15 Maggio 2016 -

POESIA SENZA FINE (2016)
di Alejandro Jodorowsky

Avevamo lasciato Alejandro Jodorowsky, nel finale di La danza de la realidad, su un battello, in viaggio insieme ai genitori dalla città natale verso Santiago del Cile. In viaggio verso l’ignoto, in viaggio con e verso il suo rapporto problematico con la famiglia, ma anche in viaggio verso l’età adulta. E sulla stessa barca, tre anni dopo, lo ritroviamo nell’incipit di Poesía sin fin, con gli stessi fantasmi di cartone sulla banchina, con lo stesso sguardo malinconico del giovane Alejandro verso la terra natìa che si allontana, con le stesse mani genitoriali sulle spalle. Dare seguito, continuare il magnifico lavoro iniziato con il precedente lungometraggio, questo è il senso primo di Poesía sin fin, nuovo film del geniale regista cileno naturalizzato francese, presentato a Cannes nel vero e proprio “concorso alternativo” che è quest’anno la Quinzaine des Réalisateurs. Se infatti ne La danza de la realidad l’autore metteva in scena, rielaborandola nelle forme fra il surreale e l’onirico tipicamente jodorowskiane, una narrazione meravigliosamente sghemba della propria infanzia e di quegli anni Trenta-Quaranta di provincia, con Poesía sin fin Jodorowsky continua a sviscerarsi a suo modo negli anni successivi, fra i Quaranta e i Cinquanta, in quel passaggio all’età adulta che diventa ben presto un discorso ben più ampio sull’arte e sulla creazione. Perché proprio di artista e creatore a tutto tondo bisogna parlare, quando si parla di Alejandro Jodorowsky. Scrittore, fumettista, saggista, drammaturgo, poeta, regista teatrale, regista cinematografico e pure, nel tempo libero, studioso dei tarocchi, Jodorowsky è un eclettico, è un surrealista, è un sardonico, è un ribelle, è un uomo libero. È l’unico artefice del proprio destino, impegnatosi di fronte all’avanzare inesorabile della senilità – per quanto arzillo e di una sconvolgente lucidità, Jodorowsky è classe 1929, non certo un ragazzino – a tracciare un bilancio introspettivo della propria vita e della propria poetica.

Poesía sin fin, più ancora che il dichiarato seguito di La danza de la realidad, è un vero e proprio secondo tempo dello stesso film. C’è di nuovo l’esilarante madre che si esprime solo ad arie liriche, quasi cinguettii, ed è sempre più succube del marito (si veda la “chiamata a letto” al momento dell’amplesso): c’è di nuovo un padre avido commerciante sempre più attaccato al denaro e al sogno di avere un figlio medico e non certo artista (“Sono tutti froci”, dirà sprezzante al figlioletto vedendolo avvicinarsi alla poesia); c’è di nuovo l’Alejandro Jodorowsky di oggi che entra in campo per confrontarsi con gli Alejandro Jodorowsky di ieri, a metà strada fra spirito guida e amico del cuore, per autospronarsi nelle scelte rivelatesi giuste e cercare di rimediare, seppur tardivamente, agli errori commessi. E c’è sempre quella libertà assoluta nella narrazione, c’è sempre quell’aria di sberleffo nei confronti delle regole precostituite, c’è sempre quella surrealtà che si rivela piuttosto una iper-realtà, un’esagerazione non certo ludica o pretestuosa ma al contrario altamente paradigmatica e simbolica: passando attraverso facciate nelle torte e circensi vestiti da scheletri a una veglia funebre, un intero carnevale di demoni in giro per Santiago a celebrare la maturità del protagonista e un regime dittatoriale contornato da nani e poetesse vergini, maggiordomi in tuta nera e treni cartonati, banconote da disinfettare e fondali dipinti in bianco e nero montati all’arrivo della famiglia a Santiago, Jodorowsky porta sullo schermo un’altra fetta di autobiografia per comunicare ancora una volta, osando, la necessità di osare. E, forse, per esorcizzare il suo lungo passato e allungarsi il futuro, prendendo a calci in pancia la morte. In Poesía sin fin si parla di famiglia, in special modo del rapporto burrascoso con il padre e dei rimpianti per quel saluto mancato, si parla di vivere per vivere e di unica proibizione nel proibire, si parla di guerra e della massificazione di una popolazione di indole fascista che ha occhi solo per il potente di turno, ma soprattutto si parla di poesia, di arte, di magia della creazione. In maniera, chiaramente, poetica: una poetica del verso e della messa in scena, dal barbone che avvicina il giovanissimo “Alejandrito” (“Una vergine nuda rischiarerà il tuo cammino come una farfalla splendente”) segnando la sua vita, alla decisione di Jodorowsky e dell’amico e collega Enrique Lihn di camminare per la città solo su una linea retta, come eroico rifiuto sistematico delle barriere e delle imposizioni. Fino alla notizia dell’incendio della casa-negozio paterna, e l’infanzia di Alejandro che evapora definitivamente in quella bicicletta arsa dalle fiamme.

Il passaggio all’età adulta di Alejandro Jodorowsky è stato il distacco dai genitori e l’abbraccio delle arti: una sorta di famiglia alternativa/comune/circolo degli artisti. Un teatrino dei burattini, con Alejandro che sostiene di dipingere facce perché ha perso la propria, fatto però anche di eros e di carne, di sesso come creazione, di sperimentazione e di lacrime. La farfalla splendente da seguire per recidere il cordone ombelicale e farsi uomo è una donna, è un verso, è un quadro, è un’inquadratura, è una lettura dei tarocchi, è una vita vissuta intensamente, succhiata, amata. Nel ribollire artistico e intellettuale dell’epoca, Alejandro incontra Stella Diaz, Nicanor Parra, Enrique Lihn, che di lì a poco scriveranno la storia della letteratura sudamericana, e scoprirà con loro la vera vita, la sensualità, lo sberleffo, il fascino fino a quel momento proibito di essere se stesso in maniera profonda, senza imposizioni né vincoli. Perché, in fondo, Poesía sin fin è un grido di libertà, è un languido sguardo d’amore nei confronti di un’arte totalizzante e poliedrica, è il bilancio di una vita e di una produzione. È ancora una volta il ritrovarsi di un artista attraverso la creazione di un’opera, è il tirare le somme, è il sospirato e ormai impossibile riavvicinamento con il padre in cerca di quella benedizione mai arrivata. Jodorowsky firma ancora una volta un film affascinante, definitivo, indispensabile. Un film che mette in scena la dimensione incubale della crescita, l’introspezione e la poetica senza mai diventare troppo serio, ma anzi risultando irresistibilmente spassoso di quella comicità surreale agrodolce che ci ha sempre fatto follemente amare l’Autore di El Topo e La Montagna Sacra. Ma poi, fra le risate e le conclusioni dello Jodorowsky maturo, scende un brivido: “Tutto si dissolverà, anche le nostre anime si dissolverano”, declamano i giovani poeti in un momento di particolare ispirazione. La stessa frase però, scritta – e quindi detta – da un ottantasettenne, assume tutt’altro valore, e l’intero film, in questa sua perentorietà, esalta ma lascia al contempo un po’ di preoccupazione, come se volesse essere un’opera finale. Noi, nel dubbio, vogliamo aspettare trepidanti il terzo capitolo di questa meravigliosa ricostruzione di una vita. Siamo sicuri che arriverà. Deve!

Marco Romagna

“Endless Poetry” (2016)
Biography, Drama, Fantasy | Chile / Japan / France
Regista Alejandro Jodorowsky
Sceneggiatori Alejandro Jodorowsky
Attori principali Brontis Jodorowsky, Pamela Flores, Adan Jodorowsky, Jeremias Herskovits
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

LA TARTARUGA ROSSA (2016), di Michael Dudok de Wit di Marco Romagna
MIMOSAS (2016), di Oliver Laxe di Erik Negro
IO DANIEL BLAKE (2016), di Ken Loach di Elio Di Pace
KINDIL EL BAHR (2016), di Damien Ounouri di Marco Romagna
WOLF AND SHEEP (2016), di Shahrbanoo Sadat di Marco Romagna
JUSTE LA FIN DU MONDE (2016), di Xavier Dolan di Marco Romagna