24 Agosto 2020 -

SUBJECT TO REVIEW (2019)
di Theo Anthony

Questa volta bastano meno di quaranta minuti a Theo Anthony, regista statunitense classe ’89 già autore nel 2016 del magnifico Rat Film, per delineare un nuovo e altrettanto illuminante film-saggio che, proprio come il suo tecnologico protagonista, parte dal caso particolare per diventare progressivamente immagine della realtà, o forse dell’impossibilità di rappresentarla. A essere Subject to review, letteralmente “soggetto a revisione”, non è più quella corrispondenza sociale fra la Baltimora umana di superficie e quella dei bassifondi infestati dalle pantegane che era fra i principali assunti del lavoro precedente, ma analogamente è ancora una volta lo spazio, quello di un campo da gioco. Uno spazio che vive costantemente sotto l’occhio vigile dell’hawk-eye ormai da anni parte integrante del tennis professionistico, quell’“occhio di falco”, o più semplicemente “falco”, che con la sua ricostruzione grafica del punto di impatto della pallina sul terreno è giudice supremo chiamato a mettere “sotto revisione” l’azione, ed eventualmente a correggere l’errore umano. Theo Anthony lavora per convergenze e divergenze, per contrapposizioni che diventano sovrapposizioni e per sovrapposizioni che invece si rivelano inevitabilmente contrapposizioni, costruendo in cerchi concentrici che si sviluppano attorno al campo da tennis e alle sue innumerevoli telecamere una sagace e straordinariamente stratificata analisi dei sottili rapporti fra lo spettacolo e la giustizia, fra l’uomo e la tecnologia, fra la realtà e la sua rappresentazione, fra l’immagine del mondo e la sua simulazione, in qualche modo fra la realtà e la finzione, e quindi il cinema. Fino al puro atto di Fede di chi guarda verso l’alto con il dubbio più inquietante: quale prezzo pagheremo, come esseri umani, per rischiare di ritrovarci comunque di fronte all’errore, alla riproduzione tecnologica della nostra fallibilità? Talmente imperfetti da essere disposti ad annullarci e farci simulare da un sistema di replay istantaneo che nemmeno abbiamo saputo rendere perfetto. Trasformati in mere pedine e comparse di uno spettacolo più grande, guardato dalle telecamere a loro volta guardate da chi sa di essere sotto il loro occhio. Tutto è spettacolo: uno spettacolo televisivo, ormai forse economico più che sportivo, in cui gli occhi sono ovunque e principalmente meccanici, e sotto i riflettori tutto deve sempre e comunque andare avanti anche a costo di essere costruito. Anche a costo di aumentare la tensione drammatica ritardando apposta il responso, e curandosi di dare immediatamente un volto umano all’errore. Non è certo un caso, in tal senso, che il giovane autore americano porti sin da subito in campo la tradizionale voce off, mostrando la sala doppiaggio e parte delle registrazioni del monologo che scandirà l’intera narrazione. Non tanto per certificare ancora una volta la costruzione, in questo caso del film, quanto soprattutto per ritrovare quella presenza fisica umana – il volto, la voce, il trasporto, le emozioni, l’anima, il calore, il punto di vista personale, ma anche l’autorità – della quale la spettacolarità delle ricostruzioni grafiche dell’hawk-eye può tranquillamente, con inquietante e gelida indifferenza, fare a meno.

Già nel III secolo un anonimo rabbino scriveva sul Talmud, testo sacro dell’ebraismo, che non vediamo le cose per quello che sono, ma le vediamo a seconda di come siamo, di cosa siamo. Tanto che ogni punto nello spazio è un potenziale punto di vista. Per gli occhi umani, con tutta la loro imperfezione (che poi è quella stessa necessaria imperfezione che permette di vedere le immagini in movimento, fondamentale per l’esistenza tanto del cinema quanto dello spettacolo televisivo), ma anche per le telecamere – quelle della TV, quelle ipersofisticate del “falco” – che circondano il campo da gioco in una babele pressoché infinita di sguardi. Eppure «non ci sono linee perfettamente diritte nel mondo naturale. Una linea è un’idea», dice chiaramente Subject to review, prodotto dalla ESPN e presentato in concorso alla 56ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro quasi a confermare, due anni dopo la vittoria di John McEnroe – L’empire de la perfection, lo straordinario rapporto fra cinema e tennis. Una linea è una convenzione, è una regola, è un semplice segno sul terreno, eppure nello sport diventa il confine fra una realtà e l’altra, fra dentro e fuori, fra il primo e il secondo, fra la vittoria e la sconfitta. È un’idea che si pone come punto di demarcazione fra due idee, opposte e complementari, che scatenano opposte e complementari emozioni. Ma al “falco” non interessano le emozioni. L’uomo è del tutto inutile, per lui. Non gli interessa il pubblico, replicato come le strisce che nessun piede ha mai lasciato sul campo solo per rendere la ricostruzione ancora più corrispondente e sovrapponibile alla realtà. Non gli interessano i giocatori, che spariscono nella ricostruzione delle traiettorie. Non gli interessa nemmeno il gesto tecnico, e quindi paradossalmente non gli interessa affatto il gioco, lo sport. Gli interessa solo triangolare i punti nello spazio, quelli dove è passata la pallina nelle varie frazioni di secondo, quello in cui ha toccato terra, dentro o fuori. Nemmeno il “falco” del resto, pur con i suoi 150 fotogrammi al secondo ben superiori alla visione umana, sa che cosa realmente succede fra un frame e l’altro. Conosce solo lo spazio e la velocità, e affida tutto il resto dell’elaborazione al freddo calcolo matematico, in una serie di paradossi in cui è la tecnica sviluppata dall’uomo a scavalcare e in un certo senso annullare l’uomo, e in cui un sistema nato per l’intrattenimento si trova sì a convergere con la giustizia, ma finirà prima o poi per dimostrare che rivelare l’invisibile e la pura azione oltre i limiti dell’occhio umano a volte non basta, che l’errore è ancora presente, e che quindi la vera giustizia è forse impossibile.

Quando nel 1872 venne chiesto a Eadweard Muybridge di dimostrare che un cavallo al galoppo avesse effettivamente tutte e quattro le zampe sollevate da terra, il pionieristico fotografo britannico riuscì a “pre-cronofotografare” il cavallo con una serie di macchine fotografiche sistemate lungo il percorso pronte a far scattare l’otturatore al suo passaggio, senza avere ancora a disposizione né il cronofotografo né il fucile fotografico che il francese Étienne-Jules Marey, curiosamente nato e morto negli stessi 1830-1904 di Muybridge, brevetterà solo nel 1880 e nel 1893. Nel 1880 quegli stessi fotogrammi dell’equino in corsa, ad anticipare di cinque anni il cinematografo, sarebbero stati animati e proiettati da Muybridge con il suo geniale zoopraxiscopio, ma questa è un’altra storia. Fa invece parte della storia raccontata da Theo Anthony, nelle sue intelligenti scorribande fra presente e passato, fra tarature del sistema e relative falle, fra esperimenti ufficiali di misurazione e disvelamenti dei dispositivi, il primo fotofinish, con cui nel 1881 fu possibile vedere quei pochissimi millimetri con cui il muso proteso in avanti di un cavallo aveva sopravanzato quello del concorrente, così come fanno parte di Subject to review gli US Open 2004, quando Serena Williams uscì ai quarti di finale contro la connazionale Jennifer Capriati dopo un’evidente chiamata erronea dell’arbitro che aveva ribaltato la valutazione, corretta, del giudice di linea. Era il primo anno di test del “falco”, già presente sugli schermi televisivi come fedele ricostruzione in 3D dell’azione ma non ancora riconosciuto dalla Federazione, non ancora inserito nel regolamento ufficiale con i 3 challenge per set concessi a ogni giocatore, non ancora dotato di quelle reali facoltà decisionali che solo due anni dopo, dal 2006, diventeranno parte integrante del gioco. Eppure, riflette il regista al contempo filosofico, teorico e in qualche modo politico, quella dell’hawk-eye non è una vera immagine. È solo una simulazione il più possibile (ma mai esattamente) precisa, con cui la tecnologia nel giro di pochi secondi e un’elaborazione grafica sovrasta l’autorità umana. È una transizione da fisico a digitale, sono pixel che compongono una pallina e un’ombra sullo schermo. Spersonalizzanti, dematerializzanti, in qualche modo “di finzione”, in qualche modo “disumani”. Anche perché nuovi potenziali sbagli, ma questa volta non più (direttamente) dell’uomo, compresi in quel margine di errore di 3,6mm definito accettabile. Millimetri oltre ai quali la stessa pallina, quando rimbalza a tutta velocità, si deforma e scorre per almeno un altro. L’errore è ancora parte del gioco, non se ne può fare a meno. Come nel 2007, durante la finale di Wimbledon fra Federer e Nadal, con quella pallina sulla linea di fondo che al challenge chiesto dallo spagnolo viene chiamata dentro, ma riguardando e studiando le immagini più probabilmente era fuori. Il cortocircuito. La rappresentazione rivela come anche il suo sempre più preciso tentativo di delineare (fino a in qualche modo sostituire) la realtà prima o poi finisca per non dichiarare altro che l’impossibilità di rappresentarla. Nessuna rappresentazione può essere del tutto aderente al reale, senza dubbi, senza errori, senza la minima sbavatura. La risoluzione è sempre finita, che siano i segni fisici sulla terra battuta o i pixel sul campo ricostruito dal “falco”. In un minuscolo margine la palla è sia dentro sia fuori, anche secondo le regole insindacabili del falco. Ed ecco che anche nella tecnologia torna di nuovo la fallibilità umana che l’ha progettata, torna l’imperfezione, torna quella fisiologica e inevitabile falla nella conoscenza che è proprio il motivo per cui il sistema hawk-eye è diventato parte integrante del gioco. Prima o poi, forse, arriveremo alla perfezione assoluta, ma esisterà ancora l’umanità necessaria per averne giustizia? Esisteranno ancora i piccoli e imprevedibili errori che rendono tale l’uomo? O nel frattempo saremo diventati tutti pixel su uno schermo?

Marco Romagna

“Subject to Review” (2019)
37 min | Documentary, Short | USA
Regista Theo Anthony
Sceneggiatori Theo Anthony
Attori principali Theo Anthony, Michael M. Grant, Tim Korn
IMDb Rating N/A

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