21 Giugno 2017 -

NO MORE LONELY NIGHTS (2013)
di Fabio Scacchioli e Vincenzo Core

La magia del cinema nasce e si sviluppa su un’imperfezione dell’occhio umano, sulla fallibilità di una retina che tende a trattenere per una frazione di secondo l’ultima immagine ricevuta. Senza questo nostro limite nella visione, non potrebbe esistere l’illusione del movimento, non potrebbe esserci riproducibilità della fluidità, e i 24 fotogrammi che scorrono sullo schermo ogni secondo, calibrati esattamente su questo piccolo ritardo degli occhi nell’elaborare la luce ricevuta, ci parrebbero semplicemente una raccolta di fotografie estremamente ravvicinate. È solo grazie al nostro piccolo ritardo nella visione che il cinema “funziona”, è possibile, può esistere nelle sue immagini in ingannevole movimento.
In principio era la doppia croce di malta fra gli ingranaggi dei proiettori in pellicola, in grado tramite gli incastri concavi di suddividere ulteriormente ogni ventiquattresimo di secondo in due quarantottesimi, uno per lasciar scorrere il film e uno per tenere il fotogramma fermo dietro alla lente il tempo necessario per ingrandirlo sullo schermo con due lampi di luce in rapidissima successione. Grazie a questa doppia visione di ogni frame, che allunga ulteriormente la “memoria” della retina, l’occhio umano non può accorgersi del quarantottesimo di secondo di buio/scorrimento al quale viene successivamente esposto, e quello che è un costante e velocissimo lampeggiare ci appare come una luce continua e un’immagine in movimento. Con l’avvento del digitale, e quindi non più con il tempo necessario perché la pellicola che gira fra gli ingranaggi si posizioni al punto giusto per venire penetrata e ingrandita dal fascio di luce, nemmeno la doppia proiezione di ogni fotogramma è più necessaria, ma ogni immagine può durare più a lungo, fino a quando non sarà sostituita da un frame successivo che non è più fisicamente stampato su un supporto, ma è semplicemente una nuova combinazione, fra le infinite possibili, di pixel.
Sul nostro principale difetto oculare, o meglio sul suo ribaltamento, si basa anche il punto zenitale di No more lonely nights, cortometraggio di Fabio Scacchioli e Vincenzo Core che, a distanza di quattro anni dalla sua realizzazione, trova nuovamente uno schermo grazie ai Critofilm presentati da Adriano Aprà alla cinquantatreesima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Quello di Scacchioli e Core, per ovvie questioni tecniche, è un film che non può che essere in digitale, ma la prima e necessaria protagonista dell’esperienza della visione è ancora una volta quella stessa memoria oculare che rende possibile la proiezione in pellicola: i fotogrammi si susseguono a una velocità che va oltre il cinquantesimo di secondo, e ogni frame giunge all’occhio proprio mentre l’occhio sta ancora registrando quello precedente, creando un’illusione di sovrappossizione dall’accostamento di due o più fotogrammi in quello che è generalmente lo spazio di uno. L’effetto, ipnotico, è un vero e proprio bombardamento di immagini, un’orgia di fotogrammi fra amore e morte, fra volti e fantasmi, fra luce e buio, fra positivo e negativo, fra baci e pistole, fra un immaginario e l’altro.

Prima di tutto c’è la luce, quella luce di cui il cinema non può fare a meno, quella luce che regola la visione, ma anche quella luce che illumina i sentimenti umani. Quella luce invocata e quasi evocata dalle poche parole, come un qualcosa che non può che emergere dal buio della sala, dalla storia del Cinema. No more lonely nights, film di decostruzione e di macerie, è a suo modo un melodramma, una (non) narrazione di fantasmi e di amori straziati che emergono dalle altrui narrazioni.
Il punto di partenza è il cinema più popolare, quello dei melodrammi di Douglas Sirk, quello dei thriller di Alfred Hitchcock. Era necessario privarlo della sua lingua filmica e drammaturgica, era necessario frazionarlo, spezzattarlo il più possibile, distruggerne la fluidità e la consequenzialità, per ottenere una (non) fluidità e una (non) consequenzialità nuova, una lingua filmica originalissima e straniante, pronta a canalizzarsi in un inedito crescendo emotivo. No more lonely nights è il momento dell’addio, quello dell’abbandono, quello della morte di un amore, ma soprattutto è un aperto dialogo con l’immagine e con le sue infinite potenzialità, è un atto d’amore verso il cinema che si pone però anche come ben precisa critica contro la sua ripetitività, è una nuova frontiera del found footage, è un raffinato lavoro sulla ricerca e sull’eleborazione di immagini a cui dare nuovo respiro e nuova vita. Non hanno girato nemmeno un fotogramma, Scacchioli e Core, né hanno registrato un solo istante di nuovo audio. Sono invece andati online, a cercare e scaricare spezzoni di vecchi film ormai di pubblico dominio, vecchie pellicole ormai diventate file incompleti e di modesta qualità, magari da bollare come “brutti, pessimi film”. Sono gli immaginari di Aldrich, di Coppola, di Curtis, sui quali ricostruire una tensione fatta delle stesse inquadrature che si inseguono da un film all’altro, fatta di incastri apparentemente impossibili, fatta di porte che si aprono e di uomini che entrano, fatta di baci e di maschere, fatta di aperture dal bianco e nero al colore, fatta di corridoi infiniti e di spari. Cade ogni drammaturgia, cade ogni linguaggio codificato, cade ogni limite: l’immagine stessa perde la sua conformazione, si fa atomo, si fa parte di un tutto, torna al grado di semplice percezione, deflagrazione di luce, (in)visibilità. È una sinfonia di immagini e rumore, No more lonely nights, è una progressione, è una sovversione dei canoni della narrazione che giunge a un qualcosa di pulsante, vibrante, ostinatamente vivo. Sono le “parole impronunciate” come un grido strozzato sul crinale fra il vis(su)to e l’immaginato, è la lacrima “da cui nasce l’occhio” che danza fra il visto e il non visto, fra il percepito e l’intuito, fra la tecnica cinematografica e la sua illusione. È un movimento di macchina circolare che sembra ripetuto all’infinito, è una donna che si alza dalla poltrona, è un uomo morto a terra, è un manichino, spezzettato come le immagini, che come le immagini ha bisogno ancora una volta di essere ricostruito.
Ben al di là della perfezione tecnica e dell’anno di lavoro necessario a Scacchioli e Core per portarlo a termine, No more lonely nights è un crepitio bruciante, è un incrocio di sguardi, di volti, di situazioni, di visioni e di emozioni. È un contro-percorso nell’immagine, fatto di ritmi vorticosi, di incastri ipnotici, di flicker asfissianti, di magnetici effetti sonori. È un qualcosa che è forse impossibile restituire a parole, è una stimolazione sensoriale che si può solo vedere e ascoltare, che si può solo ricevere, assorbire, facendosi prendere per mano e portare via. Fino alle porte, che dopo essersi aperte ora inesorabilmente si chiudono. Fino al buio, necessario per ricominciare a respirare dopo un simile, magnifico, bombardamento di luce, di immagini, di cinema.

Marco Romagna

“No more lonely nights” (2013)
21 min | Animation, Short | Italy
Regista Fabio Scacchioli
Sceneggiatori N/A
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

TIRESIAS (un personaggio in tre corpi) (2016), di Daniele Pezzi di Marco Romagna
LOS OCÉANOS SON LOS VERDADEROS CONTINENTES (2023), di Tommaso Santambrogio di Marco Romagna
NON CREDO IN NIENTE (2023), di Alessandro Marzullo di Marco Romagna
FERRARI (2023), di Michael Mann di Marco Romagna
PICCOLO FILM DI UN ALBERO (2016), di Maurizio Marras, (+ Satellite/Quello che non ho visto) di Marco Romagna
LOVANO SUPREME (2023), di Franco Maresco di Erik Negro