12 Settembre 2015 -

11 MINUT (2015)
di Jerzy Skolimowski

“Quello che amo [in Skolimowski] è il fatto che
fa continuamente la spola tra il particolare e il generale.
Descrive nello stesso tempo l’individuo e quello
che gli sta intorno, e lo fa meglio di chiunque altro […].
Che fare visto che non so fare film polacchi
e disperati come Skolimowski? Si, che fare?”
Jean-Luc Godard

1.Tesi
C’era una volta il mondo, forse c’è ancora, o forse no. Da quando tre anni fa il cinema si è fatto – ahinoi – digitale abbiamo osservato una decina di ultimi film del mondo, indecifrabili spartiacque che hanno delimitato quella frattura. Immagini sempre in bilico sulla conversione, sull’orlo del precipizio del cinema che non fa altro che indicare una possibile pietra tombale del novecento (il riflusso del suono di quella porta enorme che si è chiusa del muro di Berlino) e in fondo della storia tutta. Il mondo analogico non c’è più, e quello digitale nella sua continua ellissi di codici non può ancora essere (e probabilmente da noi non lo sarà mai) definito. Nessuno nemmeno può sapere la durata di questo spazio, potrebbero essere anche undici minuti, quelli in cui Jerzy Skolimowski crea la sua odissea del tempo, nel primo film che necessità ideologicamente e filosoficamente del digitale per esistere. E proprio per questo, il polacco, del linguaggio all’interno della conversione non ne fa affatto una questione formale.
Skolimowski in questo, almeno per chi scrive, è sempre stato un autore unico, sempre vicino (ed oltre) il confine che andava a rappresentare nei suoi film. Un straordinario talento a livello tecnico ma continuamente espresso in matrice metacinematografica e continuamente in rottura, anche con se stesso. Eterno viaggiatore di metafore espresse in splendidi piani-sequenza, maestro del montaggio e grande miseur en scene tra l’alterità e l’identificazione di un mondo in eterna combustione. Sempre legato ad un contesto storico politico ed un autobiografismo generazionale che compone solamente lo sfondo delle sue opere. Una delle personalità più significative ed adatte a compiere il passo definitivo della rottura dell’oggettività sul soggetto.

2. Antitesi
Nella completa, e per me solita, impossibilità di trovare matrici linguistiche e soprattutto narrative all’opera, ecco qui la sinossi: “Un marito geloso che perde la testa, l’attrice sexy che l’ha sposato, un viscido regista di Hollywood, un incauto corriere della droga, una giovane donna disorientata, un ex galeotto venditore di hot dog, uno studente travagliato con una missione misteriosa, un lavavetri di grattacieli che si prende una pausa di troppo, un ex disegnatore di identikit per la polizia, una frenetica squadra di paramedici e un gruppo di suore affamate. Una sezione trasversale di contemporanei abitanti delle metropoli le cui vite e amori si intrecciano. Vivono in un mondo insicuro dove da un momento all’altro potrebbe capitare qualsiasi cosa. Un’inattesa concatenazione di eventi può porre fine a molti destini in appena undici minuti”. I punti di vista precedenti a questi minuti sono rappresentati da svariate (auto)sorgenti visive, poi il film prende la sua strada, senza nessuna direzione apparente, ma cesellato monoliticamente nei suoi incastri. Emerge subito la struttura ad innesto, la poliedricità dei punti di vista, il grandissimo lavoro di sceneggiatura e montaggio e la straordinaria tensione sonora extradiegietica che lo pervade. Ma tutto ciò è apparentemente nulla rispetto a quello che è nascosto in questo film quantomai definitivo.

3. Sintesi
Un anno fa, o forse di più, io ed Enrico Ghezzi scrivemmo in una specie di conversazione: “Il cinema ora è digitale, appunto, e ogni giorno che passa continua a perdere la sua strada, quella dell’epifania del reale, quella dello scontro tra iconofili ed iconoclasti. Un serie indefinita ed indefinibile di zeri e di uno“. Ecco quest’ultima straordinaria opera di Skolimowski pare proprio essere il tassello mancante (e quindi definitivo) a questo discorso, proprio considerando che lavora su uno scarto, una macchia/buco nera/o. Un oggetto vicino al sole (l’oscuramento della luce, del cinema?), una macchia casuale su una tavolozza (l’indeterminazione del reale, dell’immagine?) ed infine il pixel che non c’è, quello che in fondo nella sua completa unità potrebbe riassorbire tutto. Lo scarto imperfetto di un mondo fatto a codici. Seconda, solo in ordine di tempo, ad un’altra opera debordante e seminale ovvero il Cosmos del connazionale Zulawski.
Dove Zulawski destruttura la forma narrativa per farne un insieme più libero e fluido ai limiti dello svelamento, Skolimowski la corrode fino alla sintassi stessa del linguaggio, lasciandone solo i caratteri. In Cosmos regna una disarmante libertà, una continua sensazione di fo/uga che implode squarciando improvvisamente lo schermo, in 11 Minut gli incastri disidratano la stessa forma di ogni linfa vitale, abbandonando la comprensione per la distruzione. Un lavoro incompleto, illogico, apparentemente aleatorio e in un continuo divenire. È come se Skolimowski perpetrasse lo stesso omicidio di Zulawski, accanendosi sullo stesso corpo morto, quello della possibilità ultima di accessione al reale. Ma questo accanimento, nel ribaltamento di ogni possibile rapporto di predicazione del reale, non può fra altro che donargli una nuova possibile dignità; od almeno la base stessa su cui partire per la conversione successiva. Tradizione orale – parola scritta – identità artificiale, e poi? Possiamo sostenere tutto ciò?

Epilogo
E così è proprio l’immagine delle cose (già duplicata, gonfiata, strappata, accoltellata) ad esplodere, come nell’Antonioni della soglia e del caos tra Blow-Up e Zabriskie Point. Ma questa volta – nel digitale – nemmeno le cose paiono esistere più, ad esplodere sono le immagini delle immagini stesse, dei pixel, dei codici. Un massacro apparentemente formale, visivo e uditivo che non può non svolgere una funzione filosofica, anch’essa definitiva, sulla post-storia. La sensazione, e l’estrema fisicità del finale – soprattutto per lo spettatore -, è quella di muoversi in in teatro di guerra, sull’orlo di un abisso del caos in cui l’indeterminazione di ogni attimo è segnata dall’atterraggio di un aereo, da falsi raccordi di montaggio, da punti di vista ribaltati. Il futuro probabilmente è solo l’immaginabile che vive nella nostra fantasia, il passato un cortocircuito inaccessibile che si riflette nel presente (che è) totalmente impenetrabile. Ogni attimo esiste nell’atto di segnarne la (sua) fine, così potrebbe finire tutto di colpo, nel modo che meno ci aspetteremmo. Potremmo anche noi stessi essere risucchiati dalla casualità dello scarto di una macchia nera, o da quello scarto potremmo trovare finalmente l’energia per una rivoluzione del valore dello sguardo.

11 minut è un film mai visto, ma nemmeno mai realizzato, che oltrepassa anche l’atto di fare vedere “veramente le cose”, come della realtà ventiquattro volte al secondo. Non esistono più personaggi e tantomeno attori, solamente marionette in balia del destino, o forse del caos. La retrovisione del mondo non è altro che il rumore visivo di uno sfarfallamento (analogico) continuo con un estremo climax sonoro che assorbe la flagranza di tutte le nostre possibilità di vita. O forse no. Nello scenario senza speranza che Skolimowski er/sige, l’unico appiglio diventa proprio quella macchia nera. La verifica incerta di un’operazione perfetta che ha sempre il resto di uno. Il pixel mancante è in fondo il simbolo estremo dell’ultimo spazio del mondo, l’unico luogo possibile in cui l’uomo (e l’umanità tutta) può far saltare il banco, far deragliare la macchina perfetta che a noi è imposta. E’ il significato a non avere più un significante, tutto è inesorabilmente ribaltato. Skolimowski non può dirci di più, il suo lo ha fatto, ora tocca a noi riconsiderare ogni attimo della nostra vita, in funzione della sua stessa libertà. Il rogo sacrificale del reale, non può (e non deve) fungere da scusante nella ricerca delle sue sfaccettature, dei suoi incastri. C’era una volta il mondo, e sicuramente c’è ancora, anche se non dovesse durare ancora più di undici minuti.

Erik Negro

“11 Minutes” (2015)
81 min | Drama, Thriller | Poland / Ireland
Regista Jerzy Skolimowski
Sceneggiatori Jerzy Skolimowski
Attori principali Richard Dormer, Paulina Chapko, Wojciech Mecwaldowski, Andrzej Chyra
IMDb Rating 5.9

Articoli correlati

SOLE ALTO (2015), di Dalibor Matanić di Marco Romagna
HEART OF A DOG (2015), di Laurie Anderson di Erik Negro
HERBERG VAN HET GEHEUGEN (2016), di Barbara den Uyl di Erik Negro
THE PALACE (2023), di Roman Polanski di Marco Romagna
CHAOTIC LOVE POEMS (2015), di Garin Nugroho di Erik Negro
EO (2022), di Jerzy Skolimowski di Bianca Montanaro