverse fasi della parabola di gloria e ai differenti attacchi che il protagonista continua a subire, fino a non potersi più difendere nemmeno da se stesso. Una scatola cinese di scelte e di conseguenze, di salite fino in cima alla Tomba di Serse e di improvvisi ritorni nel baratro, di tensioni alla stazione di polizia e di dubbi impossibili da sciogliere. Fino al finale, magnifico e dolorosissimo, che nella sua tragica serenità costituisce forse l’unico possibile e definitivo riscatto.

Non è possibile dire davvero tutta la verità, nell’Iran di oggi. Non quando sei divorziato con un figlio ed è stata quella fidanzata che ancora non puoi sposare a trovare la borsa una settimana prima della tua breve uscita premio dal carcere, per lo meno. Non quando serve un permesso scritto del tuo creditore perché tu, una volta uscito dalla prigione, possa trovare lavoro. Non quando tutta la cittadinanza, con tanto di pos contactless che vagano per l’assemblea, si è appena lanciata in una gara di solidarietà per aiutarti a ripagare il debito, e diventa ancora più fondamentale mantenere la tua reputazione immacolata. Non quando per chiudere il tuo fascicolo la polizia ti chiede di portare la destinataria del tuo gesto per una testimonianza, ma è impossibile rintracciarla al punto di pensare che nonostante le tue precauzioni e la sua credibilità sia riuscita a ingannarti. Non quando ti ritrovi in un tunnel in cui l’unico possibile modo per dire la verità diventa mentire, costruire sotterfugi come unica e necessaria strada per smontare una falsa accusa di macchinazione, e le piccole incongruenze della verità ricostruita porteranno tutti a rimettere ingenerosamente in discussione il tuo gesto, la tua nomea, la tua morale. Ma la tua etica è più forte della convenienza, la tua umanità è più forte dei tuoi egoismi, e pur di non esporre ancora una volta la balbuzie di tuo figlio sarai disposto a sacrificare la tua vita e il tuo onore per quelli di chi più ami. Bastano un paio di inquadrature, chi esce festante e chi invece (ri)entra per chissà quanto tempo. Conscio però di aver fatto la cosa giusta, di potersi guardarsi ancora in faccia e di poter pronunciare ancora e senza alcuna vergogna il proprio (buon) nome. Checché se ne possa pensare.

Marco Romagna

“A Hero” (2021)
127 min | Drama, Thriller | France / Iran
Regista Asghar Farhadi
Sceneggiatori Asghar Farhadi
Attori principali Amir Jadidi, Mohsen Tanabandeh, Fereshteh Sadre Orafaiy
IMDb Rating N/A

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