6 Settembre 2017 -

RYUICHI SAKAMOTO: CODA (2017)
di Stephen Nomura Schible

Rimappare un percorso, fatto di momenti, di attimi e soprattutto di suoni. Stephen Nomura Schible (in)segue Ryuichi Sakamoto in una fase della sua vita alquanto particolare e complessa, un momento di stallo che promette altri percorsi. A 65 anni, costretto a una pausa forzata dalla malattia, il geniale compositore giapponese riflette sull’esperienza vissuta quasi come fosse un atto coscienzioso di senilità, e attraversa tutti i singoli momenti che l’hanno portato, oggi, a essere una delle più influenti icone del movimento nipponico contrario al nucleare. Questo piccolo e intimo viaggio all’interno dell’universo Sakamoto, però, non può partire se non da una performance. Lui sul palco, solo e rigoroso, a suonare il tema che più lo rappresenta su un pianoforte terribilmente simbolico. Merry Christmas Mr. Lawrence (per noi Furyo) rimane ancora oggi un film-mito, esperienza imprescindibile di personaggi (a parte lui stesso anche come attore, con Bowie e Kitano), di storie come di forme. Sarà proprio l’allora Capitano Yonoi a dirci quanto fosse impossibile rifiutare l’offerta di Oshima, non solo per l’importanza e la grandezza del progetto, ma soprattutto per l’enorme stima reciproca che da anni univa i due. Ma le radici di questa storia vanno cercate ben prima (a fine anni Settanta), nei Yellow Magic Orchestra, una band stramba e interessantissima che ridefinì non soltanto il pop asiatico, ma lo stesso ruolo dell’elettronica all’interno della musica commerciale. Da quel momento Sakamoto diventò affermato e riconosciuto possessore di qualità non comuni, sperimentando vari generi dalla world music alla classica e sviluppando una sensibilità particolare per la sonorizzazione di film.

Dopo la collaborazione con Oshima, sarà con Bernardo Bertolucci che Sakamoto troverà ancor più terreno fertile per le proprie visioni musicali. L’ultimo imperatore, Il tè nel deserto, Il piccolo Buddha: lavori in cui Sakamoto viene chiamato all’ultimo, spesso riscrivendo la colonna il giorno stesso delle incisioni. Cioè che ci rimane di tutto questo sono commenti alle immagini (spesso più significativi anche della struttura stessa dei film, almeno per chi scrive) dal timbro e dalla sensibilità unica; come se fosse una specie di marchio di fabbrica nella creazione e soprattutto nell’esposizione di un opera. Lontano al cinema da molto tempo, la chiamata inaspettata di Iñárritu (per The Revenant) lo porta ancora una volta al pianoforte, nel momento che coincide con la scoperta di un cancro, e con la necessità di cure ed attenzioni. Così, nel suo studio, Sakamoto passa le giornate a sperimentare suoni e paesaggi, assorbito completamente dai suoi congegni come dalle sue idee, in un luogo quasi anecoico nel non esser permeato dal rumore di fondo delle catastrofi dei nostri giorni. Lavora su suoni concreti (dalla pioggia al giardino) in un rapporto sempre più minimale che lascia trasparire l’esatto momento della creazione di un’opera, il suo germogliare, la sua codifica e infine la sua sintassi. Il lavoro dell’arte al lavoro, in un certo senso, è l’immagine che cerca di guardare il frammento invisibile di un momento sconosciuto (e ora sono proprio le immagini a commentare il suono). A tutto questo Sakamoto si concede completamente, lasciando al regista lo spazio necessario per questo tentativo provvisorio quando affascinante.

Stephen Nomura Schible, tredici anni dopo Eric Clapton: Sessions for Robert J, torna a osservare la musica come il suono, e a farcelo percepire in maniera fluida e viva, mai banale. In special modo cerca di analizzare come la nuova consapevolezza di Sakamoto riguardo alle crisi (ambientali ed economiche, sociali e personali), possano aver influenzato un’espressione creativa al punto di creare un nuovo flusso sperimentale e musicale all’interno di una produzione già sterminata ed estremamente diversificata. Qui sta la carezza del compositore data al legno di un pianoforte sopravvissuto allo tsunami post-Fukushima, qui sta l’esigenza del provare paura nei confronti della morte proprio perché ci sarebbero ancora così tante cose da dire nella vita, e qui sta il non-sense (metaforico, e non solo) dell’accordatura, della nostra esigenza di violentare qualsiasi cosa sia naturale per volerlo al nostro cospetto, alle nostre condizioni d’uso. La resistenza a tutto questo è fondamentalmente il lavoro, la speranza, qualcosa in cui ci si possa rifugiare fino a quando la tempesta che sibila lungo i vetri di casa e rende impossibile mettere il naso fuori, lascerà spazio al sereno. Il sole senza dubbio potrà ancora sorgere, come il sorriso che pian piano torna a svelarsi lungo le rughe sensibili del compositore, e una nuova musica così è già composta, quasi in un moto improvviso quanto naturale. Durante la riprese di questo documentario, la colonna sonora di Redivivo – The Revenant è completa, e nonostante le mille difficoltà Sakamoto giunge a un’ulteriore consapevolezza, quella di poter tornare a scrivere note su un pentagramma, concentrato a creare come a guardare ed ascoltare. Il film si conclude con lo sbarco verso una nuova canzone, la sua coda appunto, e noi ne siamo stati testimoni e forse anche partecipi con la semplice corrispondenza di senso nel “sentire” il mondo come l’uomo. Tante volte, per mappare un percorso, le immagini nemmeno servono.

Erik Negro

“Ryuichi Sakamoto: Coda” (2017)
100 min | Documentary | Japan / USA
Regista Stephen Nomura Schible
Sceneggiatori N/A
Attori principali Ryuichi Sakamoto
IMDb Rating 7.4

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